Golpe Niger, Roberta La Fortezza: tra le possibili cause anche le dinamiche di confronto internazionali, in particolare la dialettica Occidente-Russia

Golpe Niger, Roberta La Fortezza: tra le possibili cause anche le dinamiche di confronto internazionali, in particolare la dialettica Occidente-Russia

2 Agosto 2023 0

Se il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che a fine agosto sarà promotore di “una importante iniziativa politica” per “tentare di federare intorno ad un progetto chiaro e semplice tutti coloro che vorranno partecipare, senza chiedere loro di aderire a tutto” sull’Africa Occidentale; a quattro giorni dalla scadenza dell’ultimatum imposto dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO) contro la giunta golpista, ad Abuja, capitale della Nigeria, si sono incontrati i capi di Stato maggiore dei Paesi componenti proprio la CEDEAO, evidentemente per concordare e coordinare una strategia comune in caso di un’azione di forza o una missione militare.

Soffiano sempre più forti venti di guerra nel quadrante dell’Africa occidentale e proprio per approfondire questa situazione in evoluzione abbiamo contattato la docente e analista Roberta La Fortezza.

Infografica - La biografia dell'intervistata Roberta La Fortezza
Infografica – La biografia dell’intervistata Roberta La Fortezza

– Da dove nasce l’ennesimo golpe/rivoluzione in Africa?

Non è il primo tentativo, o presunto tentativo, di colpo di stato in Niger. Nella notte tra il 30 e il 31 marzo 2021 il Governo nigerino aveva annunciato l’arresto di diverse persone in seguito a un presunto tentativo di colpo di Stato; successivamente nel marzo 2022, mentre il Presidente Bazoum era in Turchia, si sono avute notizie di un altro tentativo di colpo di stato sventato. Ciò a dimostrazione che elementi di criticità si registrano in Niger già da diverso tempo.

Ad ogni modo, i fatti del 26-27 luglio si sono comunque verificati in maniera estremamente repentina, senza cioè particolari episodi prodromici: ammutinamenti, come accaduto ad esempio in diverse occasioni in Burkina Faso, fenomeni di insorgenza socio-politica cavalcati dall’esercito o, ancora, attacchi terroristici di particolare entità che hanno catalizzato il malcontento di popolazione e militari.

Eppure, come accaduto già in Mali e in Burkina Faso, anche la giunta militare nigerina golpista ha giustificato le proprie azioni con la necessità di garantire sicurezza al Paese, preso atto dell’incapacità della Presidenza Bazoum di farlo. Anche tale giustificazione appare debole nel caso del Niger dato che la situazione securitaria del Paese, sebbene certamente preoccupante, non è paragonabile a quanto si registra proprio nei Paesi confinanti che hanno già assistito a diversi golpe militari.

Tra le cause di questa situazione, indubbiamente il contesto regionale, segnato da una recrudescenza dei regimi golpisti militari, così come le dinamiche di confronto internazionali, mi riferisco in particolare alla dialettica Occidente (e per quanto attiene all’Africa, in particolare Francia) – Russia; ma nel caso specifico del Niger la competizione globale ha favorito solo un terreno fertile che i militari hanno potuto sfruttare.

I primi elementi di criticità, quelli che tra le altre cose non devono in generale mai dimenticarsi, sono le questioni interne al Paese: la situazione securitaria, il Sahel è infatti il nuovo hub del terrorismo jihadista, le condizioni umanitarie, economiche e sociali, e prima di ogni altra cosa gli equilibri di potere tra le élite nazionali.

Nel caso del Niger sono stati probabilmente proprio questi equilibri di potere la variabile più incisiva nella determinazione dei fatti che si registrano in questi giorni e quelli che hanno portato a una repentina accelerazione degli eventi. In particolare, mi riferisco ai rapporti tra il Presidente eletto Bazoum e il Generale Omar Tchiani, Comandante della Guardia Presidenziale (GP) e attualmente leader del Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie (CNSP).

Proprio nelle ore in cui le GP bloccavano gli accessi agli edifici presidenziali, il Presidente Bazoum sarebbe stato, infatti, sul punto di avviare una riorganizzazione delle gerarchie di comando della GP stessa a seguito della quale probabilmente Tchiani sarebbe stato rimosso dal suo incarico. In questo senso, dunque, l’ammutinamento del 26 luglio della GP potrebbe essere stato, almeno inizialmente, una risposta di forza alla prospettiva di un rimaneggiamento dei vertici militari. La situazione di tensione potrebbe essere stata provocata anche da questioni salariali e di spartizione dei proventi derivanti dalla vendita dell’uranio tra le varie componenti delle Forze Armate nigerine.

Ovviamente, se volessimo guardare un po’ più lontano, l’attuale congiuntura saheliana dimostra la precarietà dei processi di democratizzazione nell’Africa Occidentale avviati negli anni Novanta. Ad oggi possiamo dire che quei processi sono stati segnati da un atteggiamento troppo ottimista che ha ignorato in larga parte le contraddizioni presenti in alcuni Paesi in termini, ad esempio, di etnicità, rapporti centro-periferia, riconoscimenti identitario in un sentimento nazionale, ruolo dell’esercito, ecc.

Lo stesso contesto regionale, segnato appunto dall’avanzata di regimi golpisti, potrebbe aver rappresentato un fattore di crescente spinta anche per le Forze Armate nigerine a sfruttare le criticità politiche e internazionali nel tentativo di migliorare la propria condizione e soprattutto di non perdere i propri privilegi a favore di una élite politica civile democraticamente eletta; tanto più approfittando di un clima internazionale concentrato su altri fronti, piuttosto che sull’Africa, e che si è dimostrato abbastanza tollerante nei confronti dei recenti golpe nel continente.

– Un intervento militare in Niger per ripristinare il presidente eletto Mohamed Bazoum sarebbe considerato “una dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali” per i governi di Ouagadougou e Bamako. Si profila uno scenario di guerra globale che coinvolga tutto il Sahel? 

La possibilità di un intervento militare in Niger da parte di altri Paesi africani è diventata una preoccupazione reale dopo la riunione d’emergenza del 30 luglio della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS/CEDEAO): la CEDEAO ha concesso alla giunta militare un ultimatum di 7 giorni per il ritorno completo all’ordine costituzionale, non escludendo, nel caso in cui il CNSP non dovesse rispettare le richieste, di intraprendere qualsiasi misura necessaria, compreso l’uso della forza.

La giunta militare nigerina ha, in risposta, avvertito la comunità internazionale delle possibili conseguenze di un intervento militare straniero nel Paese. Nelle ore successive Guinea, Burkina Faso e Mali hanno espresso il proprio sostegno alla giunta nigerina e hanno minacciato una loro reazione a supporto del Niger qualora la CEDEAO, o la Francia o qualsiasi altro Paese, dovesse realmente intraprendere un’azione militare contro il paese saheliano. Sebbene in termini molto diversi dal Mali e dal Burkina Faso, anche l’Algeria, in una dichiarazione ufficiale del 1 agosto ha sollecitato il ripristino dell’ordine costituzionale in Niger, esprimendo il suo sostegno a Bazoum in quanto presidente legittimo, ma esprimendo un monito agli altri stati africani ed europei contro qualsiasi eventuale intervento militare straniero in Niger.

In realtà già dopo il colpo di stato in Burkina Faso vi era stato un timido riferimento da parte della CEDEAO a un possibile intervento militare; la maggiore perentorietà e fermezza delle dichiarazioni dell’Organizzazione sub-regionale nel caso attuale del Niger potrebbero dipendere dal recentissimo cambio al vertice della stessa CEDEAO.

Nella 63esima riunione dell’organizzazione, conclusasi il 10 luglio 2023, il nigeriano Bola Tinubu è stato eletto nuovo presidente di turno, subentrando a Umaro Sissoco Embalò, presidente della Guinea-Bissau. Proprio nel discorso di insediamento, Tinubu si è detto profondamente contrario ai cambi di regime manu militari, così come registratisi diverse volte negli ultimi anni in diversi Paesi dell’area, promettendo un’azione più decisa a favore della democrazia in Africa durante il suo mandato.

Il presidente nigeriano della CEDEAO ha dunque mostrato immediatamente una posizione molto più ferma rispetto al passato, ciò anche perchè la Nigeria è uno degli ultimi bastioni democratici della regione. L’obiettivo delle dichiarazioni della CEDEAO, sotto la sua nuova guida, dunque, è sicuramente quello di dimostrarsi ferma e risoluta contro i colpi di stato in un contesto in cui l’organizzazione sub-regionale è stata ampiamente criticata per la dimostrata incapacità a gestire le precedenti crisi, quella maliana, quella burkinabè, ecc., e per non aver adottato alcuna misura effettivamente efficace nei confronti dei regimi golpisti.

Un intervento armato in Niger da parte della CEDEAO o di qualsiasi altro Paese, anche europeo, e dunque una risposta armata collettiva a sostegno del Niger da parte di altri Stati dell’area, avrebbe evidentemente conseguenze devastanti sull’intera regione saheliana e più in generale sull’intero continente. Sebbene il rischio di un intervento militare non possa essere del tutto escluso (vedremo cosa accadrà alla scadenza dell’ultimatum), più verosimilmente le varie forze in campo stanno cercando, con le proprie dichiarazioni, di assicurarsi un ruolo di rilievo nella risoluzione della crisi e finanche di forzare la mano alla controparte nel tentativo di raggiungere accordi di maggiore convenienza. Il presidente Bazoum, di cui la CEDEAO ha richiesto l’immediato rilascio, risulta, infatti, ancora sotto custodia delle forze militari golpiste; i negoziati tra i militari e golpisti e Bazoum sono iniziati lo stesso 26 luglio sotto i buoni uffici dell’ex presidente nigerino Mahamadou Issoufou. Da domenica, poi, le negoziazioni sono continuate anche con il supporto del presidente ciadiano, il Generale Déby, la cui mediazione è stata accettata anche dalla stessa CEDEAO.

Questo potrebbe significare che le varie forze interne, facendosi portavoce anche dei loro rispettivi alleati esterni (in particolare Déby, come del resto lo stesso Bazoum, sono molto vicini a Parigi), stanno proseguendo nei negoziati per la creazione di un nuovo governo di transizione in cui probabilmente dovranno essere ricomprese tutte le istanze, anche quelle dei golpisti.

Al momento anche le parti sembrano, dunque, concentrate sul raggiungimento di un compromesso win-win che riporti Bazoum alla presidenza (del resto lo stesso CNSP non si è finora posto in maniera aggressiva nei confronti del Presidente) o che definisca un riassetto dei poteri consono a tutte le fazioni e a tutela di tutti gli interessi in gioco. Questo ovviamente non sarà un percorso facile: le stesse minacce di intervento militare, pur mostrando la non arrendevolezza della CEDEAO, certamente non aiutano il clima negoziale.

– Sarebbe legittimo un intervento militare da parte di altri stati africani sul Niger, magari con il sostegno indiretto di Paesi occidentali? O costituirebbe un precedente pericoloso?

Dal punto di vista del diritto internazionale, non vi è legittimità all’uso della forza salvo in due stringenti ipotesi: la legittima difesa, individuale o collettiva, articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e l’uso della forza autorizzato dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, articolo 42 della Carta delle Nazioni Unite. Al di fuori di queste due stringenti ipotesi l’uso della forza non può considerarsi legittimo ai sensi del diritto internazionale, così come oggi esistente.

L’eventuale giustificazione dell’uso della forza da parte di altri stati africani sulla base di una presunta applicazione dell’articolo 51, inoltre, avrebbe, rebus sic stantibus, quantomeno una dubbia validità giuridica: il principio di autodifesa sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, infatti, deve intendersi come legittimo nel caso in cui si configuri come la risposta a un attacco offensivo imminente.

– La Francia scarta la possibilità di un intervento eppure proprio la dichiarazione dei Governi del Mali e Burkina Faso paiono testimoniare che è una opzione che loro prendono molto sul serio? 

Le dichiarazioni di Mali, Burkina Faso e Guinea mostrano più che altro un forte senso di solidarietà tra i Paesi saheliani ora guidati da giunte militari golpiste. Ma mostrano anche la forza di un rinnovato sentimento anticoloniale diffusosi in larga parte dell’Africa ed espresso emblematicamente nel discorso del Presidente della giunta golpista burkinabè, Ibrahim Traoré, al recentissimo vertice Africa-Russia tenutosi a San Pietroburgo pochi giorni fa.

Edulcorando quel discorso dagli aspetti ideologici che puntano a riproporre un vecchio modello ideologico, quello del comunismo (il presidente Traoré inizia il suo discorso rivolgendosi a Putin con il termine di “Compagno”) contro il capitalismo, sono proprio le parole del leader burkinabè a delineare le aspirazioni di almeno una parte del continente: un mondo senza ingerenze negli affari interni dei Paesi africani, la cacciata del neocolonialismo, dell’imperialismo e della schiavitù che talune potenze cercano ancora di imporre in Africa, la collusione dei capi di stato africani con i regimi coloniali, la necessità di un rinnovato piano di sviluppo dell’Africa che sia pensato e attuato dagli africani stessi e che cerchi di rispondere al fatto che il continente, pur essendo tra i più ricchi di risorse, è quello più povero.

Molti Paesi tra i quali l’Italia hanno espresso perplessità sul comportamento della Francia invocando uno scambio di informazioni più pregnante tra Paesi alleati. Condivide questa visione? 

 Nella nota di Palazzo Chigi, rilasciata dopo l’incontro che si è tenuto nel pomeriggio del 31 luglio, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, l’Italia auspica una soluzione negoziale della crisi e la formazione di un governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Nelle stesse ore il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, dichiarava che un intervento eseguito da europei per risolvere una crisi interna rischierebbe di avere effetti deflagranti, concludendo che, secondo la sua visione, la situazione nigerina sarebbe ancora recuperabile senza sfociare in interventi troppo duri. Anche il ministro Tajani ha dichiarato che l’intervento militare dell’occidente in Niger sarebbe un clamoroso errore.

Concordo pienamente sulla necessità di essere cauti in questo momento e di lavorare in maniera coordinata affinché si possa raggiungere una soluzione negoziale, avendo ben chiaro che in un qualsiasi negoziato internazionale si vince esclusivamente se si è disposti al compromesso. Già in passato l’Europa ha avuto dimostrazione che la strada militare non solo non risulta quasi mai la chiave di risoluzione delle crisi ma, al contrario, finisce per rappresentare un elemento di ulteriore destabilizzazione e aggravamento della situazione. Soprattutto nel caso del Niger, Paese nel quale il colpo di stato in atto presenta effettivamente profili molto diversi rispetto a quanto accaduto in Mali e in Burkina Faso, il negoziato tra gli attori locali potrebbe realmente portare a una soluzione della crisi in corso.

– Macron ha affermato che “non tollererá alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi”. Parlare di interessi rischia di attirare simpatie verso i golpisti?

 Al momento il principale interesse dell’intera comunità internazionale dovrebbe essere quello di non aggravare la situazione creatasi e di favorire il dialogo e i tentativi di mediazione in corso. Questo interesse combacia anche con l’interesse del popolo nigerino.

 – Il Cremlino ha preso le distanze dalla situazione in Niger. Quanto influisce in questo contesto il conflitto russo-ucraino-Nato? E l’incontro del presidente della Federazione Russa con i Paesi africani?

Dopo aver sottolineato la non sovrapponibilità delle dichiarazioni del leader della Wagner, Prigozhin, con gli orientamenti ufficiali russi, il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, ha precisato che la Russia richiedere il ripristino, il prima possibile, della legalità nel Paese e invita tutti alla moderazione. Se realmente scevre da eventuali intenti propagandistici, le dichiarazioni ufficiali di Mosca potrebbero rappresentare un messaggio per i gruppi golpisti nigerini: tali gruppi potrebbero non godere del supporto di Mosca nel caso di escalation militare. Conseguentemente la dichiarazione potrebbe essere utile per costringere le fazioni golpiste a posizioni più caute durante i negoziati ancora in corso.

Sebbene non sembri esservi una regia russa nei fatti del 26-27 luglio in Niger, è certamente vero che Mosca può guadagnare nuove posizioni in Niger proprio grazie all’azione di forza dei militari della GP e dell’incertezza creatasi. In generale, però, per poter approfittare della situazione in atto sarà necessario prima di tutto determinare quale sarà il ruolo della Wagner, dopo i fatti di giugno intercorsi tra Prigozhin e i vertici russi, non solo in Niger ma in generale in tutto il continente africano. In secondo luogo, per poter ampliare il proprio soft power in Niger, Mosca ha bisogno di una leadership certa con cui dialogare e con cui fare accordi. E per quanto Mosca possa avere interesse a premere sulle posizioni occidentali in Africa, valuterà molto attentamente il rischio di un nuovo fronte di guerra aperta con l’Occidente per il tramite di un conflitto tra stati africani filo-occidentali e filo-russi.

Le misure sanzionatorie di CEDEAO contro il Niger possono portare all’implosione dei golpisti o colpendo la popolazione rischiano di allontanare il Niger dal fronte occidentale?

Si, il rischio intrinseco di tutti i regimi sanzionatori indiscriminati, soprattutto ai danni di popolazioni dove già sussistono serie criticità umanitarie, è sempre quello di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita della popolazione e dunque di accrescere i sentimenti di revanche. Non è un caso che le Nazioni Unite si siano, negli ultimi decenni, maggiormente rivolte verso le sanzioni individuali, proprio in ragione degli effetti distorsivi a danno delle popolazioni locali.

Nel caso del Niger, la CEDEAO ha, sì, congelato tutti i beni dei funzionari militari coinvolti nel colpo di stato, ma ha anche sospeso tutte le transazioni commerciali e finanziarie con il Paese. Anche la Francia ha annunciato sanzioni e la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger. Questo evidentemente incide sulle condizioni di vita dell’intera popolazione: il Primo Ministro nigerino, Ouhoumoudou Mhahamadou, ha precisato che il Niger, tra i paesi più poveri al mondo, dipende dagli aiuti esteri e che il regime sanzionatorio avrà gravissime conseguenze sul Paese.

Un prolungato regime sanzionatorio o comunque il blocco degli aiuti umanitari potrebbe verosimilmente provocare un disastro umanitario in Niger, con conseguenze che andrebbero a impattare anche sull’Europa se si pensa ad esempio alla possibilità di un aumento dei flussi migratori.

 – Come legge l’arrivo del presidente del Ciad nonostante il Golpe?

Su invito della CEDEAO, il capo della giunta militare del Ciad, Mahamat Idriss Déby, è arrivato domenica a Niamey per presentare i propri buoni uffici nelle negoziazioni già in corso tra Tchiani e Bazoum, iniziate fin dal 26 luglio dal precedente Presidente nigerino, Mahamadou Issoufou. Proprio Déby ha pubblicato sulle sue pagina Facebook una foto del deposto presidente Bazoum forse proprio nel tentativo di rasserenare la comunità internazionale sulle sue condizioni dato che non era stato mostrato al pubblico dal 26 luglio, giorno della presa del controllo del palazzo presidenziale da parte della GP.

Il Ciad non è membro della CEDEAO ma è un Paese geograficamente confinante con il Niger, una potenza militare nel Sahel, un alleato della Francia e un Paese che ha svolto svariate missioni congiunte con il Niger nella regione del Lago Ciad e che, sempre con il Niger, è membro del G5 Sahel. Inoltre proprio Déby sembra essere in una posizione ottimale per poter dialogare con tutti gli attori coinvolti: è molto vicino alle autorità francesi ma è lui stesso un Generale che ha preso il potere nel paese con mezzi non democratici (sostanzialmente un colpo di stato) dopo l’uccisione del padre. È dunque in una posizione che lo pone allo stesso livello sia delle autorità militari nigerine sia delle alte gerarchie politiche, essendo lui stesso Presidente.

– Anche l’ex presidente del Niger Mahamadou Issoufou ha annunciato domenica di essere al lavoro per “trovare una via d’uscita negoziata dalla crisi” per “rilasciare” il suo successore Mohamed Bazoum e “restituirlo ai suoi doveri”.

L’ex presidente nigerino è stato il primo mediatore nella crisi, fin dalle prime ore. Anche lui è in una posizione favorevole per negoziare tra Bazoum e Tchiani: il generale golpista, infatti, ha soltanto mantenuto la sua posizione dopo l’elezione del 2021 di Bazoum poiché risultava già a capo della GP sotto la precedente presidenza Issoufou. Quest’ultimo ha appoggiato la candidatura alle elezioni del 2020-2021 di Bazoum e ha mantenuto amichevoli rapporti con il nuovo Presidente nigerino, tanto che, secondo, diverse fonti sarebbe stato anche un suo fidato consigliere. Tuttavia, non è possibile escludere la possibilità che vi siano alcune aree grigie nel posizionamento politico di Issoufou, motivo per il quale probabilmente è stato poi inviato Déby. In particolare, alcuni elementi di tensione tra Bazoum e Issoufou potrebbero essere progressivamente scaturiti dall’azione del presidente eletto nel 2021 volta a sostituire tutti i lealisti di Issoufou al vertice dello Stato, in particolare all’interno delle gerarchie militari, così da garantirsi una più solida base di supporto tramite l’inserimento di uomini a lui fedeli.

 

La Cina e la Turchia hanno un ruolo negli stravolgimenti che stanno avvenendo nell’area?

 

Facendo un discorso molto generico, può dirsi che Cina e Turchia hanno soprattutto interessi più che ruoli (attivi) nei recenti golpe nell’area. Per quanto attiene specificatamente al Niger, la Cina è il secondo più grande investitore straniero nel Paese africano dopo la Francia. Negli ultimi due decenni Pechino ha investito miliardi di dollari in Niger, principalmente per l’esplorazione di petrolio e uranio. La China National Petroleum Corporation e la China National Nuclear Corporation, di proprietà statale cinese, hanno investito rispettivamente 4,6 miliardi di dollari e 480 milioni di dollari nelle industrie del petrolio e dell’uranio del Niger. Pechino inoltre valutava la possibilità di avviare nuovi progetti nel Paese; soltanto poche settimane fa l’ambasciatore cinese in Niger, Jiang Feng, incontrava il Presidente Bazoum per discutere della costruzione di un parco industriale nella capitale Niamey con un impatto significativo su settori come l’agroalimentare, la produzione, l’estrazione mineraria e il settore immobiliare. Immediatamente dopo i fatti del 26 luglio, la Cina ha dichiarato di monitorare attentamente la situazione nel Paese e ha sollecitato tutte le parti a salvaguardare la stabilità. E infatti il principale interesse di Pechino, in Niger, così come in altri Paesi, è proprio la stabilità; soltanto in Paesi stabili, a prescindere dalla forma di stato o di governo, possono essere assicurati i progetti infrastrutturali e le altre iniziative di investimento. Al contrario l’instabilità cronica mette a rischio gli interessi economici e gli investimenti cinesi.

Anche la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, negli ultimi vent’anni almeno, ha accresciuto il proprio soft power in Africa, diventando uno degli attori più presenti sul continente. La perdita di posizioni soprattutto della Francia nella fascia saheliana ha favorito un’estensione delle posizioni di Ankara: ad esempio, dopo il colpo di stato del 2020 in Mali contro il regime di Ibrahim Boubacar Keita, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Cavusoglu, è stato il primo rappresentante straniero a visitare ufficialmente il Paese e a incontrare il colonnello golpista Assimi Goita. In generale gli interessi della Turchia in Africa, e anche in Niger, si sono concentrati negli ultimi anni non tanto su ampi progetti infrastrutturali, come nel caso cinese, ma sugli aiuti allo sviluppo e umanitari e, soprattutto, sulla vendita di armi. Niamey ha già acquistato dalla Turchia droni Bayraktar TB2 come primo step di un contratto per le forniture di armi firmato a novembre 2022 e che prevede anche l’acquisto da parte del Niger di aerei leggeri e mezzi blindati. La fornitura di equipaggiamenti e mezzi militari non è fine a sé stessa, ma costituisce un aspetto fondamentale della strategia di soft power della Turchia in Africa; come contropartita a tali forniture, Ankara ottiene spesso, infatti, anche la concessione di diritti di sfruttamento di risorse e appalti per le infrastrutture e ciò sta progressivamente consentendo alla Turchia di accrescere il proprio radicamento sul territorio nel continente.

Marco Fontana
marco.fontana

Iscriviti alla newsletter di StrumentiPolitici