Geopolitica dello Spazio. Il monumentale racconto di Emilio Cozzi dello sforzo umano per superare i suoi limiti
Lo Spazio come specchio delle migliori e delle peggiori pulsioni dell’Uomo. L’opera enciclopedica ‘Geopolitica dello Spazio. Storia, economia e futuro di un nuovo continente’ di Emilio Cozzi oscilla continuamente tra gli estremi di questo paradigma: lo Spazio come virtuoso anelito dell’Umanità , ma anche come conquista per guerre stellari o per brame di guadagno di singoli attori privati.
Dagli albori dell’esplorazione spaziale
Cozzi inizia il suo lungo viaggio narrativo extra orbitale dagli albori dell’esplorazione spaziale. Pietra miliare di questa affascinante avventura il 4 ottobre 1957: i tre bip dello Sputnik, (letteralmente ‘satellite’). Il primo oggetto umano a superare l’atmosfera per girare intorno al nostro pianeta era una palla di poco più di 83 kili con quattro vistose antenne da insetto, della dimensione di circa due palle da basket. La nuova età dell’uomo era cosi cominciata e la corsa allo Spazio sarebbe poi stata una sfida continua tra le potenze del secolo scorso, per poi diventare in alcune circostanze addirittura uno sforzo comune, come la Stazione Spaziale Internazionale. Ma la volontà di superare e anche di sopraffare il nemico aleggerà sempre intorno ad ogni sforzo verso di conquista dello spazio.
‘Quando Eisenhower – scrive Cozzi nel primo capitolo del libro – aveva promesso che, per l’Anno geofisico Internazionale, l’America avrebbe regalato al genere umano un satellite artificiale, aveva omesso di sottolineare che far viaggiare a 100 chilometri dalla superficie terrestre un piccolo oggetto costruito da mano umana (e statunitense, ovvio) avrebbe risolto un problema di artiglieria ai tempi piuttosto sentito al Pentagono: stabilire la posizione esatta di Mosca. Era uno dei compiti principali dell’Army Map, un’unità segreta del corpo degli ingegneri dell’esercito che, sotto la supervisione dell’astronomo John O’Keefe, grazie a un preciso riferimento in orbita, avrebbe potuto localizzare il Cremlino con un’accuratezza senza precedenti. Ai tempi, usando come riferimento la Luna, troppo grande, rugosa e lontana, la posizione di Mosca era stimata con un’approssimazione di un miglio’.
Lo shock come trampolino
Lo shock americano per il successo sovietico chiamato Sputnik fu senza dubbio il trampolino di lancio per la conquista umana della Luna. A sua volta lo Sputnik fu il simbolo della rivalsa russa nei confronti della supremazia americana sul nucleare: significava aver battuto il nemico sul tempo grazie all’intelligenza, all’organizzazione e ai valori dei propri cittadini. In una parola, era l’indiscussa prova dell’essere dalla parte giusta della Storia. In Unione Sovietica furono tronfi della superiorità del proprio sistema e dei propri ideali. Che significava, naturalmente, essere sicuri della supremazia tecnologica e quindi bellica.
Nella prima parte del libro Cozzi offre una serie di interessanti digressioni sui personaggi fondamentali nella conquista delle Spazio, come Yuri Gagarin e Neil Armstrong, ma anche su personalità meno note e non meno importanti come il russo Konstantin Ciolkovskij.
La Terra – disse questo genio matematico autodidatta – è la culla dell’Umanità, ma non si può vivere in eterno nella culla.
Emarginato, riconosciuto solo da un altro genio come il filosofo di Danzica Arthur Schopenhauer, Ciolkovskij fornì basi teoriche così solide al suo sogno di raggiungere il cosmo che più di un secolo dopo sarebbero state ancora considerate il fondamento dell’astronautica.
La prima velocità cosmica

Nel suo ‘L’esplorazione dello Spazio per mezzo di motori a reazione’, dato alle stampe nel 1903, mentre i fratelli Wright stavano ancora capendo come avvitare un motore su un aliante, Ciolkovskij indicava i calcoli necessari per raggiungere la cosiddetta prima velocità cosmica, fondamentale per affrancarsi dall’attrazione terrestre. Aveva compreso che per viaggiare nello Spazio sarebbe stato necessario impiegare motori a razzo in grado di espellere gas ad alta pressione.
Da pazzoide con teorie di scarsa utilità ai tempi degli zar, Ciolkovskij venne riabilitato grazie al comunismo, che impose scienza e tecnologia come strumenti imprescindibili per migliorare le condizioni del popolo. Difficile quindi trovare qualcuno con idee più avveniristiche di quel misconosciuto insegnante in miseria. Motivo per cui, da quel momento in poi, fu il governo a promuoverlo e a sostenerne il lavoro.
Il primo aerorazzo
Non meno rocambolesca ed affascinante la storia raccontata dall’autore dei due scienziati rivali, Korolëv e Gluško, a cui si deve la costruzione del primo aerorazzo sovietico l’rp318. Entrambi, neanche a dirlo, profondamente affascinati dalla figura di Ciolkovskij, furono deportati nei gulag alla vigilia della seconda guerra mondiale. Questo non impedì loro di proseguire gli studi e arrivare nel dopoguerra alla realizzazione per primo missile balistico a corto raggio r-1 ( Korolëv) e dell’rd1, un motore a combustibile solido destinato all’assistenza in fase di decollo dei futuri aero caccia.
Il successo dopo pochi anni dello Sputnik e poi del lancio nel cosmo di Gagarin, lo si deve alla genialità di questi due eccezionali studiosi. Ovviamente anche in casa sovietica la rilevanza militare delle avventure spaziali era sempre ben chiara. ‘Che l’r7 risultasse in verità inutile come arma balistica – sottolinea Cozzi – per Korolëv sarebbe stato un problema cui pensare più tardi. Ora come ora, l’importante era costruire un missile intercontinenale e farlo prima di chiunque altro. Era questo il compromesso che egli aveva dovuto accettare per coronare il sogno dello Sputnik’.
Un’attenzione particolare l’autore la dedica naturalmente al primo l’uomo nello spazio: Yuri Gagarin
Nome in codice «Kedr» (cedro), il 27enne tenente pilota delle Forze aeree militari sovietiche era figlio di un carpentiere, Aleksej Ivanovič Gagarin, e di una contadina, Anna Timofeevna. La cosmonave su cui compì l’impresa era stata chiamata Vostok, in russo «oriente»: era una sfera di metallo poco più grande dell’astronauta stesso e con a bordo il necessario per tenerlo in vita, sì e no, dodici giorni. Era spinta dallo stesso tipo di razzo, l’r7, che quattro anni prima aveva portato in orbita lo Sputnik.
In 88 minuti (108, tra lancio e atterraggio) girò una volta intorno alla Terra, tanto bastò per consegnarlo alla Storia come eroe. Atterrò sul nostro pianeta appeso a un paracadute e sotto lo sguardo atterrito di due contadine in un campo nella regione di Saratov, la stessa dove aveva frequentato la scuola di volo che l’aveva reso un pilota. ‘La Giovane Aquila spaziale – scrive l’autore – era il frutto di anni di sacrificio, impegno e dedizione che lo avevano portato dall’essere un ragazzo di campagna cresciuto fra gli orrori della guerra al diventare un operaio metalmeccanico. Un risultato ottenuto senza mai rinunciare al sogno di volare, perseguito con tanta tenacia da mettersi dei rialzi sotto il sedere per poter vedere, nonostante i suoi 157 centimetri di altezza, la pista di atterraggio.
Il figlio del popolo
E per poter così superare l’esame e ottenere la licenza di volo’. Come sottolinea Cozzi, Gagarin aveva una caratteristica vincente fondamentale: era un figlio del popolo. Era in possesso, cioè, del perfetto passaporto per le stelle secondo l’ideologia e la propaganda comuniste. Costretto a condividere una baracca di tre metri per tre durante l’occupazione nazista, aveva visto anche due dei tre fratelli deportati in un campo di lavoro forzato dal 1943 al 1945. E poi c’erano le figlie, Galina ed Elena, che lui, credente, decise di battezzare prima dello storico lancio, a dispetto della frase di Majakovskij che, supponendolo in orbita, gli si volle appiccicare addosso: «Non c’è nessun Dio quassù».
Quasi predestinato ad essere eroe fino all’ultimo, Yuri Gagarin perse la vita qualche anno più tardi in un volo di addestramento, durante il quale scelse col suo compagno di volo di non eiettarsi per risparmiare la vita ai cittadini di un piccolo centro abitato. Eroe fra gli eroi, venne tumulato nella necropoli delle mura del Cremlino. Oggi non esiste equipaggio di astronauti, cosmonauti e spazionauti che, partendo con una navicella russa, non passi dalla tomba per renderle omaggio con un fiore.
L’inutilità degli ingegneri nazisti
Dall’altra parte dell’Oceano, negli Usa, nemmeno il discutibile utilizzo di ingegneri aeronautici nazisti, come il rampollo di casa von Braun, ufficiale delle SS, riuscirono ad evitare lo smacco dello Sputnik. Sebbene proprio il team nazista di von Braun grazie al razzo A-4, ribattezzato da Goebbels V2, riuscì per la prima volta nella Storia il 20 giugno 1944 a superare l’atmosfera. ‘Non avrei mai pensato – dichiarò il deputato del Congresso statunitense John Dingell nel luglio del 1947 – che fossimo così malmessi in questo Paese da dover importare dei nazisti omicidi per la nostra difesa‘.
Il programma Vanguard riuscì comunque a portare in orbita tre satelliti tra il 1957 e il 1959, e le sue innovazioni sarebbero state sfruttate anche decenni dopo. In primo luogo, i pannelli solari usati per alimentare i trasmettitori di bordo. Oggi, sebbene inerti, i satelliti sono ancora in orbita e utilizzati per rilevare l’attività del Sole e la sua influenza sugli strati alti dell’atmosfera terrestre.
Gli inizi della telemetria spaziale
Non meno innovativo fu il sistema di tracciamento, precursore della moderna telemetria spaziale. Gli strumenti scientifici di bordo misurarono la forma della Terra, identificandola come un geoide schiacciato ai poli, più simile a una pera che a una sfera perfetta. Misurarono poi la densità dell’atmosfera a elevate altitudini e l’influenza del vento solare. Ma lo smacco verso lo Sputnik ebbe comunque la meglio nel dare una scossa al sistema, per cui il 25 luglio del 1958 il Presidente americano Eisenhower firmò il National Aeronautics and Space Act, ovvero la nascita della Nasa.
Il vantaggio sovietico nello Spazio sul finire degli anni ’50 era enorme e indiscutibile: primo satellite in orbita, primo essere vivente nello cosmo, prima sonda a colpire la Luna, prima sonda a fotografare il lato nascosto della sfera selenica. Tre mesi prima degli Usa il Progettista Capo russo aveva fatto vagire lo Sputnik. Gli Stati Uniti avevano replicato con l’impegno solenne di inviare un satellite attorno al Sole nel marzo del 1959. Il Progettista Capo russo ci riuscì a gennaio. ‘Chruščëv – sottolinea Cozzi – non fu più l’unico a deridere l’incompetenza statunitense’. Con titoli che sbeffeggiavano il Kaputnik!, la stampa di tutta l’America si fece portatrice di un’ondata antipatriottica senza precedenti. Ma le cose sarebbero drasticamente cambiate e definitivamente con la conquista della Luna.
Il team Mercury
Quando Walter Bonney della Nasa, alle due del pomeriggio del 9 aprile 1959, diede il benvenuto alla stampa invitata alla conferenza nel salone da ballo della Dolley Madison House, a pochi chilometri dalla Casa Bianca, trovò davanti a sé una folla, di quelle difficili da tenere calme. «Entro sessanta secondi circa» spiegò Bonney al pubblico «vi daremo l’annuncio che voi tutti attendete: i nomi dei sette volontari che diventeranno il team di astronauti Mercury». E tra i fantastici sette c’era ovviamente quello che sarebbe diventato un altro mito al pari di Gagarin: Neil Alden Armstrong.
Una sequela incredibile di coincidenze, come un paio di scampati incidenti mortali, un grave lutto familiare e un ritardo nella consegna del Lem, furono determinanti nell’immortalare nella Storia il 38 enne di Wapakoneta il 21 luglio del 1969. Naturalmente niente accade completamente per caso e fin da piccolo Armstrong coltivò la passione per l’aeromodellismo: a quindici anni aveva cominciato a risparmiare per pagarsi le lezioni di volo, che ai tempi costavano 9 dollari l’ora. Dopo la scuola, il piccolo Neil andava a lavorare nell’emporio Brading’s Drugs per 40 centesimi di dollaro l’ora. Non ancora sedicenne, e prima di prendere la patente di guida, Armstrong conseguì l’attestato di allievo pilota il 5 agosto 1946. Sebbene ammesso al Mit, Neil scelse la carriera di ingegnere aeronautico in Marina, per poter continuare a volare.
Come annota Cozzi,
la domanda per diventare astronauta di Neil Armstrong era arrivata in ritardo di almeno una settimana rispetto alla scadenza imposta dalla Nasa. Quando la busta venne recapitata, Day, anche membro del comitato di selezione del secondo gruppo di astronauti, la infilò nella pila insieme a quelle degli altri candidati, prima che i membri della commissione si riunissero la prima volta. Armstrong l’aveva spedita poche settimane dopo il funerale di sua figlia.
Il primo allunaggio
Determinanti per il successo del primo allunaggio della Storia furono proprio la capacità eccezionali di Neil Armstrong come pilota e la sua freddezza nelle situazioni d’emergenza: assunse il controllo manuale della Eagle per evitare che la manovra automatica di allunaggio la schiantasse contro massi grossi quanto automobili. Mai sopra le righe, l’ormai eroe Armstrong dichiarò qualche anno dopo in un’intervista’:
Sarebbe presuntuoso da parte mia scegliere un unico aspetto che la Storia identificherà quale risultato di questa missione. Io credo che ci aiuterà a fare nuova luce sulla specie umana e a capire che siamo parte importante di un universo molto più ampio del panorama che scorgiamo di solito affacciandoci sulla porta di casa nostra. Spero che aiuterà le persone, in tutto il mondo, a considerare dalla giusta prospettiva le varie imprese dell’intera umanità. Forse andare sulla Luna e tornare non è di per sé tanto importante. Ma è un passo grande abbastanza da offrire a tutti una nuova dimensione di pensiero, una specie di illuminazione.
Con la conquista della Luna, lo Spazio a poco a poco smette di essere esclusivamente un territorio di sfida tra le potenze e, grazie anche al disgelo Usa – Urss, negli anni’ 90 diventerà luogo di sforzi comuni ed impensabili collaborazioni. Da qui la nascita nel 1998 della Stazione Spaziale Internazionale ISS (International Space Station), risultato di vari progetti spaziali nazionali nati durante gli anni della Guerra Fredda. La Nasa negli anni ’80 pianificò la realizzazione della Stazione Freedom in risposta alle stazioni sovietiche Salijut e Mir. Tuttavia il progetto americano non vide mai la luce per problemi finanziari e per il concomitante crollo dell’Urss.
L’avvio della collaborazione spaziale
Iniziò così la collaborazione russo americana tra le stelle, come testimonia il progetto Shuttle-Mir. Al progetto parteciparono altri Paesi e, modulo dopo modulo, si arrivò alla ISS di oggi. L’ultima parte della Stazione è stato aggiunta nel 2021 e l’intera struttura rimarrà operativa fino al 2030, quando sarà dismessa tramite un rientro controllato nell’atmosfera. Il lavoro della ISS in questi anni ha riguardato principalmente esperimenti scientifici, che hanno portato miglioramenti tecnologici significativi in svariati campi, soprattutto in quello medico.
‘Microprocessori, fotocamere digitali, materiali, strutture, per funzionare nello Spazio– si legge nel libro di Cozzi – tutto deve essere realizzato con meno e in dimensioni più ridotte, deve resistere alle proibitive condizioni extraterrestri e deve essere facilmente trasportabile, imponendo l’ottimizzazione e miniaturizzazione di ogni elemento. Uno straordinario balzo in avanti tecnologico che, una volta compiuto, diviene globalmente disponibile per l’umanità, riducendo costi e aumentando la sicurezza di strumentazioni sempre più evolute.
Anche in questo caso, quindi, ci aspettiamo che stampa biologica e medicina rigenerativa, affinate per lo Spazio, trovino poi ampie possibilità di applicazione terrestre. La posta in gioco è altissima: possibilità di trapianti senza più donatori, liste di attesa o rischio di rigetto, capacità di curare gravi danni senza creare ferite secondarie e facoltà di testare nuovi medicinali direttamente sugli organi da guarire, minimizzando i test animali o umani’.
Il ruolo della geopolitica nello spazio
Nel libro viene sottolineato a più riprese come la storia più recente della conquista dello Spazio sia condizionata dal cambiare dei tempi e della geopolitica: prima palcoscenico dello scontro tra Potenze, poi luogo di collaborazione tra nazioni ed oggi novello Far West di interessi privati. Come spiega Cozzi, il fenomeno ha ormai un nome specifico: Space Economy.
Laddove lo Spazio era il dominio del divino o dell’ignoto prima e «maschera dell’agonismo fra imperi» poi, – sentenzia l’autore del libro – oggi sono i privati a essere pronti a lavorare, a fare impresa.
Un tempo era la Nasa a stimolare investimenti privati e attrarre risorse, oggi sulla ISS ci si va invece con la Space X di Elon Musk oppure pagando come turisti spaziali di lusso, partendo dalle lande desolate della Russia.
Sono lontani i tempi – precisa Cozzi – in cui la Nasa si opponeva alla visita di astronauti non professionisti sulla ISS. Nel 2001, Dennis Tito vinse le resistenze e pagò venti milioni di dollari per diventare il primo turista spaziale della Storia. Venne addestrato per otto mesi alla Città delle Stelle, vicino a Mosca, un periodo che la Nasa non smise mai di considerare insufficiente. Di contro, i russi accettarono di buon grado il futuro astroturista (e il suo denaro) e il 28 aprile 2001 lo assicurarono senza troppi ripensamenti a uno dei tre sedili della Sojuz tm32. Tito partì dal cosmodromo di Bajkonur verso la Stazione Spaziale Internazionale, da dove sarebbe rincasato meno di otto giorni dopo raccontando urbi et orbi di essere «appena tornato dal paradiso». Da allora, il paradiso è in vendita. Sebbene, si conceda il gioco di parole non proprio originale, a cifre «astronomiche».
L’economia dei satelliti
Una cospicua parte del libro viene dedicate al tema satelliti, definiti dall’autore come lo scheletro dell’economia spaziale. Cozzi ricorda infatti come ben prima che Neil Armstrong lasciasse la sua prima impronta sulla Luna, il lancio del satellite Telstar 1, nel luglio 1962, concretizzò l’intuizione di chi aveva intravisto al di là del cielo un nuovo El Dorado. Con l’avvento dei satelliti lo Spazio è diventato il nuovo centro della Terra. Senza questa tecnologia non esisterebbe la società come la conosciamo oggi, con servizi di geolocalizzazione per navi, velivoli e auto, oltre agli innumerevoli servizi usufruibili tramite gli smartphone.
Il potenziale di crescita del settore della Space economy ha subito un’impennata esponenziale negli ultimi negli ultimi dieci anni: secondo il World Economic Forum (wef) l’economia legato allo Ssazio è pronta a sfiorare gli 800 miliardi negli anni imminenti, per poi decollare verso un valore compreso fra i 1800 e i 2300 miliardi entro il 2035 (contro i 630 miliardi del 2023). Anche vista al ribasso, si tratterebbe di una crescita media del 9% all’anno, superiore a quella del Pil globale.
Come già scritto in precedenza, in realtà l’aspetto militare del settore è spesso il motore di ogni innovazione: il gps fu progettato per guidare i missili nucleari dei sottomarini americani.
Il record di occhi nello spazio
‘A maggio del 2023 – riporta Cozzi – il numero complessivo dei satelliti operativi ha raggiunto le 7560 unità (5184 sono statunitensi e fra loro 4741 sono commerciali, 167 governativi, 30 civili e 246 militari). Il 2022 è stato un anno record anche per i lanci, con 180 successi complessivi: sul podio gli Stati Uniti con 85, la Cina con 62 e la Russia con 22. È il numero più alto di sempre e supera di 44 quello registrato l’anno precedente’. ‘Lo score – sottolinea l’autore – è dominato dai vettori spaziali della società statunitense privata SpaceX, dal governo e dalle imprese cinesi. A tal proposito, SpaceX, la compagnia spaziale dell’imprenditore di origini sudafricane, Elon Musk, nel 2022 ha inviato in orbita un razzo Falcon 9 ogni sei giorni circa, una frequenza addirittura aumentata nel 2023. I suoi 61 successi, che corrispondono ai circa due terzi di quelli statunitensi e a un terzo di quelli globali’.
La colonizzazione extraterrestre
Cozzi dedica alcuni capitoli del suo libro a quello che per molti versi rimane ancora un sogno, ovvero la colonizzazione extraterrestre. ‘Per Musk – riporta l’autore – l’esplorazione del cosmo è uno dei compiti della nostra specie, cui sarebbe irresponsabile abdicare. Quando scopre che la Nasa non ha un piano per raggiungere le lande marziane si convince di trovarsi su questo pianeta per portare l’umanità su un altro’. Non nuovo ad imprese che sembravano impossibili, il sogno di Musk di conquistare Marte rimarrà probabilmente tale. Cozzi analizza pragmaticamente tutti i dati scientifici che, con le tecnologie attuali a disposizione, rendono altamente improbabile una conquista del Pianeta Rosso nei prossimi decenni.
L’autore sottolinea piuttosto la genialità di Musk nell’aver rivoluzionato il settore dei lanci spaziali, sbaragliando la concorrenza dell’industria aerospaziale Usa intrallazzata da decenni con la Nasa. Dopo i primi insuccessi in questo ambito, Musk non si demoralizza e raggiunge l’Olimpo. ‘SpaceX – spiega Cozzi – avrebbe evitato gli sprechi degli appaltatori governativi, e avrebbe chiamato il suo primo razzo Falcon 1, in omaggio alla celebre astronave di Han Solo della saga di Star Wars, portando in orbita un carico di 635 chilogrammi a un prezzo di 6,9 milioni di dollari, in un mercato in cui lanciare 250 chili costava almeno 30 milioni’. Un vera rivoluzione.
Space X
SpaceX è un esempio unico nel suo genere, perché è in grado di gestire l’intera filiera delle missioni spaziali: dalla manifattura di razzi vettore, di veicoli per il trasporto (con e senza equipaggio) e di satelliti, come quelli della costellazione per la connettività a banda larga Starlink, fino alla rete di supporto a terra, che assicura la regolare erogazione dei servizi. I lanci sono venduti a una clientela vasta, che comprende sia realtà istituzionali come la Nasa, il governo statunitense e l’Agenzia Spaziale Europea, sia piccole compagnie, compresi i privati.
Il ruolo dell’Europa
E l’Europa? Al di là di eccellenze singole come l’italiana Alenia Spazio, la UE nel suo complesso pare più che altro impegnata in un’affannosa rincorsa non solo di superpotenze spaziali quali Stati Uniti e Cina, ma anche di una sua perduta autonomia oltre il cielo. Esemplificativo il budget record per l’Esa, il più alto finanziamento della sua storia, di 14,4 miliardi di euro da spendere in tre anni non coprirebbe le spese della Nasa di un solo anno.
Se la vecchia Europa arranca, il Dragone Cinese naturalmente scalpita. ”Sotto il presidente Xi Jinping – scrive Cozzi – lo Spazio è completamente integrato nel “sogno del grande ringiovanimento della nazione”; deve contribuire a fare della Repubblica popolare la “grande potenza tecnologica” numero uno entro il 2049, cioè entro il centenario della Repubblica. Quando la Stazione Spaziale Internazionale sarà dismessa, è probabile che l’unico avamposto orbitante a carattere nazionale rimarrà la stazione spaziale Tiangong, il «Palazzo celeste» modulare, completato con undici missioni lanciate tra il 2021 e il 2023 e oggi regolarmente abitato’.
La rincorsa cinese
Dopo essere stato il primo Paese in assoluto a posare con successo una missione sul lato nascosto della Luna nel gennaio del 2019, la Cina ha anche lasciato un segno a eterna memoria sulla superficie selenica. Come avvenne tra Russia e Stati Uniti negli anni ’60, anche per la Cina è stata una cocente sconfitta sul campo a determinare la volontà di recuperare il gap tecnologico col nemico. Cozzi ricorda come nel 1995 tre missili cinesi indirizzati verso Taiwan finirono pateticamente in mare, con ogni probabilità perché deviati dalla tecnologia GPS in mano agli americani.
Dal 2000 Pechino lavora perciò in autonomia alla propria cavalcata spaziale, con tanto di basi sparse per il mondo, come quella in Argentina nella zona di Quintuco, vicino a Bajada del Agrio, per la quale ha strappato un accordo molto contestato dalla politica occidentale: ratificato dal parlamento argentino nel 2015, prevede il comodato gratuito di duecento ettari per cinquant’anni, rinnovabili. All’interno della base operano solo cittadini cinesi e con normative proprie. Se si pensa alle parole di Xi Jinping, secondo cui la Cina sarà una grande potenza solo quando disporrà di un’idonea capacità di deterrenza extraatmosferica, l’ipotesi di una una guerra stellare nei prossimi decenni è più vicina di quanto si creda.
Le risorse spaziali
Nei capitoli finali del suo libro, Cozzi affronta la delicata e controversa questione dello sfruttamento economico delle risorse spaziali (trivellazioni lunari, marziane, installazione di strutture permanenti extraterrestri ecc.) sulle quali sostanzialmente non esiste alcun vero accordo internazionale o legge universalmente riconosciuta, per cui lo spirito del Far West è l’unico dato certo: chi prima arriva, meglio alloggia. I player in campo spaziale non sono più, come un tempo, solo i singoli Stati o gruppi di Stati: nell’agone extraterrestre troviamo oggi al contrario soprattutto corporation e interessi privati.
Rincuora che al momento l’unica vera grande risorsa di cui si è certi nello Spazio sia l’energia solare, che al di fuori dell’atmosfera terrestre raggiungi picchi di efficienza impensabili. Il problema, a cui si sta già lavorando, Cina in testa, è riportarla sulla Terra. La tecnologia di trasmissione su cui si stanno facendo i test sono le micronde, che però al momento coprono al massimo 55 metri: la stazione captante Cassiopea , una cattedrale orbitante da 2000 tonnellate dista invece 36 mila kilometri dal suolo terrestre. Anche su questo fronte, i sogni di gloria spaziali e i relativi interessi economici, dovranno attendere tempi migliori.
La storia dello sforzo umano per superare i propri limiti
Ricco di molti spunti, aneddoti e curiosità, il libro ‘Geopolitica dello Spazio. Storia, economia e futuro di un nuovo continente’ di Emilio Cozzi rappresenta un volume fondamentale per chiunque sia affascinato dallo sforzo umano per la conquista dello Spazio e le sue inevitabili conseguenze geopolitiche.

Giornalista pubblicista dal 2000 presso l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, ha collaborato come cronista e commentatore politico coi quotidiani ‘TorinoCronaca’ , ‘laPadania’ , ‘RadioPadania’. Ha lavorato come addetto stampa presso diversi gruppi politici del Consiglio Provinciale di Torino, del Consiglio Regionale del Piemonte, del Ministero delle Attività Produttive ed è stato Portavoce del Presidente della Regione Piemonte dal 2010 al 2014. Esperto di comunicazione politica e di cultura ungherese, ha fondato e diretto il sito di notizie web PiemonteLife.it e ha pubblicato una raccolta di racconti tradizionali magiari.

