I comandi ucraini non si fidano dei propri soldati e impongono loro verifiche stringenti
Cacciati dalla regione di Kursk e adesso a rischio di crollare nella regione ucraina adiacente, quella di Sumy, i comandi militari di Kiev temono sempre di più ammutinamenti e diserzioni. Pensano quindi di rafforzare la struttura di controllo ovvero – leggasi – di repressione dei propri soldati.
Tenere sotto controllo
Le sconfitte degli ultimi mesi non sono dipese solo dalla superiorità dei russi, ma anche dall’inferiorità numerica degli ucraini dovuta alle diserzioni e al rifiuto di eseguire gli ordini. Sembra quindi probabile che venga a breve implementata una struttura interna di controllo, che si insinui fino ai livelli più bassi dell’esercito e che risponda direttamente al generale Oleksandr Syrsky, comandante in capo delle Forze armate. Se nei soldati semplici misureranno il morale e dunque il desiderio di gettare il fucile e scappare, negli ufficiali verificheranno la competenza e soprattutto la lealtà ideologica al regime. Infatti qui non si parlerebbe più di diserzione, ma di alto tradimento, ben più grave sotto il profilo politico. E ora ciò che Zelensky teme maggiormente non sono le debacle militari, ma la perdita progressiva è di vedersi sfilare l’appoggio dei militari, senza il quale rischia scenari estremamente cupi per sé e per il suo entourage.
Il problema è peggiorato
Il problema è vecchio, ma ormai ha raggiunto un punto di rottura. Già lo scorso autunno The Associated Press riferiva di intere unità che abbandonavano le postazioni, contestavano gli ordini o rifiutavano di eseguirli persino durante i combattimenti, compromettendo le linee difensive. Uno dei soldati intervistati dall’agenzia di stampa americana, poi finito sotto giudizio per diserzione, addebitava il problema alla mancanza di volontà politica e di scarsa gestione delle truppe, specialmente nella fanteria. I comandi militari preferirebbero non processare i fuggiaschi, ma rimandarli al fronte, però supporto psicologico e metodi di convincimento usati non hanno avuto risultati significativi. Forse adesso serve qualcosa di più stringente. Nel frattempo i comandanti vengono a loro volta licenziati senza tanti complimenti. Qualche giorno fa è toccato a Dmytro Krasylnykov, comandante del settore nord, la zona di partenza dell’incursione nella regione russa di Kursk, finita male. Ha comunicato di essere stato rimosso senza ricevere spiegazioni.
I giovani manipolabili
Gli alleati occidentali premevano affinché Kiev abbassasse l’età per la mobilitazione forzata, ma la società ucraina si è fermamente opposta, così Zelensky è sceso solo a 25. Ora ha lanciato una campagna di reclutamento volontario rivolta ai giovani da 18 a 24 anni. La carenza di uomini ha indotto a mobilitare soggetti in cattiva salute oppure contrari a partire. Impossibile contare sulla loro lealtà: costoro andranno tenuti d’occhio dai nuovi apparati repressivi. Meglio l’entusiasmo e la fedeltà di ragazzi spinti dall’indottrinamento ideologico, dall’ingenuità e soprattutto dai dai vantaggi economici promessi: un bonus di oltre 20mila euro, mutui agevolati, istruzione universitaria gratuita e il privilegio di potersi recare all’estero terminato il servizio, mentre la legge marziale impedisce agli uomini fino ai 60 anni di uscire dal Paese. Tali disparità di trattamento vengono viste come discriminatorie e hanno già generato malumore in coloro che già prestano servizio o hanno un’età diversa.
Se ne accorgono anche in Occidente
Sebbene il mainstream euroamericano minimizzi e ne parli il meno possibile, la tragedia degli uomini ucraini costretti al fronte viene in qualche modo resa nota anche al pubblico occidentale. Ne parlano nel giro di Trump e nei vertici della nuova amministrazione di Washington: il vicepresidente Vance deplora le autorità di Kiev che vanno in giro a sequestrare chi trovano per poi spedirlo al fronte. Lo scorso anno comunque il giornale britannico The Economist aveva riportato le voci sconsolate dei cittadini che avevano avuto a che fare direttamente con la politica militare di Zelenksy. A dicembre il giornale polacco Wyborcza aveva intervistato un comandante ucraino, rimasto anonimo, che parlava di “livello critico” di carenza di soldati, di perdite “enormi” e di diserzioni in “rapido aumento”. E gli ucraini all’estero non sono sempre contenti dell’appoggio mostrato dagli occidentali che scendono in piazza per Kiev, perché costoro non si rendono conto delle implicazioni.
Fino a 200mila disertori
Non ne può più l’accademica Marta Havryshko, ucraina di Leopoli, che opera nel Massachusetts presso la Clark University. La scorsa settimana ha parlato coi manifestanti americani che sventolavano la bandiera ucraina, per i quali, dice, questo conflitto è una specie di reality show: ha fatto capire loro che, chiedendo a gran voce la prosecuzione delle ostilità con armi occidentali, condannavano all’agonia i mobilitati e gli uomini costretti ad andare in prima linea. Aggiunge che vi sono almeno centomila disertori: una cifra maggiore dell’intero esercito britannico! Per l’ufficiale intervistato dai media polacchi, poi, il numero di chi abbandona le unità è talvolta più alto del numero dei soldati morti o feriti. Giudicando dalle ricerche, dalle denunce ufficiali, dalle comunicazioni pubbliche e dalle testimonianze dei militari, il volume delle diserzioni si aggira fra 100 e 200mila soldati. Davvero troppo per Zelensky, che ora corre ai ripari con metodi sempre più rigidi.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.