G7, Luca Jahier “La leadership dell’Occidente passa da diverse sfide chiave, non solo in funzione anticinese”
L’incontro annuale dei leader del G7 si è svolto in Cornovaglia, sotto la presidenza inglese. Dalla crisi finanziaria del 2008 e dell’espulsione della Russia dopo l’invasione della Crimea, l’attenzione dedicata al meeting è quasi inaspettata. “Il mondo non è più quello dell’antico G7, è in una fase con equilibri internazionali nuovi. Joe Biden ha portato al G7 un’idea forte: un’alleanza delle grandi democrazie del pianeta. Non mi pare però siano stati fatti passi avanti se non in funzione anticinese, non si può quindi dire ci sia un pieno successo”. Luca Jahier, già presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo con una lunga e articolata carriera nel mondo della cooperazione internazionale, identifica le sfide emerse dall’incontro dei leader alla corte di Boris Johnson. “Bisogna comunque compiacersi perché il mondo ha bisogno di più cooperazione e più unità, soprattutto di chi condivide e protegge determinati valori”.
– Il G7 è stato criticato come un “gruppo obsoleto di Paesi” poiché non include altre grandi nazioni del mondo (tra cui i cinesi, autori della critica). Qual è dunque il senso del meeting e perché sta avendo così tanta attenzione?
“Il G7, sebbene uscito dallo scenario degli organismi informali con la comparsa del G20, ha avuto un rilievo maggiore per tre principali motivi. Il primo e più importante riguarda la pandemia: nella ricerca di punti di riferimento il G7 si è proposto come luogo dove trovare e dare risposte su produzione e distribuzione dei vaccini (Cina esclusa). Il secondo vede il G7 come ambito in cui si celebra – in modo forse troppo enfatico – “America is back”. Nonostante l’agenda Trump non sia del tutto conclusa, riappare il multilateralismo e si pone fine al conflitto contro l’UE, ritenuta nemica da Trump a tal punto da voler smantellare la NATO e sostenere la Brexit. Il terzo elemento riguarda il binomio Russia e Cina, temi pregni di una conflittualità strategica che comporta diverse preoccupazioni in molti paesi. Con la volontà di Biden di portare al tavolo tali questioni il gruppo ristretto ha ottenuto una rilevanza non indifferente. Nonostante le conclusioni del vertice presentino punti complicati e di debolezza, rimane un fatto: dal vertice è nata un’enfasi particolare, non solo di comunicazione ma anche di sostanza”.
– Gli Stati Uniti e l’Europa rimangono però divisi su diverse questioni politiche chiave. Biden vuole far convergere l’UE verso gli USA attraverso il rafforzamento delle alleanze democratiche nella competizione con le autocrazie, Cina su tutte. Si può dire ci sia riuscito?
“Sono assolutamente convinto che se l’Occidente voglia avere un ruolo nella competizione a livello globale deve considerare 4 fronti: primo, lotta alla pandemia, e i Paesi del G7 devono mettersi in prima linea per vaccinare il mondo per ragioni solidaristiche e utalitaristiche. Ma veniamo da una stagione in cui solo l’UE ha agito, con COVAX. E l’apertura americana sulla sospensione temporanea dei brevetti è ferma vista la marcia indietro dell’UE sulla liberalizzazione. Sostanzialmente, il mondo ha vaccinato i più ricchi e i più abbienti, con la Cina pronta a supportare i Paesi più deboli economicamente. Secondo, sull’ambiente bisogna aggiornare rapidamente tutte le agende della sicurezza globale perché il cambiamento climatico è una minaccia planetaria, causa di guerre per le risorse idriche, povertà e migrazioni. Inoltre, un nodo non secondario che divide USA e UE è il tema sul pricing della Co2, che comporta alti standard per molte merci che non potrebbero entrare nel mercato europeo. Chiudono il cerchio la tassazione minima alle multinazionali (il cammino è ancora lungo) e il rischio della bolla del debito, data la fase espansiva globale per far fronte alla pandemia”.
– E ora il vertice NATO, che pone particolari sfide, tra queste la Russia. Putin è ancora il nemico numero uno per gli USA?
Il vertice NATO vede anche qui il ritorno degli USA, ma i piani strategici vanno rivisti (sono fermi da anni), con le sfide date dalla Turchia (membro dell’alleanza) e dalla Russia. È evidente a tutti che quest’ultima ha aumentato il proprio livello di manipolazione, con interventi oltre i limiti (finanziamenti a partiti, disinformazione e guerra cibernetica, aumento della pressione militare in Ucraina). Ma la Russia è un gigante dai piedi d’argilla: sebbene il confronto Biden – Putin si svolgerà in un clima pesante, a mio modo di vedere e senza chiudere gli occhi su fatti gravi non accettabili, nel medio termine è possibile costruire un percorso che porti la Russia a più miti consigli, trovando un bilanciamento, viste le sue problematiche economiche.
Con la Cina è tutto molto più complicato: un attore economico forte che su alcuni settori ha forte presa sul mondo, con ambizioni militari e geostrategiche non indifferenti. Il vero elephant in the room”.
Nato a Torino il 13 Settembre 1991. Dopo la Laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino, consegue il Master in Cooperazione e Diritto Internazionale alla Pontificia Università Lateranense di Roma. Consulente di progetto e studioso di tematiche europee, collabora con team d’innovazione sociale ed è il fondatore di un’associazione giovanile torinese che prova a immaginare il futuro della città.