Per proteggere l’Artide serve la cooperazione internazionale, ma l’esclusione dei dati della Russia compromette gli studi scientifici
Gli scienziati dicono che prima o poi il riscaldamento globale libererà dai ghiacci molte aree dell’Estremo Nord, che hanno un ecosistema delicato e importante per la biosfera. Quindi, se l’Artide si sveglierà dal lungo sonno, le opportunità e le sfide che pone la gestione delle sue risorse riguardano tutto il mondo, non solo i Paesi che toccano il Circolo polare.
C’è ancora molto da studiare
La nostra società è convinta di aver svelato i segreti della natura e risolto tutti i suoi misteri. Ma nel caso dell’Artide si illude tragicamente, perché è un’area immensa non ancora esplorata del tutto né adeguatamente studiata. Il suo ecosistema è fragile e può essere facilmente distrutto dall’intervento umano. Nessun Paese vorrebbe rinunciare a sapere esattamente cosa nasconde il Polo Nord e cosa può prendere senza rovinarlo. Gestire le risorse in maniera sostenibile e corretta dal punto di vista scientifico, giuridico e politico è la vera sfida del XXI secolo. Secondo le informazioni dei satelliti americani, il ghiaccio artico è sceso di 2 milioni di km2 dal 1979, anno di inizio della raccolta dati. A settembre 2022 il ghiaccio copriva 4,67 milioni di km2, ma la tendenza a diminuire persiste. Si tratta al tempo stesso di un problema e di un’opportunità che coinvolge tutti i Paesi del mondo, in primo luogo quelli che si affacciano sul Circolo polare artico. Sono i membri del Consiglio Artico: Stati Uniti (con l’Alaska), Canada, Danimarca (con la Groenlandia), Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Federazione Russa. Oggi si stanno attivando anche i BRICS, i membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai e più in generale le nazioni asiatiche sul Pacifico, i Paesi latinoamericani e quelli mediorientali. La cooperazione di tutti i soggetti è indispensabile per studiare il cambiamento climatico e capire come reagire e come adattarsi positivamente alle sue conseguenze.
Nuovi protagonisti
Intanto allo studio dell’Artide hanno cominciato a dedicarsi anche i Paesi che non sono membri a tutti gli effetti del Consiglio Artico, ma “osservatori permanenti”. In primo luogo la Cina, che nell’ultimo decennio ha dedicato risorse alle missioni e aumentato l’attività in seno al Consiglio. Nel 2018 Pechino ha pubblicato il “libro bianco” della sua politica artica. La Cina si dichiara “Stato vicino all’Artide” ed esplica i suoi obiettivi di potenza marittima, scientifica e commerciale. Lo ha incluso nella sua iniziativa della Nuova Via della Seta creando la “Via della Seta Artica”, che dovrebbe connettere la rotta settentrionale con la via della seta marittima. Così, Pechino vede la regione come zona di passaggio merci e una sorta di deposito di risorse minerarie, da sfruttare in prospettiva. Certamente vuol difendere i propri interessi nazionali e avere un ruolo più eminente nell’ordine politico e giuridico che si va configurando intorno al Polo Nord. Anche l’India nel 2022 ha pubblicato la sua strategia artica, dopo aver lanciato una prima spedizione scientifica nel 2007 e aperto una stazione di ricerca l’anno successivo. Nuova Delhi vuole mantenere la presenza oltre il Circolo Polare. Le interessano le potenzialità logistiche e di trasporto della rotta dell’Estremo Nord come continuazione del Corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud. Poi vorrebbe una parte delle risorse minerarie della regione. Gli sforzi scientifici e diplomatici dell’India la accomunano agli altri Paesi asiatici che hanno mostrato impegno sempre maggiore nel Consiglio Artico. Sono appunto la Cina, e poi Singapore, Corea del Sud e Giappone. Proprio Tokyo ha proposto di creare stazioni congiunte con altri Paesi, condividendo i satelliti che possono fornire dati utilissimi.
I danni dell’esclusione della Russia
Il 3 marzo 2022 i membri del Consiglio Artico hanno deciso di sospendere la collaborazione con la Russia. Tale esclusione sta incidendo negativamente sui processi scientifici e provoca distorsioni nel sistema di osservazione del clima artico, che già di per sé necessitava di migliorie. È l’allarme lanciato dai ricercatori dell’Università di Aarhus, in Danimarca, pubblicato sulla rivista britannica Nature Climate Change. Viene citato il programma INTERACT, una rete di 74 basi situate in Europa settentrionale e in Nordamerica. Le 21 postazioni russe sono state messe “in pausa” nella primavera del 2022. Dopo la loro esclusione si è capito che senza quei dati era impossibile fornire una visione completa e garantire un grado soddisfacente di precisione scientifica. Quindi sono a rischio le previsioni dei cambiamenti climatici e dello sviluppo dell’ecosistema della regione. I ricercatori hanno considerato otto variabili chiave, fra cui la temperatura media annua dell’aria, la profondità della neve e la biomassa della vegetazione. Alla Russia appartiene una zona molto ampia di Artide, dunque è Mosca ad avere inevitabilmente un ruolo di primo piano, se non addirittura di leadership nello studio e nella difesa dell’ambiente artico. Nel programma INTERACT oggi non tengono conto dei dati raccolti nella taiga siberiana e in altre grandi zone forestali russe. Dunque è ridicolo parlare di dati globali quando manca un pezzo così importante del quadro.
Prima o poi si tornerà a cooperare
Una relazione del Zentrum für Osteuropa und internationale Studien (ZOiS) mostra le difficoltà e i pericoli per l’Artico causati dalla rottura da parte dell’Occidente dei legami scientifici ed energetici con la Russia. Pur attenendosi a una visione strettamente euroatlantica, lo ZOiS non può fare a meno di augurarsi che la cooperazione con Mosca venga almeno parzialmente ristabilita, allo scopo di salvaguardare la natura e il progresso scientifico. Anzi, nota come nel Consiglio Artico vi sia consenso a questo proposito e delinea i punti chiave su cui concentrare gli sforzi. Suggerisce l’aiuto di organizzazioni come l’Intergovernmental Panel on Climate Change e l’International Council for the Exploration of the Sea. Esse potrebbero facilitare lo scambio dei dati fra i gruppi di ricerca russi e occidentali. A dare aiuto potrebbero essere anche Paesi terzi. Tuttavia è chiaro come essi propendano di più a cooperare con la Russia che non ad agevolare gli interessi euroamericani. Anzi, in un certo modo India e Cina concorrono fra di loro sia per una quota dello sviluppo dell’Artide sia per un posto di partner privilegiato della Russia in tale ambito. Gestire i cambiamenti dell’Artide è infatti qualcosa che influirà pesantemente non solo a livello scientifico e ambientale, ma soprattutto economico. Dunque molti ritengono che vada oltre le contingenze geopolitiche e sia da affrontare con spirito collaborativo. Gli scienziati dicono che prima o poi il riscaldamento globale libererà dai ghiacci molte aree dell’Estremo Nord, che hanno un ecosistema delicato e importante per la biosfera. Quindi, se l’Artide si sveglierà dal lungo sonno, le opportunità e le sfide che pone la gestione delle sue risorse riguardano tutto il mondo, non solo i Paesi che toccano il Circolo polare.
Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.