Mareike Ohlberg sul suo ‘La Mano Invisibile’: “Sarebbe errato pensare che il Partito Comunista Cinese abbia conquistato tutti, ma non riesco a ricordare un solo Stato in cui non abbiano almeno un ‘amico’”
La pandemia ha fatto registrare un rafforzamento dell’economia cinese, ma ancora di più della capacità di penetrazione nel mondo come sistema alternativo a quelli occidentali. In un contesto di questo tipo e praticamente in contemporanea con la celebrazione del 95° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese è uscito nelle librerie italiane un libro che ha ‘nelle corde’ di aprire un profondo dibattito sui costi che l’Occidente e il mondo intero stanno pagando per questa espansione. E sul perché il modello cinese stia incontrando sempre più successo. Si tratta de “La Mano Invisibile” pubblicato da Fazi Editore e scritto da Clive Hamilton, accademico e autore australiano, e da Mareike Ohlberg, membro del programma Asia del German Marshall Fund, entrambi autori di brillanti articoli ospitati da testate quali The Guardian, The New York Times, Foreign Affairs. Questa saggio cerca di ricostruire il “programma di sovversione” che starebbe mettendo in atto il Partito Comunista Cinese attraverso proprio la sua espansione economica nel mondo. Abbiamo voluto approfondire i contenuti di questo coraggioso ritratto in particolare con uno dei due autori, Mareike Ohlberg.
– Che differenza c’è tra soft power e sharp power?
– Il concetto di “soft power” è stato proposto da Joseph Nye per descrivere la maniera in cui alcuni Stati tentano di influenzare altri Stati non attraverso la forza militare “bruta”, ma usando il fascino della propria cultura, dei propri valori e delle proprie leggi. Lo sharp power è stato invece proposto dal NED (National Endowment for Democracy) per il tipo diverso di potere utilizzato dagli Stati autoritari, che non rientra nello schema del soft power (perché non fa leva sull’attrattività della cultura o dei valori per vincere su altri Paesi) né corrisponde al concetto classico di hard power. Nella definizione data dal NED, lo sharp power si caratterizza per l’uso della coercizione, della manipolazione e dell’intimidazione da parte di uno Stato autoritario per imporre nei Paesi democratici la censura o altre normative dittatoriali.
– Quale ruolo hanno il Fronte Unito e l’UFWD da quando Xi Jinping è diventato Segretario del Partito?
– Il ruolo del Fronte Unito, dell’UFWD e di altri organizzazioni connesse è quello di coinvolgere le forze esterne al Partito, in sostanza di avvicinare ad esso gruppi di etnie o religioni differenti, organizzazioni di massa come quelle dei settori professionali, i gruppi delle donne o dei giovani, per far sì che possa esercitare la sua influenza su di essi. Negli ultimi anni il Fronte Unito ha attirato su di sè l’attenzione, perché Xi Jinping lo ha ingrandito e perché i cinesi di oltremare sono tra gli obiettivi del suo operare.
– Il richiamo all’ideologia è solo interno o è anche verso l’esterno?
– L’ideologia svolge un ruolo essenzialmente interno alla Cina, mentre l’obiettivo principale del Partito è di edificare per i cinesi un’ideologia che li guidi. Tuttavia in anni recenti stiamo assistendo a tentativi sempre più frequenti di esportarne una parte all’estero, come si vede ad esempio nello sforzo di promuovere a livello internazionale in modello cinese. Stanno diventando comuni le affermazioni sulla “superiorità del sistema cinese”, inteso come alternativa ai vari sistemi occidentali di ordine economico e politico.
– In Cina esistono un mondo accademico e industriale indipendenti dal Partito? La recente multa record ad Alibaba farebbe pensare di no.
– Ovviamente gli accademici e gli uomini d’affari cinesi hanno degli interessi che sono independenti dal Partito, ma quest’ultimo sta cercando di stringere il controllo su tutti gli ambiti della vita, inclusi appunto il business e le università. Quando sorge un conflitto tra un interesse privato del mondo degli affari e gli interessi del Partito, questi ultimi prevalgono. Un numero sempre maggiore di ramificazioni del Partito è stato impiantato nelle aziende e nelle università per garantire più controllo su questi settori.
– Quanto influiscono sulle élite cinesi i “doppi incarichi” e le “doppie denominazioni” per celare i veri scopi della Cina? Si possono fare degli esempi?
– Vi sono varie ragioni per le quali esiste la “doppia etichettatura” nella burocrazia cinese: non tutte riguardano il fatto di celare i veri scopi del Partito Comunista Cinese, ma aiutano certamente a fare da velo al suo ruolo nel momento in cui le organizzazioni interagiscono con gli stranieri. Ad esempio, l’Ente Lingue straniere del Partito Comunista utilizza il nome di “China International Publishing Group”, che lo fa sembrare un editore privato invece che una sezione del Partito. In generale, le persone all’interno della burocrazia del Partito capiscono bene che è meglio usare un nome dal suono “commerciale” nel momento in cui operano all’estero. Un altro caso è quello del Dipartimento centrale della Propaganda del Partito Comunista Cinese, che si affida al nome di “State Council Information Office” quando ha relazioni con il mondo esterno. Certamente anche qui il Partito ha compreso che un “Ufficio Informazioni” del governo suona molto meglio che un “dipartimento della propaganda”.
– Il presidente Joe Biden sembra aver ravvivato una sorta di Guerra Fredda con la Russia, ma pare molto più morbido nel suo approccio verso la Cina. Ciò è più frutto del lavoro sulle élite democratiche o dei legami e interdipendenze economiche tra le due superpotenze?
– Biden ha ripreso in molti modi gli elementi chiave della politica cinese dell’amministrazione Trump e li sta utilizzando in una maniera diversa, per cui non credo che il suo atteggiamento verso la Cina sia “morbido”. Varrà ciò che valeva anche per Trump, cioè sarà fatta pressione sull’amministrazione Biden affinchè non proceda con certe misure pesanti come l’escludere le aziende cinesi dalle borse americane.
– Quanto influisce la “teoria del 95%” sui silenzi cinesi su certi argomenti?
– In generale, il governo cinese e il Partito comunista amano rendere un singolo Paese, un’azienda o un individuo degli “esempi”, trattandoli molto duramente, anche per spaventare gli altri che sono nella medesima posizione. Il senso è quello di non dover iniziare troppe battaglie contemporaneamente, ma di reagire in maniera sproporzionata soltanto su alcune persone o organizzazioni: questa strategia è conosciuta in Cina con il nome di “uccidere la gallina per spaventare la scimmia”.
– Taiwan e Hong Kong possono costituire un “Muro di Berlino” contro la supremazia del Partito in Cina?
– Hong Kong e Taiwan si trovano in posizioni fondamentalmente differenti. Sfortunatamente con la Legge sulla sicurezza nazionale la società civile e gli attivisti democratici non sono più in condizione di potersi organizzare a Hong Kong. Credo in molti lasceranno la città, se potranno farlo. Per Taiwan invece è diverso, perché né il Partito né il governo cinese hanno controllo sull’isola.
– Quanta forza ha il Partito nella sua azione di circondare i nemici con il “mondo in via di sviluppo”? La Cina ha vinto la guerra contro gli Usa in Africa?
– Non sono completamente d’accordo con la premessa: la Cina ha sicuramente una forte presenza in molti Paesi africani, sia dal punto di vista degli affari che di quello della politica, ma personalmente credo non sia utile guardare all’Africa solamente nella prospettiva della competizione tra USA e Cina. Questo continente esiste di suo, non è soltanto un “campo di battaglia” per la rivalità fra due Paesi.
– Quanto è marcato l’adescamento dei leader europei in Europa e negli USA?
– Dipende da un certo numero di fattori e cambia da Paese a Paese; comunque il Partito Comunista Cinese sta senza dubbio cercando di corteggiare i politici stranieri, compresi quelli che avevano assunto cariche, in America del Nord e in Europa Occidentale, mediante i gruppi di amicizia e facendo in modo che siano coinvolti in buone relazioni con la Cina. Sarebbe errato pensare che il Partito abbia conquistato tutti, ma non riesco a ricordare un solo Stato in cui non abbiano almeno un “amico”.
– La migrazione dalla Cina è un fatto costruito ad arte dal Partito?
– No, non lo è.
– Il vostro interessantissimo lavoro pare limitato in un fatto: siamo certi che le stesse manipolazioni compiute dalla Cina non vengano fatte anche dall’Occidente? Possibile che esista solo uno “schieramento del male” e non invece tanti piccoli ma organizzati gruppi che lottano per la supremazia globale?
– Sono tantissime le cose che non amo della politica estera dei Paesi occidentali, ma questo argomento “benaltrista” non è di aiuto. Anzitutto, ciò che il governo cinese sta facendo, è sotto vari aspetti molto al di là di quello che fanno i governi occidentali, e inoltre ha lo scopo di zittire, non di incoraggiare il dibattito. È un po’ come quando il governo cinese dice “quello che facciamo nello Xinjiang va bene, perché anche i Paesi occidentali hanno compiuto genocidi!”: così ne deriva che uno non può parlare delle azioni dei cinesi, perché anche altri Stati hanno fatto cose brutte. È un approccio sbagliato; abbiamo bisogno dell’esatto opposto.
– Quanto siamo vicini a una riorganizzazione della governance globale a trazione cinese? E chi è oggi il più grande oppositore di questo disegno? Il vostro libro può essere un tassello per una presa di consapevolezza al riguardo?
– Il tentativo del Partito Comunista Cinese di ridisegnare il sistema globale è un progetto a lungo termine, che non può essere completato da un giorno all’altro. La sua influenza, però, è cresciuta oltre la misura che molti consideravano plausibile appena un decennio o due orsono. Con il nostro libro speriamo di attirare l’attenzione verso questo argomento, al fine di rallentare o invertire il corso di certe tendenze.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.