In sedici Stati, martoriati da conflitti di lungo corso, il vaccino anti-covid resta un miraggio

In sedici Stati, martoriati da conflitti di lungo corso, il vaccino anti-covid resta un miraggio

11 Gennaio 2021 0

«In Afghanistan non si è visto ancora alcun vaccino e chissà quando arriveranno. Neanche i media ne parlano. Ma noi sappiamo già come funziona, prima i Paesi ricchi, Europa, Stati Uniti in testa e poi forse a noi le briciole. I tamponi, ad esempio, vengono fatti soltanto in tre città, Kabul, Herat e Jalalabad e su queste viene eseguito il campionamento dell’intera nazione. Quale affidabilità può avere un’indagine realizzata in questo modo?  Quando si riesce, si effettuano 1.800 test al giorno ma solo nelle tre città e i risultati vengono forniti solo dopo due/tre giorni». Con voce che  tradisce rassegnazione e senso di abbandono, Shapour Safari, afgano che vive e lavora a Palermo già da qualche anno, ci racconta che nel sua terra d’origine, da dove è fuggito per sottrarsi alla vendetta dei taliban, i vaccini contro il Coronavirus al momento rimangono un tabù.

Il Paese è in piena emergenza Covid con 58.105 casi e si trova ad affrontare con armi spuntate la seconda ondata. Il presidente Ashraf Ghani cerca di correre ai ripari e in una nota diffusa dal Palazzo, si legge di un vertice straordinario con i funzionari del ministero della Sanità pubblica per discutere di piani di contrasto alla pandemia e di riforme. Si parla di sforzi per affrontare la nuova ondata, di impianti di produzione di ossigeno, di sensibilizzazione della popolazione sul Covid 19, ma nessun cenno ai vaccini. Il vasto territorio montuoso che diede i natali ad Ahmad Massud, il mitico «Leone del Panjshir» è fra i sedici Stati al mondo martoriati da conflitti prolungati – Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Iraq, Libia, Mali, Myanmar, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Siria e Yemen – dove ancora l’unica arma contro il virus, che nel mondo ha causato 1 milione 901 mila 501 decessi, rimane una chimera.

Dal 14 dicembre 2020 fino alla giornata di oggi, come attesta lo studio realizzato da Our World in Data sono state somministrate 18,64 milioni di dosi, per la maggior parte Pfizer/BioNTech, ma anche Moderna (Canada e Stati Uniti), Sinopharm (Emirati Arabi), Sputnik V (Russia)  e Cnbg, Sinovac (Cina). Si tratta però di numeri parziali, perché un database globale e aggregato sui tassi di vaccinazione Covid-19 essenziale per monitorare i progressi, non è ancora disponibile. Si fa fede al momento ai dati comunitari del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e a quelli forniti dai governi e dai ministeri della Sanità di soli 47 Paesi. Non sorprende che fra questi manchino, fra gli altri, anche quegli Stati in cui le popolazioni vivono in territori devastati da guerre e lotte interne, per le quali l’accesso ai servizi sanitari di base è spesso difficile se non impossibile. Anziani, uomini, donne e bambini altrettanto vulnerabili al Covid-19, che hanno il diritto di essere protette da questo nemico invisibile che colpisce tutti.

E i numeri ufficiali sui contagi non sono rassicuranti: in Libia, la “nuova Somalia” alle porte dell’Italia, si sono raggiunti i 102.880 casi, in Iraq 599.965, Sudan 23.316, Siria 11.890 e Yemen 2.101, per citarne alcuni. «Nel distretto di Shahba in Siria, l’amministrazione curda ha istituito un ospedale per ammalati Covid – spiega Hasan Ivanian dell’Organizzazione dei diritti umani di Afrin – e sono molti gli infettati al suo interno, ma mancano farmaci,  attrezzature e personale qualificato. La radio siriana “Sham FM”, ha riportato che la direzione delle malattie trasmissibili del Paese avrebbe detto che il governo ha avviato negoziati con l’Oms per garantire un vaccino per il coronavirus, che verrà somministrato all’inizio al personale medico e ad alcuni casi cronici». E questo nelle aree sotto il controllo governativo, ma il grande interrogativo resta per le zone che rimangono ancora sotto il dominio dei gruppi di opposizione ad Assad. Non è da escludere, tuttavia, che la paura per un nemico impalpabile, forse ancor più odioso del regime stesso, possa indurre l’enorme pletora di fazioni che si contendono il territorio siriano, ad aprire varchi umanitari e consentire la somministrazione.

Tra i fattori che potrebbero ostacolare il rapido arrivo del rimedio al virus nei teatri di guerra, la competitività tra i Paesi grandi e ricchi per ottenerlo prima da un lato e la povertà dei Paesi in via di sviluppo e la loro dipendenza dai sussidi dall’altro. Bisogna allestire la macchina organizzativa. Ma se persino in Italia si parla di carenze di siringhe, personale medico e paramedico per l’inoculazione, figurarsi in Siria e in Yemen, dove le strutture ospedaliere sono ridotte in polvere. Abbiamo chiesto lumi all’Oms, che ci fa sapere attraverso un comunicato stampa del 18 dicembre che «L’impianto Covax manterrà anche una scorta di dosi per l’emergenza e l’uso umanitario». Ma nulla sui tempi di avvio delle campagne di vaccinazioni.

Lo strumento Covax è l’iniziativa globale per garantire un accesso rapido ed equo ai vaccini Covid-19 per tutti i Paesi, indipendentemente dal livello di reddito ed è codiretto dall’Alleanza per i vaccini (Gavi), dall’Oms e dalla coalizione per l’innovazione in materia di preparazione alle epidemie (CEPI). «Covax – leggiamo nel documento – ha annunciato oggi di avere predisposto accordi per accedere a quasi due miliardi di dosi, per conto di 190 economie partecipanti – poi aggiunge –  gli annunci di oggi offrono il percorso più chiaro per porre fine alla fase acuta della pandemia proteggendo le popolazioni più vulnerabili in tutto il mondo. Ciò include la consegna di almeno 1,3 miliardi di dosi finanziate da donatori di vaccini approvati nel 2021 alle 92 economie a basso e medio reddito ammissibili per Covax amc, mirando a una copertura della popolazione fino al 20% entro la fine dell’anno». Fra quelle economie, ci sono anche i Paesi in guerra, ma come ci ha chiarito Juliette Touma, responsabile regionale delle comunicazioni Unicef per Medio Oriente e Nord Africa «le campagne di vaccinazione contro il Covid nei Paesi considerati devono ancora iniziare. Non abbiamo ancora acquistato i vaccini e l’obiettivo è di raggiungere in una prima fase il 20% delle persone (gruppi prioritari) in tutti i paesi».

La Fondazione Bill & Melinda Gates, partner chiave di Gavi nella definizione del mercato dei vaccini, ha messo sul tavolo 250 milioni di dollari per sostenere la ricerca, lo sviluppo e l’equa distribuzione di tutti gli strumenti salva-vita contro la pandemia. L’Ue ha messo a disposizione 500 milioni di euro, garantiti dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile in favore delle popolazioni di Africa, Asia, Caraibi, Pacifico e dell’Europa meridionale e orientale, ma ancora si ritarda nell’avvio delle campagne vaccinali. La sfida globale di messa in sicurezza sanitaria potrà dirsi vinta solo se tutti i Paesi avranno accesso ai vaccini e il differire l’avvio delle somministrazioni per le popolazioni più vulnerabili, rallenterà e di molto questo importante obiettivo. Carmine Trecroci, professore di Economia e management all’Università di Brescia, nella sua analisi ci spiega che «le stime prevalenti sulla capacità di raggiungere con la vaccinazione anti Covid-19 i 2/3 della popolazione dei Paesi più avanzati indicano l’autunno-inverno 2021 come best-case scenario. Ulteriori strozzature nella capacità produttiva, di distribuzione e di somministrazione potrebbero spostare questa proiezione più avanti, al primo semestre 2022. Per i Paesi sottosviluppati e in via di sviluppo il cronoprogramma è largamente indefinito: l’Oms al momento prevede la vaccinazione del solo 25% della popolazione mondiale per la fine del 2021 -inizio 2022, ma non fornisce indicazioni riguardo alla realizzazione concreta di questo obiettivo. Ricordiamo che l’immunizzazione scatta tra il 66% e l’80% di una popolazione». 

Marina Pupella
MarinaPupella

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