Partygate, il vero problema di Johnson si chiama Tory
Boris Johnson quest’oggi è dovuto salire nuovamente alla Camera dei Comuni per perorare la sua causa e chiedere scusa al Popolo del Regno Unito. Il suo intervento è arrivato dopo aver ricevuto la multa comminata da Scotland Yard per aver violato le restrizioni anti Covid, introdotte dal suo stesso governo, in un evento del giugno 2020 in cui si festeggiava il suo compleanno a Downing Street. “Mi scuso con tutto il cuore” e “senza riserve” ha affermato il premier britannico nella sua arringa dove ha però anche ribadito la sua intenzione di non dimettersi per svolgere il suo “dovere con umiltà” e soprattutto invocando il dovere a combattere il nemico assoluto “Vladimir Putin” e per “rafforzare il sostegno del Regno Unito all’Ucraina“. Una difesa estremamente debole, in particolare laddove ha candidamente affermato “non mi è venuto in mente, né allora né successivamente che la mia partecipazione a un breve incontro per il mio compleanno a Downing Street poteva equivalere a una violazione delle regole“. Una pezza, peggio del buco che crea un assist formidabile all’opposizione ma ancora di più a chi nel partito conservatore (Tory) ne chiede la testa.
Keir Starmer, leader dell’opposizione laburista britannica, ha respinto come “una barzelletta” le “scuse contorte” rinnovate dal premier conservatore Starmer ha rigettato al mittente il tentativo di coprire lo scandalo in un primo momento e poi il goffo tentativo di legare la vicenda alla crisi ucraina le sorti del suo premierà e ha tuonato che “se avesse un minimo di dignità si dimetterebbe“. Anche Sir Ed Davey, leader dei Liberal Democratici, è andato all’attacco: “Il Paese non può permettersi un Primo Ministro che infrange la legge e mente al riguardo, soprattutto quando le famiglie si trovano ad affrontare una crisi del costo della vita. Johnson ha preso in giro il popolo britannico per troppo tempo, ed è tempo che i parlamentari conservatori mostrino la loro posizione. Devono fare il loro dovere patriottico e cacciare Boris Johnson da Downing Street una volta per tutte“.
Come detto però i problemi veri Johnson li ha all’interno del suo partito. Mark Harper, l’ex capo dei conservatori, ha invitato proprio oggi BoJo a dimettersi: “Mi dispiace dire che abbiamo un Primo Ministro che ha infranto le leggi che aveva detto al Paese che andavano seguite. Non è stato sincero al riguardo e ora chiederà a uomini e donne rispettabili, che siedono nei seggi del Parlamento, di difendere ciò che ritengo indifendibile. Non è più degno della grande carica che ricopre“.
E ora, dopo che lo speaker dell’assemblea di Westminster, Lindsay Hoyle, ha dichiarato ammissibile la richiesta, la Camera dei Comuni britannica sarà realmente chiamata ad esprimersi iil prossimo giovedì su una mozione presentata dalle opposizioni, Labour in testa, che chiede di deferire il premier dinanzi al Privileges committee (sorta di commissione sulle autorizzazioni a procedere) per valutare se il premier conservatore abbia ingannato il Parlamento a proposito del Partygate. Si tratta di un banco di prova fondamentale per Johnson, il quale sulla carta non dovrebbe avere problemi ad ottenere i voti necessari per la fiducia ma che deve guardarsi dai propri compagni di partito.
Fra questi c’è sicuramente Theresa May, ex primo ministro e ministro degli interni, che ha criticato apertamente la politica sui migranti in Ruanda di Priti Patel adducendo “motivi di legalità, praticità ed efficacia“. May, che non è mai stata una politica morbida sui migranti essendo l’ideatrice della ‘migrazione netta al di sotto dei 100.000, ha chiesto prove peraltro che il piano del governo di inviare migranti attraverso la Manica in Ruanda “non porterà semplicemente a un aumento della tratta di donne e bambini“. Ma ad opporsi al programma sui richiedenti asili di Johnson sono anche altri esponenti Tory. Andrew Mitchell, ex ministro dello sviluppo internazionale, ha ammesso alla Camera dei Comuni “che molti dei suoi colleghi conservatori nutrono gravi preoccupazioni al riguardo. Questa politica semplicemente non funzionerà“. David Davis, l’ex ministro della Brexit, martedì sul Times ha chiosato che “Le libertà della Brexit dovrebbero riguardare innovazioni che giustificano l’eccezionalismo britannico sulla base della leadership morale, non della delinquenza morale. Siamo migliori di così. O almeno, lo eravamo una volta“. Non è da sottovalutare neppure il ruolo della Chiesa anglicana. L’arcivescovo di Canterbury Justin Welby nel suo sermone di
Pasqua, citato dalla Bbc, ha detto che ci sono “serie questioni etiche sull’invio di richiedenti asilo all’estero“. E ha aggiunto: “I dettagli sono per la politica e i politici. Il principio deve resistere al giudizio di Dio. Subappaltare le nostre responsabilità, anche a un Paese che cerca di fare bene come il Ruanda, è l’opposto della natura di Dio, che si è preso la responsabilità dei nostri fallimenti“.
Sicuramente il conflitto in Ucraina aiuterà Johnson a raccogliere consensi per evitare un vuoto di governo, ma il rischio di numerose defezioni nel voto di giovedì prossimo è veramente alto. Anche perchè nessuno dimentica le continue dimissioni che hanno colpito il suo esecutivo poco prima della crisi russo-ucraina.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.