Inchiesta del The Federalist: i finanziamenti di Washington ai media di regime ucraini hanno finito per penalizzare gli stessi giornalisti americani

Inchiesta del The Federalist: i finanziamenti di Washington ai media di regime ucraini hanno finito per penalizzare gli stessi giornalisti americani

12 Maggio 2024 0

Il giornale conservatore The Federalist ha ospitato un’inchiesta del giornalista investigativo Lee Fang sugli effetti dei finanziamenti del governo USA ai media ucraini. Milioni di dollari dei contribuenti americani sono stati usati per creare, sostenere e istruire una serie di testate che hanno coadiuvato il governo ucraino nella costruzione del consenso. Purtroppo tale opera di propaganda ha coinciso con la censura e la disinformazione. L’azione censoria dei fact-checker a libro paga di Washington e quella denigratoria dei relativi media si è spesso scatenata sui giornalisti e sugli accademici americani, rei di portare un punto di vista diverso da quello di Kiev.

Vittime illustri della guerra mediatica

La guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia non viene svolta dall’Ucraina solamente nelle trincee del Donbass. La guerra la fa anche in quello che gli strateghi militari chiamano il “campo di battaglia cognitivo”. In ballo c’è la conquista dei cuori e delle menti dei cittadini. Un’intera costellazione di testate e gruppi editoriali, creati di fatto col finanziamento e l’orientamento del governo USA, non hanno operato soltanto per contrastare la propaganda russa. Hanno anche appoggiato le severe leggi censorie e le chiusure dei media dissidenti. Hanno sparso essi stessi disinformazione e hanno cercato di silenziare le voci critiche verso la guerra. Fra di esse vi sono quelle di molti cittadini americani, come l’economista Jeffrey Sachs, il presentatore Tucker Carlson, il giornalista Glenn Greenwald e il professore dell’Università di Chicago John Mearsheimer. Sono voci critiche sia di destra che di sinistra che hanno ricevuto il marchio di aderenti alla “rete propagandistica russa”.

I peccati dei pensatori indipendenti

Queste figure prese di mira dai controllori ucraini non sono certo agenti del Cremlino, ma hanno solamente dissentito dalla narrativa dominante. Sachs è un esperto di sviluppo internazionale altamente rispettato, che ha indispettito i politici ucraini esortando ripetutamente alla soluzione diplomatica della guerra. Lo scorso novembre ha parlato all’ONU invocando una pace negoziata. Mearsheimer è autore prolifico di testi sulle relazioni internazionali ed è scettico verso l’allargamento della NATO. Aveva previsto che gli sforzi occidentali di militarizzazione dell’Ucraina avrebbero causato la risposta armata dei russi.

Greenwald è giornalista indipendente e vincitore di un Pulitzer. Ha biasimato la copertura mediatica del conflitto e anche le dinamiche con cui i media hanno soppresso le voci contrarie alla narrativa americana. Dice: Quando chiedono la censura della “propaganda filorussa”, in realtà intendono silenziare tutto ciò che mette in dubbio il ruolo degli USA e della UE nella guerra ucraina e chi dissente dalle loro narrative.

Finanziamenti per milioni di dollari

Non ci sono prove dell’influenza del Cremlino sui loro punti di vista. I loro commenti bastano da soli a farli etichettare come propagandisti russi da una rete di media ucraini sostenuta dagli USA. Mentre il Congresso discuteva del nuovo pacchetto di aiuti allo sforzo bellico di Kiev, i dollari dei contribuenti americani già defluivano verso testate quali “The New Voice of Ukraine”, “VoxUkraine”, “Detector Media”, “Institute of Mass Information”, la compagnia televisiva pubblica ucraina e molti altri.

Alcuni di questi denari arrivano dal pacchetto di 44,1 miliardi di dollari in aiuti umanitari internazionali. Da una parte, ufficialmente etichettano il finanziamento come ambizioso programma di sviluppo di notiziari indipendenti di alta qualità, per contrastrare la nefasta influenza russa e per modernizzare le vecchie leggi ucraine sui media. Dall’altra, in molti casi i nuovi siti hanno promosso messaggi aggressivi che si allontanano dalle tradizionali buone pratiche giornalistiche, al fine di avanzare le posizioni ufficiali del governo di Kiev e delegittimarne i critici.

Critiche ucraine al New York Times

VoxUkraine ha pubblicato dei video ultra-elaborati che attaccano la credibilità delle voci americane di opposizione, compresi quindi Sachs, Mearsheimer e Greenwald. Detector Media, uno dei più influenti comitati controllori di media, ha prodotto a sua volta una serie di post e di contenuti mediatici che etichettano i critici americani della guerra come parte dell’opera di disinformazione russa. Queste redazioni si sono dedicate anche al dibattito interno: le trasmissioni di Detector Media ridicolizzano coloro che rimproverano le mosse del governo ucraino per far chiudere i media di opposizione. Non sono solamente i soggetti dissidenti a essere nel mirino di questi gruppi mediatici, patrocinati dall’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (USAIDU.S. Agency for International Development).

Lo scorso febbraio Detector Media ha attaccato il New York Times a proposito del reportage sulle centinaia di ucraini catturati o dispersi nella battaglia di Avdeevka. Il sito di fact-checking ucraino ha offerto poco in termini di smentita, perché ha soltanto citato un portavoce delle Forze armate ucraine che contestava la notizia dell’NYT, definita da lui come “disinformazione”. New Voice of Ukraine ha citato un funzionario governativo che la descriveva come PsyOp russa, cioè operazione di guerra psicologica.

Contenuti in inglese censurati da Kiev

A differenza di analoghi programmi mediatici condotti dallo USAID in Medio Oriente, le testate ucraine tendono a produrre un grosso volume di contenuti in lingua inglese che poi rifluiscono sul pubblico americano e prendono esplicitamente di mira il dibattito interno sulla politica estera di Washington. New Voice of Ukraine collabora con Yahoo News. VoxUkraine è partner di fact-checking di Meta, che assiste nel rimuovere contenuti bollati come “disinformazione russa” da Facebook, Instagram e WhatsApp. Detector Media ha guidato in maniera simile un consorzio di gruppi no profit che premono sui social per togliere di prepotenza i contenuti critici verso l’Ucraina.

Ha senso utilizzare l’inglese perché in questo modo la narrativa che i fruitori trovano sui media mainstream occidentali viene descritta come voci ufficiali ucraine, afferma Nicolai N. Petro, professore specializzato in affari russi e ucraini presso l’Università di Rhode Island. Così queste diventano le voci ucraine conosciute, sebbene siano soltanto l’eco della voce che siamo noi a proiettare dentro l’Ucraina.

Zelensky vede la mano dei russi ovunque

Nel nuovo pacchetto di aiuti bellici approvato dal Congresso, una piccola porzione dei 60 miliardi va alla continuazione dei programmi USAID nel Paese. Il presidente Volodymyr Zelensky, in una recente intervista con Politico e con Bild, ha ipotizzato che i parlamentari che si sono espressi con scetticismo verso il pacchetto siano sotto l’influenza della propaganda russa. Hanno lobby dappertutto: negli USA, nei Paesi UE, in Gran Bretagna, in America Latina, in Africa, sostiene Zelensky a proposito dell’influsso della Russia, ma senza fare i nomi. I gruppi di pressione pro-Cremlino, ha aggiunto il leader di Kiev, contano su determinati gruppi mediatici e su cittadini degli Stati Uniti.

Il controllo dell’informazione è una dinamica assolutamente centrale nello svolgimento del conflitto. I media americani hanno dato ampia copertura agli sforzi di Putin di rendere dura la vita alle testate critiche, adottando leggi che puniscono la “falsa informazione” sull’operazione militare speciale. Numerosi media indipendenti russi hanno dovuto chiudere, compresa la stazione radio di sinistra Ekho Moskvy. Il governo di Mosca ha anche bloccato i siti di notizie in lingua russa localizzati in Occidente e ha arrestano almeno 22 giornalisti, compreso Evan Gershkovich dello Wall Street Journal (accusato di spionaggio governativo e industriale a favore degli USA, N.d.R.).

Se la censura è ucraina, allora si chiama protezione della verità

Ma molta meno attenzione viene data al giro di vite del governo ucraino sui media indipendenti e di opposizione, una mossa sostenuta dalla rete dei gruppi anti-disinformazione finanziati dagli USA. Sono oggetto di discussione maggiore persino gli sforzi di Washington di censurare le informazioni, ma l’aiuto americano agli sforzi ucraini mostra a livello globale fin dove possano arrivare le mani della propaganda governativa statunitense. C’è una guerra dell’informazione che si sta combattendo fra Russia e Ucraina e gli USA non sono un attore disinteressato, ma una controparte attiva, dice George Beebe, dirigente del Quincy Institute for Responsible Statecraft. Il governo americano sta provando a modellare l’opinione pubblica ed è parecchio dura separare ciò che si produce per il pubblico straniero da ciò che poi filtra dentro l’anglosfera, chiamiamola così, compresi quindi gli Stati Uniti.

Gli specialisti della comunicazione

L’ascendente americano nell’ambiente mediatico ucraino risale alla fine della Guerra Fredda e si è intensificato negli anni più recenti. A partire dallo scoppio del conflitto, il finanziamento di USAID si è esteso a 175 testate nazionali ucraine. Nell’ultimo decennio, gli sforzi per reprimere la libertà di parola sono stati progressivamente giustificati come un tentativo di protezione dei social dalla disinformazione. Gli USA hanno coadiuvato la creazione di nuovi think tank e di controllori mediatici e hanno dato l’apporto di specialisti della comunicazione per orientare l’approccio di Kiev. Nina Jankowicz, la funzionaria polemica che Biden ha nominato capo della Commissione dell’anti-disinformazione presso il Dipartimento degli Interni al fine di regolare i contenuti social, aveva in precedenza fatto da consigliere per il Ministero degli Esteri ucraino a proposito del lavoro di contrasto alla disinformazione.

Che cos’è la disinformazione per Washington

Sono arrivate domande sui gruppi anti-disinformazione ucraini patrocinati dagli USA che se la prendono coi cittadini americani. In risposta, il Dipartimento di Stato ha emesso un comunicato. In esso definisce la disinformazione come “informazione falsa o tendenziosa che viene deliberatamente creata o diffusa con l’intento di ingannare o sviare”. Aggiunge poi: “Accettiamo che vi possano essere altre interpretazioni o definizioni o non censuriamo né costringiamo le organizzazioni indipendenti ad adottare la nostra descrizione”. Sottolineando da un lato che gli USA “forniscono fondi a organizzazioni mediatiche indipendenti e credibili allo scopo di rafforzare la democrazia nei Paesi del mondo nei quali lavoriamo”, il comunicato afferma quanto segue: “Non abbiamo il controllo dei contenuti editoriali di tali organizzazioni”.

Campagne propagandistiche

Tuttavia, queste rivelazioni indicano che il governo americano e i suoi beneficiari a cui è stato dato l’incarico di riformare le istituzioni Kiev hanno direttamente fissato l’agenda per i media ucraini. Appena dopo l’inizio dell’operazione militare speciale russa, lo USAID ha concesso sussidi di emergenza ai suoi partner mediatici, in parte attraverso lo Zinc Network, un appaltatore con sede a Londra che era stato accusato di aver allestito campagne segrete di propaganda per conto del governo britannico.

Nella descrizione del sussidio si dice che il denaro sarebbe andato a Zinc Network e a Detector Media allo scopo di assistere il governo ucraino nelle comunicazione strategiche e di “indebolire le operazioni di informazione del Cremlino”. Quindi nulla a che vedere con il giornalismo indipendente: come da direttive del finanziamento, i beneficiari avrebbero dovuto effettuare “coperture mediatiche e propagandistiche rapide ed efficienti”. Oltre che per contrastare la disinformazione russa, i soldi sarebbero serviti a “mantenere alto il morale del pubblico” e a “esaltare il supporto internazionale per la solidarietà con l’Ucraina”.

Il linguaggio da censurare

Lo scorso settembre, il giornalista Jack Poulson ha riferito di una fuga di informazioni dalla Zinc Network’s Open Information Partnership, che ha aiutato a coordinare le attività di alcune organizzazioni no profit di contrasto alla disinformazione russa in Europa e finanziate da Paesi membri della NATO, compresa Detector Media. Il lungo report descrive la disinformazione non solo come contenuto falso o fuorviante, ma anche come “informazioni verificabili che sono sbilanciate o faziose e che amplificano volutamente o esagerano determinati elementi oppure utilizzano un linguaggio emozionale o provocatorio per ottenere effetti che rientrino nella attuale narrativa del Cremlino, nei suoi obiettivi e nelle sue attività”.

Basta una parolina detta con troppa enfasi…

In altre parole, secondo tale organizzazione sostenuta dagli USA che guida gli sforzi dei think tank e dei media ucraini, qualunque notizia basata sui fatti ma espressa con un linguaggio troppo carico e che si accosti anche solo lontanamente al punto di vista russo diventa disinformazione. Finiscono in questa categoria molte affermazioni generiche, come quella secondo cui la NATO sta usando l’Ucraina come pedina della sua guerra per procura contro la Russia oppure le preoccupazioni sulla corruzione dei politici ucraini. La relazione procede poi ad accusare vari esperti britannici e americani, i quali poiché dipingono l’Occidente come diviso, corrotto e nefando sono parte del sistema di disinformazione russa. Il documento fa i nomi di giornalisti liberal come Max Blumenthal e Ellie Cook di Newsweek, oltre a personalità repubblicane come l’ex candidato presidenziale Vivek Ramaswamy e il deputato dell’Arizona Andy Biggs, e dice che le loro uscite pubbliche sono ora materiale per la propaganda e la disinformazione russa.

Ucraina, censura di Stato sui media

Il resoconto della Open Information Partnership propone l’adozione di nuove leggi per contrastare i “soggetti stranieri malintenzionati”. Inoltre suggerisce alle agenzie di intelligence europee di “fare di più” e di assumere un “approccio unificato” contro i pericoli della disinformazione. Zinc Network non ha risposto alla richiesta di rilasciare un commento. Il governo ucraino ha lavorato insieme ai funzionari di Washington e ad altri allo scopo di censurare i suoi critici americani. Un esempio lampante è quello di Aaron Maté. È un collaboratore di RealClearInvestigations e su varie testate ha disapprovato la politica americana sull’Ucraina. A seguito dell’operazione speciale, Twitter (sotto la precedente proprietà) lo ha segnalato come da censurare. Lo ha fatto dopo che i servizi segreti ucraini dello SBU lo avevano inserito in una lista di account – inviata all’FBI – di sospettati dalla medesima agenzia di intelligence di essere “diffusori di paura e disinformazione”.

Il strano caso di Burley

Appena qualche mese dopo la richiesta del social, è arrivata la dichiarazione di Ross Burley. Ex dirigente di Zinc Network e Open Information Partnership, ora collaboratore del Centre for Information Resilience, ha parlato apertamente del suo desiderio di censurare i critici della guerra, compreso Maté. Burley, che ha elaborato, implementato e condotto alcuni dei programmi di anti-disinformazione del governo britannico (così diceva un suo profilo, poi cancellato), ha discusso il sorgere di media indipendenti dubbiosi verso il governo ucraino e il supporto occidentale a una guerra che ha devastato il Paese. Ha parlato del conflitto nell’agosto 2022 all’Opinion Festival di Tallinn. Burley sostiene che i social necessitino di più “responsabilità” verso i contenuti da ammettere. Persino io ho visto come Russell Brand, che ha molto seguito su YouTube, intervistava un giornalista chiamato Aaron Maté sul suo canale, aggiungendo che è qualcosa di incredibilmente irresponsabile per YouTube e altri social continuare a ospitare tali persone.

Silenziare i nemici interni di Zelensky

Le organizzazioni appoggiate dal governo americano hanno cercato di silenziare i dissidenti interni dell’Ucraina. Prima del conflitto, in una delle prime controverse mosse da presidente per soffocare l’opposizione, Zelensky ha fatto chiudere nel febbraio 2021 i canali televisivi 112, NewsOne e ZIK, emittenti di proprietà di Viktor Medvedchuk e del suo socio Taras Kozak, ex deputati del partito “Piattaforma di Opposizione – Per la Vita”, un blocco di opposizione a Zelensky, a causa delle accuse di connivenza col Cremlino. Le sanzioni contro i canali televisivi di Medvedchuk non riguardano assolutamente la libertà dei media e la libertà di parola, affermò all’epoca Mykhailo Podolyak, consigliere presidenziale di Zelensky. Si tratta solamente di misure efficaci contro le fake news e la propaganda estera.

Più avanti, a dicembre 2021, il vice alto commissario per i diritti umani dell’ONU rilasciò una dichiarazione in cui biasimava la repressione di Kiev sui giornalisti e sull’espressione pacifica delle opinioni. La sua relazione citava la chiusura dei canali televisivi di opposizione e di altri media. I network mediatici ucraini dell’USAID, comunque, si sono sbrigati a difendere subito il governo Zelensky. La decisione di bloccare le testate di opposizione, come scriveva Detector Media, non è stato un attacco alla libertà di parola perché quei canali avrebbero dato supporto informativo all’aggressione russa contro l’Ucraina.

Giro di vite contro l’opposizione

Nel maggio del 2022 il governo di Kiev si è impegnato ancor di più per mettere fuori legge le opposizioni. Zelensky ha bandito 11 formazioni politiche a causa di supposti legami con la Russia. Il maggiore fra questi partiti era Per la Vita di Medvedchuk, che prima deteneva ben 44 seggi alla Verkhovna Rada, il Parliamento ucraino. La scorsa estate altri progetti di legge liberticidi (che in precedenza non erano passati a causa dei timori per le libertà civili) sono stati presi nuovamente in considerazione. Mykyta Poturayev, deputato e grande alleato di Zelensky, ha riproposto la “Legge sui Media”.

Tale cornice normativa è pensata per punire il linguaggio d’odio e la disinformazione. Dà ampi poteri per limitare determinate forme di influenza estera. Tra i suoi articoli più dibattuti vi è quello sul potere della commissione per bannare i gruppi mediatici senza dover attendere una sentenza giudiziaria. Prima che Zelensky firmasse la legge nel dicembre 2022, molti giornalisti si espressero contro di essa. La Federazione Europea dei Giornalisti e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti la denunciarono come violazione gravissima della libertà di giornalismo.

I media ucraini che tifano per la censura

L’Unione nazionale ucraina dei Giornalista descrisse il disegno di legge come “la peggiore minaccia alla libertà di parola nella storia dell’Ucraina indipendente”. Ma ancora una volta i gruppi mediatici a libro paga della USAID fornirono un supporto cruciale proprio nel bel mezzo del giro di vite sulla libertà giornalistica. La spinta all’adozione del provvedimento viene largamente dai think tank e dalle testate sovvenzionate dal governo americano. Mentre l’iter legislativo procedeva, Detector Media riportava un’istanza di giornalisti selezionati e di enti no profit che tifavano per questa norma. Nell’appello si diceva che il comitato di supervisione dei media nominato da Zelensky era un “regolatore indipendente” e si esortava all’approvazione della legge in quanto strumento di contrasto all’aggressione straniera.

Il budget di certi enti di controllo

Questa dichiarazione era stata allestita dal Centro ucraino per la Democrazia e lo Stato di Diritto. Nel 2022 il budget di tale gruppo era composto al 76,67% da quanto dato dallo USAID e dagli appaltatori di quest’ultimo. E pure dal National Endowment for Democracy (NED), una no profit finanziata dal governo di Washington derivata negli anni ‘80 dalla CIA. Tra i firmatari dell’appello c’erano il Laboratory of Digital Security e lo Human Rights Platform. Entrambi sono sovvenzionati da USAID e Internews, un terzista di USAID con sede in California che gestisce gran parte del lavoro dell’agenzia a Kiev. Internews è un significativo pilastro dei 35 milioni di dollari destinati da USAID al programma mediatico ucraino. Altri governi europei nonché donatori del settore privato, trainati dai miliardari Pierre Omidyar con l’Omidyar e George Soros con l’International Renaissance Foundation, hanno finanziato il network di pubblicisti e attivisti che collaborano coi gruppi USAID.

Investimenti a lungo termine

Secondo quanto si è venuto a sapere, ulteriori fondi sono arrivati ai media ucraini locali nel 2021, cioè prima dell’operazione speciale russa. Detector Media prese da Internews il 35,1% del suo budget da 1 milione di dollari. Nuovi dati rilasciati dal governo federale mostrano una tranche da 2,5 milioni emessa da USAID a favore di Detector Media lo scorso anno. In una relazione intitolata “Gli investimenti a lungo termine pagano dividendi in Ucraina”, il NED fa notare una cosa importanti. Ossia che i gruppi sotto il patrocinio americani sono stati fondamentali per ridisegnare la legislazione nazionale ucraina. Si parla di una cordata di no profit guidata dalla Coalition Reanimation Package of Reforms, un ente a libro paga USAID che ha mobilitato la società civile per fare lobbying a favore di cambiamenti legali e legislativi. Il gruppo ha avuto un ruolo essenziale per promuovere l’adozione della “Legge sui Media” e ha esultato quando è passata, dicendo che era uno dei più grandi conseguimento di riforme nel corso della guerra.

Fact-checking di parte

Con la nuova norma in vigore, Detector Media ha attaccato i canali Telegram filo-russi accusandoli di diffondere “falsità e manipolazioni” a proposito di tale legge. Un fact-checking pubblicato dal gruppo spiegava che la legge doveva essere adottata nell’ambito dell’integrazione europea dell’Ucraina. Il post provava a confutare le accuse di autoritarismo e di censura sottolineando che i professionisti dell’informazione e i membri del pubblico erano stati coinvolti nella redazione della legge.

Il NED, ex braccio della CIA, ha esplicitamente elogiato gli sforzi per approvare la “Legge sui Media”. Essa avrebbe infatti il merito di rimodellare il panorama mediatico ucraino. In un report scritto a quattro mani con Detector Media, il gruppo discute la legge a proposito del rafforzamento degli effetti per rimuovere la dannosa propaganda russa dallo spazio informativo ucraino. Inoltre prende nota di alcune critiche giornalistiche verso la proposta. Conclude però che essa era sostenuta dalla maggioranza dei media legati a organizzazioni della società civile e da donatori internazionali, per il suo allargamento della responsabilità democratica nello spazio informativo. Ma proprio il ruolo centrale avuto da questi gruppi nel passaggio della legge liberticida non viene citato né dal NED né da Detector Media.

Nuovi ostacoli al giornalismo

Nei primi mesi dell’operazione speciale, tantissimi ucraini erano disposti ad accettare un’influenza maggiore del governo di stampo emergenziale. Kiev ha riunito i principali canali televisivi in un unico notiziario che va avanti ancora oggi. Molti giornalisti hanno volontariamente smesso di riferire notizie di critica verso il governo per concentrarsi invece sull’invasione russa. Ma ora, due anni dopo quel momento, i report stanno subendo nuovi ostacoli nel loro lavoro quotidiano. Infatti, coloro che raccontano con spirito critico le questioni relative al governo vengono intimiditi e minacciati.

Il Columbia Journalism Review riferisce della situazione precaria dei giornalisti indipendenti nell’Ucraina di oggi. A gennaio Yuriy Nikolov, giornalista investigativo di primo piano che ha scoperto gli scandali dei contratti di forniture alimentari all’esercito, è stato aggredito da due criminali a casa sua. Costoro hanno provato a entrare; secondo sua madre, che in quel momento era in casa, gridavano che era un “provocatore” e un “traditore”.

Minacce di morte

Quello stesso mese un video anonimo fatto con telecamere nascoste ha mostrato i giornalisti di Bihus.Info, una testata locale che ha spesso riportato notizie sulla corruzione del governo ucraino, che facevano uso privato di droghe illegali. Il titolare del sito, Denys Bihus, ha raccontato il coinvolgimento dei servizi segreti nella sorveglianza e nell’intimidazione dei suoi collaboratori. Anatoly Shariy, un controverso blogger ucraino che vive in esilio a causa di ripetute minacce di morte, si è spesso scontrato con i media che stanno sotto l’ombrello dello USAID. Shariy è noto per le sue feroci stroncature verso la rivoluzione del 2014. Il Maidan rovesciò il presidente filorusso Viktor Yanukovych e mise il Paese sul percorso di adesione alla NATO. Lo SBU, l’intelligence che risponde a Zelensky, lo ha accusato di alto tradimento a seguito di presunte offese etniche verso gli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina.

Pure i servizi segreti contro i media indipendenti

Nel luglio del 2023, lo SBU ha mosso altre accuse a Shariy. ha detto che pubblicava video fatti ad arte sui prigionieri ucraini detenuti dalle forze russe e ha provato a farlo estradare. Shariy si è trasferito dall’Olanda alla Spagna e infine sembra sia andato in Italia. I notiziari in inglese sono comunquedominati dalle testate legate allo USAID. Una ricerca del nome di Shariy mostra mezza dozzina di articoli di VoxUkraine, Detector Media, Institute of Mass Information e New Voice of Ukraine. Tali pezzi lo descrivono malignamente come un propaganista filo-russo e un criminale colpevole di tutta una serie di dichiarazioni punibili.

Nei suoi post su Telegram, Shariy cerca di enfatizzare la Russia come più unita e forte dell’Ucraina, scrive Detector Media. Lui sconfessa il taglio di qualsiasi relazione fra i due Paesi. Continua a promuovere una narrativa favorevole a Mosca e a seminare disinformazione persino di fronte alle prove delle bugie e dei crimini dei russi. Detector Media porta ben poca sostanza per dimostrare di eventuali attività illegali che non siano semplicemente il punto di vista di Shariy. Ma è sufficiente esprimere un pensiero contrario all’Ucraina e alla politica della NATO verso la guerra per fare di un cittadino un nemico dello Stato.

Redazione Strumenti Politici
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