Procura di Torino, Emilio Gatti: revoca cittadinanza eccessiva per i Foreign Fighters

Procura di Torino, Emilio Gatti: revoca cittadinanza eccessiva per i Foreign Fighters

16 Gennaio 2020 0

La fine della guerra in Siria pone dei seri problemi giuridici per tutti i Paesi europei che in questi anni hanno accolto i profughi provenienti proprio da quel Paese. L’UNHCR ha parlato di oltre 4 milioni di persone. A preoccupare in particolare è la gestione dei foreign terrorist fighter italiani che vorrebbero invece tornare in patria dopo aver combattuto in Siria. Proprio per questa ragione abbiamo scelto di intervistare il procuratore aggiunto della procura di Torino, coordinatore del gruppo specializzato nei reati sul terrorismo e l’eversione, Emilio Gatti.

– Procuratore Gatti, che cosa pensa della revoca della cittadinanza per i “foreign terrorist fighter” che dovessero rientrare dalla Siria?

– È una ipotesi normativa prevista dal nuovo Decreto Sicurezza, legata alla pronuncia di una sentenza definitiva per reati di matrice terroristica. Per ora non l’abbiamo ancora applicata perché non ci è capitato il caso.  Personalmente considero in via generale la privazione della cittadinanza una sanzione veramente pesante. Erich Maria Remarque scrisse un romanzo, in cui narra che la Germania nazista privava alcuni propri cittadini dei beni, della cittadinanza rendendoli apolidi e poi li espelleva, un libro molto toccante. I destinatari, privati di tutto, non sapevano proprio dove andare né come sopravvivere. Certo, se una persona avesse una doppia cittadinanza e gliene togliessero una, potrebbe avvalersi della prima, ma se invece avesse solo una cittadinanza e la perdesse, dove potrebbe andare?

– E per quanto riguarda l’istituzione di tribunali internazionali per giudicare i foreing terrorist fighter?

– L’ONU ha creato l’IIIM (International, Impartial and Indipendent Mechanism) un organismo di tipo investigativo in merito a gravi crimini commessi in Siria, volto a raccogliere prove e metterle a disposizione delle autorità giudiziarie nazionali, potrebbe riguardare anche i FTF.

– Ritiene che il giudizio dovrebbe istaurarsi all’interno della sovranità nazionale siriana o di quella italiana?

– I modelli di giustizia internazionale sono diversi. Esistono casi di Tribunali ibridi, come ad esempio quello di Timor Est o in Sierra Leone. Le norme sono quelle del Paese, opportunamente tradotte e corrette per adeguarle agli standard di tipo internazionale (per esempio, la pena di morte non viene applicata). I giudici internazionali e locali decidono insieme: una modalità che funziona bene ed è utile anche per far crescere il livello della giustizia locale. Se si guarda la giurisprudenza di ICTR (il Tribunale per i gravi fatti accaduti in Ruanda), invece, si applicano le norme del diritto internazionale umanitario che si basa sulle convenzioni di Ginevra. Poi c’è il Tribunale Penale Internazionale (ICC), che è un tribunale permanente.

– Qual è secondo Lei la soluzione migliore per la Siria?

– a quanto ho sentito, non vi sono attualmente investigazioni condotte da ICC, e sembra pertanto che l’attività di IIIM sopra descritta possa essere importante.

– I foreign terrorist fighter con cittadinanza italiana dovrebbero essere giudicati in Siria o in Italia?

– L’Italia ha un complesso di norme che consente anche di giudicare il fatto di una persona italiana che si è recata in Siria e che abbia commesso dei reati.

– Per quanto riguarda invece tutto ciò che è ingaggio dei terroristi potenziali? Si parla tanto di internet, delle moschee che possono diventare un veicolo per documenti falsi e per l’ingaggio. E poi c’è la questione delle carceri. Secondo la sua esperienza sono fantasie o c’è una base reale?

– Il problema esiste, così come esistono dei programmi di deradicalizzazione. Nella legislatura precedente si è tentato di far approvare una legge che poi non è stata approvata. In questo momento manca una norma che contemperi le palesi esigenze di segretezza delle indagini con quelle di prevenzione dalla commissione di reati. Quando intervengono l’arma dei carabinieri piuttosto che la questura, la magistratura  siamo già ad un livello di patologia. Invece dovrebbe intervenire la società civile, il Comune, gli assistenti sociali.  Manca in questo momento uno strumento normativo globale, così come invece esiste in altri Paesi d’Europa. Ci sono comunque dei programmi sperimentali in materia di deradicalizzazione all’interno di specifici procedimenti penali.

– Sono in corso processi a foreign fighter italiani che sappiamo essere collocati nell’area anarchica. In quel caso possono essere considerati terroristi?

– Per quanto riguarda il processo per l’applicazione di misure di prevenzione che si tiene a Torino non posso dire nulla perché è ancora in corso. Posso solo precisare che la richiesta non è basata su un’ipotesi di appartenenza di queste persone ad organizzazione terrorista, perché non esiste evidenza probatoria che le milizie a cui queste persone sono state accostate siano equiparabili ad ISIS, che invece loro combattono. Su ISIS abbiamo prove che abbia una matrice terroristica, visto che lo ammettono i suoi stessi componenti. In termini molto generali, c’è un bell’articolo di dottrina relativo ad una sentenza del tribunale belga di Anversa, che si domandava quale strumento utilizzare per comprendere se ISIS fosse o meno da definirsi come associazione terrorista. Parrebbe evidente: fanno gli attentati, ma nel mondo giuridico non è così semplice affermare che quelli siano terroristi. La soluzione prospettata è che ISIS combatte una guerra ma non rispetta il diritto internazionale umanitario, cioè le convenzioni di Ginevra e le altre regole relative ai conflitti armati: i suoi esponenti hanno sempre sostenuto che tutto ciò che riguarda il diritto degli altri non era di proprio interesse perché loro si richiamano a determinati parametri legali derivanti da un certo tipo di ideologia. E questo consente a un Tribunale di dire ecco vedi non sono degli insorti veri e propri, ma terroristi.

– Per i FF italiani oggi a processo?

Se parliamo del caso di Torino ritorno alla risposta precedente, non ci sono evidenze di loro appartenenza a gruppi di tipo terroristico. Le cd black list di ONU e UE contengono indicazioni di tipo politico o amministrativo, spunti per una riflessione ma insufficienti come prova di un fatto. Inoltre recentemente l’UE avrebbe cancellato il PKK anche da questa black list. Infine, le persone che ieri erano oggetto delle richieste di misure di prevenzione non aderiscono neanche al PKK ma a delle milizie che si dice siano collegate al PKK.

– Anche se fossero supporto di uno stato sovrano come quello di Assad?

– Non posso dire nulla su questa domanda, considero soltanto che quello che menziona Lei è uno Stato legittimo.

Marco Fontana
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