Milei vuole riarmare l’Argentina, inquietudine a Londra per le Falkland

Milei vuole riarmare l’Argentina, inquietudine a Londra per le Falkland

30 Giugno 2024 0

Ci si può aspettare di tutto dal presidente dell’Argentina Javier Milei e questo a Londra lo sanno benissimo. Per tale motivo la sua ammirazione per Margaret Thatcher e la retorica insolitamente moderata a proposito della questione Falkland non rasserenano i britannici. Infatti l’intenzione di Buenos Aires di rafforzare le Forze armate, anche con l’acquisto di caccia F-16 dalla Danimarca, solleva dubbi e inquietudini sul futuro dell’arcipelago, territorio d’oltremare del Regno Unito.

Ambizioni argentine

Gli F-16 potrebbero in effetti intaccare la superiorità aerea britannica nel cielo della Falkland. Inoltre Buenos Aires vorrebbe espandere la sua flotta di navi da guerra anfibia, così sarebbe in grado di sbarcare sull’arcipelago una forza capace di sconfiggere la guarnigione britannica in loco, che di per sé consiste di una sola compagnia. A Londra non sono del tutto tranquilli. Le rivendicazioni sulle “Malvine”, come le chiamano in Argentina, sono proseguite anche dopo la sconfitta nella guerra nel 1982. Il predecessore di Milei Alberto Fernández aveva definito “disgustosa pretesa” la volontà britannica di mantenere la sovranità su quella “terra rubata”.

Sorprende dunque che la retorica di Milei sia molto più accomodante, posto che il suo atteggiamento è solitamente aggressivo e talvolta persino bizzarro. Ha ricordato che la Costituzione prevede esplicitamente la riunificazione dell’arcipelago con l’Argentina continentale, ma ha anche precisato che le Malvine non sono una priorità del suo governo. Se da un lato Londra ribadisce che la sovranità sulle Falkland non è negoziabile, Buenos Aires a sua volta torna periodicamente sulla questione. Milei ha fatto il paragone con Hong Kong, che nel 1997 da colonia britannica tornò sotto giurisdizione la cinese. Ha detto che per le Malvine questo processo potrebbe durare decenni, ma che alla fine si compirà.

La via della diplomazia

In una recente intervista con la BBC, Milei ha dichiarato che per le Falkland “non vi è una soluzione immediata” e ha esplicitamente detto di accettare che l’arcipelago sia “attualmente in mano al Regno Unito”. Queste parole arrivano a seguito della visita a febbraio da parte del ministro degli Esteri britannico, l’ex premier David Cameron, secondo cui la sovranità di Londra sulle isole è fuori discussione. Milei intende perseguire la via diplomatica. Nel 42esimo anniversario della guerra, celebrato quest’anno, ha promesso di stilare una roadmap per riprendere le Malvine. L’intervistatore della BBC ha fatto notare che il governo britannico potrebbe non essere d’accordo con tale prospettiva, ma Milei ha replicato: Potrebbe non voler negoziare oggi. Ma forse un giorno vorrà farlo. Molte posizioni sono cambiate col tempo.

Ha poi speso parole di elogio proprio per la colei che vinse quella guerra a scapito di Buenos Aires, cioè Margaret Thatcher. Fu la Lady di ferro a impartire un ordine passato alla storia, il siluramento dell’incrociatore argentino General Belgrano. Fu una mossa importante per la vittoria nel conflitto, ma con l’affondamento della nave perì il personale di bordo composto da 323 persone. Nonostante questo tragico episodio e nonostante abbia sconfitto l’Argentina, su espressa domanda Milei ha dichiarato di ammirare la Thatcher.

Parla il Ministro degli Esteri

Dieci giorni fa il ministro degli Esteri argentino Diana Mondino ha parlato di fronte al Comitato ONU per la decolonizzazione. Quest’ultimo ha appena adottato una risoluzione per esortare Londra e Buenos Aires a riprendere i colloqui bilaterali sulla questione Falkland, allo scopo di trovare una soluzione “pacifica e definitiva”. La Mondino ha accolto bene tale iniziativa e ha ribadito la sovranità argentina sull’arcipelago, oltre che sulla Georgia del Sud e sulle Isole Sandwich Australi. Ha dichiarato che in uno scenario globale dinamico, l’Argentina intende sviluppare le sue capacità a medio e a lungo termine e dare luogo a una relazione matura con il Regno Unito. Il ministro ha spiegato che secondo il presidente Milei con il dialogo sarà possibile raggiungere un livello più alto di cooperazione, nella speranza di generare quel clima di fiducia necessario alla ripresa dei negoziati per la risoluzione della disputa sulla sovranità.

Gli strascichi della guerra del 1982

L’arcipelago delle Falkland si trova a 400 chilometri dalle coste meridionali dell’Argentina e a 13mila da quelle della Gran Bretagna. Buenos Aires reclama la sovranità sulle isole in quanto ereditate dalla corona spagnola al momento dell’acquisizione dell’indipendenza nel 1816. Per Londra, invece, conta il fatto di aver governato dal 1833. A supporto della posizione inglese vi è anche il risultato schiacciante del referendum del 2013, in cui il 99,8% dei votanti ha scelto di restare britannico.

Nel 1982 gli argentini tentarono con la forza di prendersi quelle che loro chiamano Malvine, occupandole militarmente, ma dopo 74 giorni vennero espulsi dalle forze di Sua Maestà. In quella breve guerra morirono 649 argentini e 255 britannici. Per il Regno Unito fu una dimostrazione di potenza militare e di risolutezza politica. La vittoria diede nuovo splendore a un Paese che veniva da un decennio di tormenti sociali ed economici. Per l’Argentina invece significò da un lato il disfacimento della giunta militare al potere dal 1976, mentre dall’altro rappresentò un trauma nazionale che dopo quarant’anni non si è ancora sanato.

Per adesso è impossibile

Di fatto, l’Argentina non può prendere le Malvine né oggi né tanto meno a breve termine. Anche con un pesante riarmo, gli argentini avrebbero serie difficoltà di carattere logistico nel realizzare un’operazione anfibia di questa portata. Le Falkland infatti sono distanti e separate dalla terraferma da mari burrascosi. Soprattutto sono difese dalla base aerea della RAF di Mount Pleasant, costruita nel 1985 proprio sulla scorta di quanto accaduto tre anni prima. E non bisogna dimenticare che a Buenos Aires servirebbe in primo luogo il consenso degli Stati Uniti all’utilizzo degli F-16, perché il volo e la manutenzione di questi jet è impossibile senza il supporto americano.

La discussione sulla potenza militare britannica

Dall’altro lato, in Inghilterra vi sono anche i critici che stigmatizzano l’indebolimento complessivo della forza militare britannica. Sul Telegraph fanno notare come sei sottomarini d’attacco non bastino a coprire tutto il ventaglio di sfide che in futuro potrebbero pararsi di fronte al Regno Unito. Se, poniamo, l’Argentina ritentasse un’azione come quella del 1982, al massimo un solo sommergibile potrebbe scendere nell’Atlantico Meridionale per contrastarla, perché gli altri dovrebbero restare in allerta in altre zone. Ed è tutta la Royal Navy nel corso degli ultimi anni ad aver diminuito le dimensioni della flotta. Chi sostiene il ruolo di Londra come garante della pace e della stabilità – o per meglio dire come potenza militare mondiale – desidera quindi che la tendenza delle Forze armate a restringersi venga invertita il prima possibile.

Secondo la dottrina della Global Britain, la forza di proiezione britannica esiste e va ampliata. Tuttavia, oggi l’attenzione è completamente rivolta al Medio Oriente. Non sono tempi facili per i nostalgici della potenza coloniale e della prosperità dei territori d’oltremare, perché adesso gli investimenti vanno tutti verso l’Oman, nella Penisola Arabica. È infatti nel sito di Ras Madrakah che Londra vuole stabilire un “hub globale” per la protezione dei suoi interessi politici ed economici. Ci si può aspettare di tutto dal presidente dell’Argentina Javier Milei e questo a Londra lo sanno benissimo. Per tale motivo la sua ammirazione per Margaret Thatcher e la retorica insolitamente moderata a proposito della questione Falkland non tranquillizza i britannici. Infatti l’intenzione di Buenos Aires di rafforzare le Forze armate, anche con l’acquisto di caccia F-16 dalla Danimarca, solleva dubbi e inquietudini sul futuro dell’arcipelago, territorio d’oltremare del Regno Unito.

Marco Fontana
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