Nauru abbandona Taiwan e si rimette dalla parte di Pechino

Nauru abbandona Taiwan e si rimette dalla parte di Pechino

31 Gennaio 2024 0

Il 15 gennaio è avvenuto un piccolo terremoto geopolitico al largo della costa pacifica del sud-est asiatico. Nauru ha infatti annunciato la riapertura delle relazioni con la Cina a seguito della rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan. La decisione è stata presa dopo che le elezioni taiwanesi sono state vinte da William Lai Ching-te, candidato fortemente sgradito a Pechino.

Cerimonia coi ministri

A Pechino hanno festeggiato il riavvicinamento con una cerimonia alla quale hanno presenziato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e quello di Nauru Lionel Aingimea. Quest’ultimo ha dichiarato di attendersi una nuova fase di relazioni bilaterali edificata sulla forza, costruita su una strategia di sviluppo. Il ministro cinese ha sottolineato la lunga storia di amicizia fra i due popoli, pur separati geograficamente da un largo tratto di oceano.

Pechino ha anche convocato l’Ambasciatore delle Filippine, dopo che il governo di Manila si era congratulato con Lai Ching-te per la vittoria alle presidenziali, e gli ha intimato di non scherzare col fuoco.

La reazione di Taipei

Il viceministro degli Esteri taiwanese Tien Chung-kwang ha affermato che la Cina comunista ha intenzione di attaccare la democrazia e la libertà di cui il popolo di Taiwan va fiero. Dal canto suo, Taipei ha reagito tranciando a sua volta i rapporti con Nauru per salvaguardare la dignità nazionale, come comunicato dal dicastero.

Non è la prima volta che l’isola del Pacifico cambia squadra. Prima dalla parte di Taiwan, nel 2002 ha riconosciuto la prevalenza di Pechino nella questione, per poi tornare a riconoscere la sovranità di Taipei nel 2005. Dopo diciannove anni ecco che dà ragione alla Repubblica Popolare Cinese e annulla il supporto alla Repubblica di Cina, la quale resta con soli 12 Paesi che a riconoscerla ufficialmente come Stato sovrano e indipendente.

Oltre al Vaticano, vi sono Belize, Guatemala, Haiti, Paraguay, Saint Lucia, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine in America, le isole Marshall, Palau e Tuvalu in Oceania ed Eswatini in Africa.

Un Paese di estremi

Nauru è caratterizzata dalla sproporzione fra numero di abitanti ed estensione da un lato, PIL e potenziale strategico dall’altro. L’isola è situata a 4mila chilometri a nord-est di Sydney, ha una superficie di 21 chilometri quadrati e una popolazione di meno di 13mila persone. Dopo una clamorosa altalena fra ricchezza e default totale, oggi l’assistenza della Cina dovrebbe garantirle di tornare in alto.

Nauru fa da ago della bilancia anche in altre questioni geopolitiche: i rapporti con l’Australia, di cui ospita un centro immigrati, e le decisioni sullo sfruttamento dei fondali marini. Inoltre ha acquisito influenza sul piano regionale grazie all’elezione del suo ex primo ministro Baron Waqa a segretario generale del Pacific Islands Forum (PIF) lo scorso novembre.

Enorme ricchezza e difficoltà economiche

Oggi l’isola sta ancora vivendo grosse difficoltà economiche ed è intenta a trovare un equilibrio fra turismo sostenibile e sfruttamento dei fondali marini. Il supporto cinese potrebbe essere determinante per evitarle la rovina completa, dopo che nella seconda metà del XX secolo le sue miniere di fosfato l’avevano resa uno dei Paesi più ricchi del mondo.

Decenni di sfruttamento minerario hanno devastato il territorio e soltanto l’intervento dell’Australia nei primi anni 2000 salvò Nauru dal “baratro fiscale”. Canberra infatti vi ha costruito un centro di smistamento per immigrati (soprattutto mediorientali), che sta tuttora finanziando, ma i costi crescenti e il passaggio di Nauru nel campo cinese ne minacciano la continuazione.

Redazione Strumenti Politici
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