I dubbi sulla Corte Penale Internazionale legati alle crisi Ucraina e della Striscia di Gaza

I dubbi sulla Corte Penale Internazionale legati alle crisi Ucraina e della Striscia di Gaza

16 Dicembre 2023 0

La terribile crisi nella Striscia di Gaza ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il ruolo della Corte Penale Internazionale (CPI), dopo che sono state presentate accuse sia verso Hamas che verso Israele.

Periodicamente i leader politici e i giuristi esprimono dubbi sulla sua utilità e soprattutto sul suo essere veramente super partes. E intanto la realtà mostra le debolezze nel suo funzionamento.

L’irrivelanza in Israele

I giuristi della Società italiana di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea affermano che proprio l’attuale situazione a Gaza stia determinando “uno snodo decisivo per il futuro della Corte e per la stessa sopravvivenza del progetto di una credibile giustizia penale internazionale”. In tale ottica appare come una formalità velata di ipocrisia la visita nella regione effettuata la scorsa settimana dal Procuratore della CPI Karim Khan per incontrare le vittime di entrambe le parti del conflitto.

È la prima visita di questo genere fatta da un Procuratore, in questo caso in Israele e in Palestina. Nel corso della missione, Khan ha dichiarato: Il mio Ufficio è qui per assicurare che la protezione della legge sia sentita da tutti. Vi sono comunque molti passi da fare prima di arrivare a una qualche sentenza: si tratta di passaggi complessi e pieni di ostacoli, di natura anzitutto politica.

La Palestina, uno Stato a riconoscimento internazionale limitato, dovrebbe agevolare l’accesso al territorio agli inquirenti della CPI, qualora il Procuratore intenda esercitare l’azione penale ad esempio verso gli esponenti di Hamas. Ma è chiaro che a Gaza le autorità palestinesi sarebbero impossibilitate materialmente a cooperare a causa del blocco messo da Tel Aviv. E se la Corte volesse indagare su cittadini o su organismi israeliani, Gerusalemme potrebbe serenamente ignorare le sue richieste, perché non è in alcun modo partecipante della della CPI.

I dubbi del Brasile

La posizione del Brasile nell’arena internazionale è sempre più elevata, data la sua appartenenza sia al BRICS che al G20. E proprio di quest’ultimo ha assunto recentemente la presidenza e ne ospiterà il summit il prossimo anno. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula è critico verso la Corte Penale Internazionale (di cui comunque il suo Paese è aderente) a partire dal fatto che Paesi dal peso specifico altissimo come la Cina e gli Stati Uniti non ne hanno firmato o ratificato il Trattato.

A settembre, il ministro della Giustizia Flávio Dino è tornato sull’argomento esprimendo il suo scetticismo e dicendo che secondo lui la Corte oggi opera in maniera “sbilanciata”. Le sue affermazioni sono pesanti: La CPI appartiene ad alcune nazioni e non a tutte, e questo è l’avvertimento che il presidente ha lanciato, nel senso del bisogno di uguglianza fra gli Stati. In altre parole: o tutti aderiscono oppure non ha senso avere una Corte che giudica solo alcuni e non altri. Ha poi aggiunto che nella politica brasiliana si potrebbe arrivare a ragionare sull’opportunità di ritirare la propria adesione al Trattato.

Assenze eccellenti

I Paesi che non partecipano al Trattato di Roma del 2002, fondativo della Corte, non sono pochi e soprattutto sono importanti. Dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza soltanto Francia e Regno Unito hanno ratificato, mentre USA, Cina e Russia no. Altri Paesi non hanno firmato il Trattato oppure non lo hanno ancora ratificato: come già detto c’è Israele, che ha dichiarato di non avere intenzione e di negare qualunque valore alla firma inizialmente apposta. Poi mancano all’appello India, Egitto, Algeria, Iran, Kuwait, Marocco, Emirati Arabi Uniti, Tailandia, Malaysia, Indonesia, Turchia e altri. Oppure vi è il caso di chi ha ritirato l’adesione come le Filippine e il Burundi, oppure l’hritirata e poi riaffermata, come il Gambia e il Sudafrica.

Tra l’altro, nemmeno l’Ucraina ha mai ratificato il Trattato, pur avendo recentemente accettato la giurisdizione della Corte. Altri Paesi, pur avendo eseguito tutti i passaggi, pongono delle riserve all’azione della CPI. Ad esempio la Serbia, che pur avendo ratificato il Trattato si esprime talvolta in maniera negativa. L’attuale presidente serbo Aleksandar Vučić si è sempre dichiarato contrario ai tribunali internazionali sui crimini di guerra e ha commentato criticamente il mandato di arresto emmesso nei confronti di Putin. Secondo lui, le intenzioni della Corte non si rifanno alla giustizia, ma hanno esclusivamente carattere politico e strategico.

I dubbi sul funzionamento e sul finanziamento

I dubbi sulla correttezza e sull’efficacia dell’azione della Corte vengono avanzati non soltanto dai politici, ma soprattutto da molti giuristi. Il discorso non verte solamente sul problema dei limiti strutturali del diritto penale internazionale in sé, ma anche sulla realtà concreta dei rapporti fra gli Stati e la Corte. Vi sono infatti casi in cui determinati governi ritengano che cooperare con la Corte (o far cooperare altri Stati) sia funzionale ai propri interessi oppure no, e stabiliscono il proprio comportamento in base a tali considerazioni.

Il caso più eclatante è quello degli USA, che non partecipano al Trattato, ma che nel caso specifico dell’Ucraina supportano e stimolano le indagini della Corte contro la Russia, mentre ostacolano quelle contro Israele. Il meccanismo di finanziamento lascia poi spazio all’attuazione di pressioni indirette motivate da ragioni politiche contingenti. Secondo l’articolo 115 del Trattato, sono gli Stati aderenti che contribuiscono al funzionamento della Corte, che può ricevere finanziamenti anche dalle Nazioni Unite e in maniera volontari da altri governi, individui, organizzazioni o altri enti. Per le indagini da svolgere in Ucraina, il procuratore capo Khan ha chiesti fondi addizionali agli Stati. Alcuni hanno risposto alla sua richiesta con somme ingenti, altri mettendo a disposizione i loro specialisti.

L’Unione Europea ha annunciato la donazione di 7,5 milioni di euro, il Regno Unito di un 1 milione di sterline, la Francia mezzo milione, con due giudici e dieci inquirenti. Germania, Olanda e Svezia daranno insieme 2,7 milioni, l’Irlanda 3. Austria e Danimarca hanno promesso somme inferiori, mentre Canada, Republica Ceca, Norvegia, Spagna e Svizzera manderanno aiuti in termini di risorse umane per le indagini. La terribile crisi nella Striscia di Gaza ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il ruolo della Corte Penale Internazionale. I leader politici e i giuristi esprimono dubbi sul suo essere veramente super partes. E intanto la realtà mostra le debolezze nel suo funzionamento.

Martin King
Martin King

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