Politica italiana in fermento: dalle prove di federazione del centrodestra al ritorno in campo di Letta e Conte
Stagione di grandi manovre quella che stanno vivendo le coalizioni, i partiti alleati o in procinto di diventarlo e le singole forze politiche al loro interno: tutti in movimento, nessuno escluso, alla ricerca di correzioni di rotta se non di nuove identità e rinnovate forme di convivenza più o meno pacifica. Se da destra viene lanciata l’idea di una Federazione, da sinistra si rilancia: non una ma due Federazioni. Si direbbe un periodo di grande instabilità, almeno sul piano dei riposizionamenti, che tuttavia non sembra ripercuotersi sulla tenuta del governo, ad eccezione di qualche malumore fatto rientrare prontamente. Mario Draghi, col favore di un altissimo gradimento rilevato dai sondaggi, procede spedito col suo programma e i suoi intenti e ha messo a punto la macchina che dovrà sovraintendere all’attuazione del Recovery plan, salvo naturalmente la prova dei fatti sul campo; sollecita i partiti a procedere sulle riforme attese dall’Europa come vincolo per la concessione dei fondi, ha ridisegnato il volto di diverse aziende e delicate istituzioni dello Stato (anche suscitando profonde irritazioni in taluni partiti della sua larghissima maggioranza) e cerca di mediare, riuscendoci, sui nodi dell’economia: sblocco dei licenziamenti, incentivi per chi non licenzia, ristori, nuovi indennizzi, mentre ci si prepara ad uscire dall’emergenza sanitaria e a ripartire con la ripresa economica, che tuttavia si porta dietro il macigno di quasi 900mila posti di lavoro persi nell’arco di un anno o poco più. E, non ultimo, proprio grazie all’autorevolezza, al prestigio e alla politica del fare di Draghi, il nuovo profilo di primo attore che l’Italia va assumendo sullo scacchiere europeo e internazionale, da un lato con la Germania che vive la prossima uscita di scena della “donna forte” Merkel e con la Francia che vede Macron impegnato tra un anno in un’incerta riconferma, e dall’altro coi rapporti privilegiati che il Paese sta rafforzando con gli USA di Biden. In questo scenario complesso ma favorevole, tutte le parti in causa avvertono la sensazione che non è il momento di strappi o rotture – semmai per questo verranno tempi più propizi – ma nemmeno di parole definitive sulle alleanze e sulla ridefinizione delle formule delle coalizioni.
Sullo sfondo, premono appuntamenti politici imminenti e di medio termine, anche se alla fine, nella rapida successione degli eventi, tutto diventa imminente: il semestre bianco di Sergio Mattarella che scatta in agosto, le elezioni comunali d’autunno, l’elezione del nuovo Capo dello Stato in febbraio, le elezioni politiche tra due anni. Impegni di una lunga stagione politica a tappe ravvicinate, la cui scansione può essere ribaltata da fattori per ora imprevedibili e che tuttavia sono già sul tavolo delle ipotesi: i risultati delle elezioni comunali potranno dare nuovi orientamenti e perfino nuovi assetti ai singoli partiti e alle coalizioni, un possibile secondo mandato a Mattarella, magari a tempo, ovviamente con una scadenza non detta, in modo da arrivare almeno alla fine naturale della legislatura, e dare a Draghi la possibilità di succedergli senza interrompere il lavoro del suo governo, e non è escluso il ritorno anticipato alle urne se l’attuale grande coalizione desse segni di cedimento, vistosi e conclamati più di quanto finora non lo siano stati, coi malumori di taluni settori dei Cinquestelle e certe “uscite” del segretario PD Letta che ad ogni piè sospinto cerca di provocare la defezione della Lega dalla maggioranza. In una situazione dunque così fluida, partiti e coalizioni cercano di attrezzarsi per contare di più da alleati e da singoli soggetti. Nella destra, mentre si arriva a faticosi accordi per i candidati sindaco nelle grandi città chiamate in autunno alle urne, il capo della Lega Salvini lancia l’idea di una Federazione con Forza Italia che, almeno alle prime battute, non ha scaldato i cuori. Anzi, a fronte di una immediata adesione di Berlusconi, che peraltro guarda molto più lontano fino a rilanciare il suo vecchio sogno di un partito unico della destra, al quale potrebbe contrapporsi un partito unico della sinistra (come in una democrazia matura, dice qualcuno) il progetto leghista in Forza Italia ha suscitato molte perplessità e aperti dissensi: ci svendiamo, sarebbe un’annessione, alcune delle reazioni di coloro che sono venuti allo scoperto esprimendo la loro netta contrarietà. Se ne parlerà a lungo, certo, anche e soprattutto per chiarire in cosa potrà consistere una siffatta Federazione, chi ha i voti e chi no, chi comanda e chi no, chi ha la penultima parola e chi l’ultima. Intanto l’idea è lanciata e forse qualcosa di più concreto potrà accadere alle elezioni politiche del 2023. Alla proposta di federarsi, seppure non chiamato direttamente in causa, ha risposto seccamente Fratelli d’Italia: la Meloni si è subito affrettata a dire che la cosa non la interessa, e men che meno l’idea di partito unico vagheggiata da Berlusconi. Il quale è tornato nel pieno dell’agone politico con una proposta sul fisco equo e leggero per tutti che potrebbe dare nuovo dinamismo a un’economia frenata dalla tassazione odierna troppo elevata. Certamente non mancano gli interrogativi su cosa potrà essere un partito privo del magnetismo del fondatore: inutile fare gli scongiuri, per un motivo o per l’altro, magari anche più tardi che presto, ma accadrà. Molti intanto si sono già portati avanti: alle importanti defezioni degli ultimi mesi, si sono aggiunti il sindaco di Venezia Brugnaro e il presidente della Liguria Toti, il quale già correva in solitaria con la sua piccola formazione, che hanno fondato il partito Coraggio Italia. Sì, nella scelta del nome potevano essere un po’ più fantasiosi: per esempio, forse suonava bene “Forza Italia, coraggio!”. Al di là delle facezie, vedremo dove andrà questo nuovo partito, ma i primi sondaggi non appaiono promettenti.
Ma nel frenetico attivismo di Salvini, che qualche sondaggio, in attesa di conferme, dà in flessione, superato addirittura dal PD in crescita e da Fratelli d’Italia che da tempo lo tallonava, c’è l’adesione, facendosene a sua volta promotore, ai referendum sulla giustizia dei Radicali. Una scelta che si può anche condividere, dal momento che proprio su riforme urgenti come quella della giustizia si gioca l’arrivo dei fondi europei stanziati per far fronte alla crisi determinata dall’epidemia, e considerando che il Parlamento e lo stesso governo sul tema vanno avanti col piede di piombo e soluzioni placebo, causa le profonde divergenze coi Cinquestelle e col PD. Ma quello di Salvini politicamente si presenta anche con le sembianze di un rischioso gioco d’azzardo: i risultati di questa scelta possono indifferentemente portare sia a una crescita esponenziale che a una flessione imprevedibile. In sostanza, può attrarre consensi, ma può anche allontanarli: chi vuole una riforma profonda della giustizia, non è detto che senta lo stimolo di votare Lega; chi vota Lega potrebbe allontanarsi per la troppa vicinanza ai Radicali; viceversa, chi non avrebbe mai votato Lega potrebbe farlo proprio per questa forte e ineludibile spinta a favore della riforma. Ipotesi tutte aperte. In ogni caso, al capo della Lega va dato atto di aver osato, con o senza calcoli strettamente di bottega partitica.
Anche nella sinistra si vagheggia di una Federazione, anzi due: quella attualmente maggioritaria che sul modello Unione di Prodi, vedrebbe insieme PD, LeU e Cinquestelle, e un’altra di Centro con Renzi, Calenda e alcuni sindaci come Sala, Gori e Nardella. Ma se nella destra gli intenti unitari appaiono quantomeno complicati, nella sinistra si entra nel campo delle ipotesi di terzo tipo, anche se in politica pure l’impossibile talvolta finisce per verificarsi. Nel PD il segretario Letta, mentre esulta per aver riconquistato secondo un sondaggio il posto di primo partito a scapito della Lega (evento tutto da verificare con la probabilità che abbia vita breve), deve fare i conti con un partito che attende una linea politica chiara, definita, durevole, che almeno superi il lasso di tempo delle quarantotto ore; un partito diviso al di là delle apparenze, nel quale molti già pensano al dopo-Letta. Il segretario, ancora nuovo ma già logoro, secondo alcuni insegue troppi sogni che dividono in primo luogo il suo partito, oltre naturalmente a minare quella effimera pace armata che bene o male tiene unita la maggioranza di governo. Quando il segretario si ostina a riproporre lo ius soli, la legge sull’omofobia che tanti dubbi genera anche nel PD, il voto ai sedicenni e la tassa di successione, finisce per perdere di vista i problemi del Paese che sono grandi come macigni e che riguardano pure i suoi elettori. Da non dimenticare, poi, i quotidiani attacchi e perfino le semplici punzecchiature al capo della Lega Salvini, stucchevoli talvolta, senza un reale e immediato casus belli, occasioni che danno l’idea di un segretario che cerca di colpire a casaccio. Salvo il giorno dopo spendere sul suo avversario-nemico parole di miele: ho visto un volto vero, dobbiamo collaborare ed altre ancora. Per un attimo c’è chi ha pensato, o temuto, che Letta stesse per ripetere quelle storiche parole pronunciate un paio di decenni fa da D’Alema: “La Lega è una costola della sinistra!”. E magari, senza saperlo davvero, “baffino” aveva persino ragione, giacchè a giudicare dagli atti e dai programmi politici è arduo individuare chi sta a destra e chi sta a sinistra.
Ecco, tutto questo anche e soprattutto agli occhi dei suoi compagni di strada, non depone a favore di un capo partito che sappia scegliere con cura i suoi obiettivi politici. Certo, molto dipenderà dai risultati delle elezioni comunali, ma c’è già chi, come gli esponenti della corrente Base riformista, prepara documenti che reclamano una nuova linea politica da attuare con un nuovo vertice del partito. E in ballo c’è anche la discussa alleanza coi Cinquestelle, che divide nel profondo il PD. Ma non sono solo gli ex renziani a coltivare la fronda nei confronti del segretario. Il tema della giustizia e del garantismo, ad esempio: qualcosa dovrà significare se l’autorevole esponente Bettini, già zingarettiano, che gode di largo seguito nel partito, ha esplicitamente sollecitato il PD ad aderire ai referendum promossi da Radicali e Lega. Una proposta forse anche provocatoria, ma che rivela il profondo deficit del partito su questi temi, un Partito Democratico che si muove non tra i protagonisti, come potrebbe essere, ma tra gli osservatori, tutto intento a guardare cosa può pensarne l’agognato alleato, i Cinquestelle.
Ed è proprio la giustizia uno dei temi che lacerano il partito di Beppe Grillo, arroccato com’è nella difesa di uno dei suoi cavalli di battaglia, quel giustizialismo che ha la sua massima espressione nell’abolizione della prescrizione. E a poco vale il tardivo quanto intempestivo mea culpa di Di Maio, il quale non ha trovato di meglio che aspettare l’assoluzione in appello dell’ex sindaco di Lodi, Uggetti, come per dire abbiamo sbagliato cinque anni fa (che equivalgono a un secolo) a metterlo allo gogna. Ci si può infatti domandare se invece una conferma della condanna avrebbe avuto nel ministro degli Esteri lo stesso effetto. Può sembrare assurdo, ma non è così: l’abiura della gogna non si fa solo di fronte a un’assoluzione, ma anche e forse soprattutto di fronte a una condanna. Ma non è dato sapere quanto sia chiaro, e accettabile, questo concetto all’ex capo dei Cinquestelle. Ma ora il partito fondato da Grillo, già “movimento” e ora partito a tutti gli effetti, è lanciato verso nuovi orizzonti, con l’investitura ufficiale di “segretario” dell’ex avvocato del Popolo Giuseppe Conte: nuovo Statuto, nuova Carta dei valori, nuove strutture di vertice, e nuovi organi collegiali. Tutto nuovo, il partito: ma senza rinunciare alle nostre battaglie – parola del nuovo capo. Come dire di lotta e di governo. Intanto non passa giorno che il partito non perda qualche pezzo, e anche di quelli pregiati.
Giornalista, ha svolto gran parte della sua attività professionale alla Rai, redazione Tgr del Piemonte, occupandosi di cronaca, di cultura e negli ultimi vent’anni, in qualità di caposervizio, delle vicende politico-amministrative della Regione. In precedenza era stato redattore presso l’Agenzia Giornalistica Italia e agli esordi, negli anni ’70, collaboratore della Gazzetta del Popolo. Ha una passione per il cinema che nel corso degli anni è entrata a far parte della sua attività di giornalista.