Il Dilemma nucleare. Mosca sospende il Trattato New START con Washington ma il messaggio è soprattutto per i membri europei della NATO

Il Dilemma nucleare. Mosca sospende il Trattato New START con Washington ma il messaggio è soprattutto per i membri europei della NATO

5 Marzo 2023 0

Nel suo discorso all’Assemblea Federale del 21 febbraio scorso, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, aveva annunciato la sospensione del suo Paese dagli obblighi derivanti dal Trattato New START (Strategic Arms Reductions Treaty), siglato con gli Stati Uniti nel 2010 e rinnovato, in extremis, nel 2021 per altri cinque anni. Nel Protocollo aggiuntivo (Sezione IX) di tale documento è prevista la possibilità della sospensione ovvero della cancellazione delle (reciproche) attività ispettive secondo la clausola di force majeure. L’aspetto giuridico-diplomatico da cui sarebbe scaturita la decisione del Cremlino sarebbe, quindi, primariamente riconducibile a tale clausola. Durante l’incontro riservato del 14 novembre scorso ad Ankara, il direttore della CIA, William Burns, e il responsabile dell’agenzia russa per l’intelligence estera (SVR), Sergej Naryškin, avevano discusso della stabilità strategica internazionale e del rischio nucleare connesso al conflitto russo-ucraino. Nello stesso lasso di tempo, il Dipartimento di Stato aveva reso noto che Mosca e Washington si sarebbero presto incontrate per discutere della ripresa delle ispezioni previste dal New START, la cui sospensione temporanea era stata notificata dalla Russia l’8 agosto 2022[1]. A fine novembre la Federazione Russa, ritornando sulla propria decisione, aveva però comunicato l’intenzione di non volere più presenziare a tale incontro, che si sarebbe dovuto tenere al Cairo.

Un mese prima, esattamente dal 18 al 30 ottobre, la NATO aveva svolto in Europa l’esercitazione Seadfast Noon, per testare le capacità alleate nel campo della deterrenza nucleare non-strategica. Alle manovre avevano preso parte quattordici Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, tra cui i tre con capacità nucleari proprie (Stati Uniti, Francia, Regno Unito) e quelli Dual-capable aircraf (DCA) ossia gli alleati (Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi + Stati Uniti e Turchia) che hanno sottoscritto i NATO’s Nuclear Sharing Arrangements. Questi accordi presumono (qualora si verificassero le previste condizioni belliche) il ricorso alla condivisione del dispositivo atomico non-strategico statunitense dispiegato in Europa, composto dalle bombe avio imbarcate aria-superficie tipo B61. Nel febbraio 2022 la NATO aveva reso noto che, attualmente, sono sette gli Stati dotati di capacità DAC, senza però fornire ulteriori specificazioni. Secondo un report dalla Federation of American Scientists (FAS) il settimo Paese alleato sarebbe la Grecia. Tuttavia è forse ipotizzabile ritenere che lo Stato in questione possa essere un altro ossia la Polonia. Per la sua collocazione geografica e il ruolo assunto nella crisi russo-ucraina, l’ipotesi polacca potrebbe contribuire a spiegare l’atteggiamento adottato dal Cremlino rispetto al New START. Se tale deduzione fosse corretta saremmo probabilmente dinnanzi alla possibilità che Putin intenda barattare il ritorno agli obblighi del New START con la garanzia che Varsavia non venga associata al meccanismo NATO del nuclear-sharing. La supposizione appare del resto plausibile anche per via delle recenti (5 ottobre 2022) dichiarazioni del presidente polacco, Andrzej Duda, circa l’idea che per il suo Paese vi possa essere la “potenziale opportunità” di partecipare alla condivisione nucleare NATO[2].

Putin stesso ha, del resto, affermato che, considerato lo stato della situazione internazionale, la Russia non può ignorare le capacità nucleari dell’Alleanza Atlantica. Di fatto, nel suo discorso del 21 febbraio il leader russo ha indicato due motivi per giustificare dinnanzi al parlamento di Mosca la sospensione dal New START. Il primo consiste, appunto, nella postura nucleare della NATO, ritenuta dal capo del Cremlino una minaccia alla Russia. Il secondo riguarda l’impossibilità di aprire i siti dei nuovi armamenti strategici alle ispezioni previste dal New START in un frangente, come quello attuale, contraddistinto da un forte contrasto con il blocco euro-atlantico. In merito a quest’ultimo aspetto, in un passaggio del suo intervento, Putin aveva annunciato di avere firmato un Ordine Esecutivo per mezzo del quale poneva in condizione di operatività nuovi sistemi d’arma strategici land-based. Questo particolare chiama, implicitamente, in causa il nuovo ICBM RS-28 “Sarmat” (nome in codice NATO SS-30 “Satan 2”) con capacità MIRV[3] e, a detta di Putin, in grado di eludere, gli esistenti sistemi difensivi (statunitensi) anti-missile. Indipendentemente da quale possa essere la causa più recondita che ha condotto Putin alla sua decisione, l’esistenza di un ipotetico do ut des pare avvalorato dai contenuti del discorso del 21 febbraio. Benché infatti, in ossequio a quanto stabilito dall’articolo 84 (d) della Costituzione russa, Putin avesse contemporaneamente sottoposto alla Duma di Stato una bozza di legge federale (firmata il 28 febbraio scorso) per l’approvazione della sospensione del New START, egli aveva altresì affermato che la Russia non intende ritirarsi dal trattato e che un suo ritorno agli obblighi che ne derivano è condizionato a un chiarimento circa la postura nucleare di Francia e Regno Unito ovvero delle capacità nucleari combinate dell’Alleanza Atlantica. La mossa del Cremlino oltre che sotto l’aspetto meramente militare andrebbe quindi letta anche alla luce di quello negoziale.

INFOGRAFICA - Il dislocamento del potenziale nucleare Usa in Europa
INFOGRAFICA – Il dislocamento del potenziale nucleare Usa in Europa

Dinnanzi all’Assemblea Federale, Putin aveva anche insistito sull’idea che Washington utilizzi la NATO come spada sul continente europeo per minacciare la Russia, infliggerle, in prospettiva, una sconfitta strategica (attraverso il sostegno militare a Kiev) e “mettere il naso” nei siti nucleari russi, in specie quelli che ospitano i nuovi armamenti strategici. Questo passaggio – lungi dall’essere un particolare secondario – introduce un dato che per l’Alleanza Atlantica appare, oggi più che mai, ineludibile vale a dire la questione della reale credibilità del suo deterrente nucleare e la possibilità che esso, per via delle peculiarità che lo contraddistinguono, possa persino rappresentare un potenziale elemento di frattura in seno ai Paesi membri, soprattutto nell’ipotesi di un eventuale e oramai non più remoto scenario di crisi tra NATO e Federazione Russa nel teatro europeo.  Ad oggi, la nuclear deterrence dell’Alleanza Atlantica si basa su un tripode diversificato e, perciò, intrinsecamente instabile, formato dalle capacità nucleari degli Stati Uniti (gli unici in seno alla NATO a detenere la triade nucleare completa), da quelle di Francia e Regno Unito, infine dal meccanismo del nuclear burden-sharing che, in ultima istanza, fa ancora riferimento alla componente atomica non-strategica statunitense, rivelando così in quale misura per l’ombrello nucleare euro-atlantico sia determinante il contributo a stelle e strisce. Per quanto attiene alla dottrina (nucleare), quella della NATO si basa su due documenti: il Concetto Strategico del 2022 e la Deterrence and Defence Posture Review, datata 2012 (DDPR-2012). Il vertice politico-consultivo del tripode nucleare euro-atlantico è costituito dal Nuclear Planning Group, organismo creato nel 1966, del quale però non fa parte la Francia. Nella DDPR-2012 benché si affermi che “the Alliance’s nuclear force posture currently meets the criteria for an effective deterrence and defence posture” si ammette pure la natura indipendente delle “strategic nuclear forces of the United Kingdom and France”, alle quali si riconosce “a deterrent role of their own”. Generalità della dottrina, intesa come assenza di un meccanismo decisionale univoco e verticale, ed eccezionalismo francese, rappresentano fattori che, in un eventuale scenario di crisi sopra evocato, potrebbero sensibilmente contribuire a minare la credibilità del deterrente nucleare euro-atlantico. Francesi e britannici posseggono, infatti, ciascuno distinte dottrine per l’esplicitazione dell’uso del proprio nucleare militare. Solo nel 2010 con l’entente nucléaire (o entente frugale), scaturita dalla firma dei Lancaster House Treaties (due trattati e una dichiarazione congiunta), le uniche due potenze nucleari europee della NATO manifestarono l’intenzione di perseguire un maggiore coordinamento delle proprie politiche nucleari nel campo della difesa in sinergia anche con l’Alleanza Atlantica. Si trattava, tuttavia, di generiche dichiarazioni d’intenti, contenute negli articoli 1, 2, 7 del Trattato tra Francia e Regno Unito sulla cooperazione nella difesa e sicurezza, che, sino ad ora, non hanno prodotto una comune e univoca esplicitazione d’uso del nucleare che impegni sia le tre potenze nucleari che le sei potenze semi-nucleari (tra cui l’Italia) partecipanti al nuclear-sharing.

FOTO - Dal satellite la base militare di Ghedi a 15 km da Brescia
FOTO – Dal satellite la base militare di Ghedi a 15 km da Brescia

A tal proposito, risulta assai indicativo quanto affermato nell’ottobre scorso dal presidente francese, Emmanuel Macron, al canale televisivo France 2. Nel corso di un’intervista, il capo dell’Eliseo aveva dichiarato che la Francia non risponderebbe con il proprio arsenale nucleare nel caso in cui l’Ucraina dovesse essere oggetto di un attacco condotto dalla Russia con ordigni atomici. Macron aveva spiegato che “la Francia ha una dottrina nucleare che è basata sugli interessi vitali della Nazione i quali sono chiaramente definiti. Questi non sarebbero minacciati se vi fosse un attacco nucleare balistico in Ucraina o nella regione[4]. Con il termine “regione” Monsieur le Président lasciava, sostanzialmente, intendere che Parigi si riterrebbe esonerata anche nel caso in cui venisse colpito un Paese alleato posto lungo l’Eastern flank della NATO. In tal caso, a essere minata non sarebbe unicamente la credibilità del deterrente nucleare NATO ma perfino il principio stesso dall’articolo 5.  Quest’ultimo, peraltro, già di per sé, contiene un vizio d’origine, potenzialmente in grado di inficiare il casus fœderis dell’Alleanza, consistente nell’assenza di un automatismo correlato all’obbligo per ciascun membro di prestare sostegno militare a un alleato che venisse attaccato. Va infatti ricordato che la formulazione dell’articolo cardine del Trattato di Washington indica in quello militare uno degli strumenti con i quali i Paesi membri devono ritenersi obbligati a prestare soccorso a un alleato. Un altro particolare rivelatore dell’intrinseca debolezza del pilastro europeo che costituisce l’architettura di sicurezza strategica della NATO è il mutamento che si può registrare nelle versioni declassificate degli ultimi due documenti (Nuclear Posture Review) del Pentagono in merito alla propria postura nucleare allargata. In quello del 2018, stilato sotto l’Amministrazione Trump, nella sezione intitolata A Tailored Strategy for Russia, si affermava che la dissuasione nei confronti della dottrina nucleare russa (indicata con l’espressione escalate to de-escalate) dovesse fare perno sulla combinazione “of the U.S. nuclear triad, U.S. and other NATO non-strategic nuclear forces deployed in Europe, and the nuclear forces of our British and French allies”. Nella recente Nuclear Posture Review 2022, rilasciata dall’Amministrazione Biden, questo passaggio è stato edulcorato, facendo unicamente menzione di una (generica) capacità combinata delle forze nucleari statunitensi “with the independent nuclear forces of France and the United Kingdom”. Quattro anni dopo l’ultima Nuclear Posture Review statunitense, ossia in una situazione di aperta conflittualità armata ai confini dell’Ue, oltreché della NATO, l’aggiunta dell’aggettivo “independent” ad opera della nuova Amministrazione statunitense democratica non può che suonare indicativa.

Da queste considerazioni derivano due ulteriori aspetti. Il primo attiene alla effettiva credibilità del complesso dissuasivo della NATO ponendo, per conseguenza, la questione di un adeguamento della sua postura nucleare nell’intero spazio euro-atlantico, dall’Intermarium (per dirla alla Piłsudski) sino allo Stretto di Bering. Il secondo chiama in causa la necessità di affrontare una aperta riflessione sulla opportunità, o meno, di attuare un disaccoppiamento nel campo della deterrenza nucleare occidentale, creando i presupposti affinché l’Ue, dando così finalmente pieno significato al punto 7 dell’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea[5], si doti di una propria dottrina nucleare autonoma e distinta. Naturalmente – ça va sans dire – questo punto chiama, nuovamente, in causa l’unica potenza nucleare nell’Unione ossia la Francia e, quindi, il suo possibile ruolo di supremo garante della sicurezza strategica europea in un contesto globale, ormai, sempre più deteriorato e pertanto avviato verso una pressoché irreversibile entropia dell’ordine internazionale. Una funzione che, almeno in pectore, la Francia di Macron sembrava avere già assunto, se si considera quanto da egli affermato in un discorso sulla strategia di difesa e dissuasione tenuto il 7 febbraio 2020 all’École de Guerre di Parigi, quando, dinnanzi alla platea, aveva dichiarato che: “les intérêts vitaux de la France ont désormais une dimension européenne[6]. Nel caso i cui Parigi dovesse effettivamente assumere su di sé tale responsabilità, come primo passo, essa dovrebbe, giocoforza, tornare alla triade nucleare completa, a cui aveva rinunciato nel 1996 con lo smantellamento del Plateau d’Albion.

[1] https://tass.com/politics/1582823.

[2] https://www.armscontrol.org/act/2022-11/news/poland-reignites-nuclear-sharing-conversation.

[3] Multiple Independently [targetable] Reentry Vehicles.

[4] https://www.politico.eu/article/france-emmanuel-macron-nuclear-attack-russia-ukraine/.

[5] << Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri >>.

[6] https://www.vie-publique.fr/discours/273257-emmanuel-macron-07022020-politique-de-defense.

Roberto Motta Sosa
RobertoMottaSosa

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