Francesco, un Papa popolare che non voleva piacere a tutti
È stato un “cambio d’epoca” quello in cui Papa Francesco ha agito il suo pontificato. Un “cambio d’epoca” che lo stesso Vescovo di Roma “venuto dalla fine del mondo”, definibile “un papa popolare” in tutte le declinazioni del termine, ci ha indicato essere in atto, con una consapevolezza di molto superiore agli altri attori sulla scena globale suoi – e nostri – contemporanei.
Pensiamo solo al suo averci ammonito, anche qui per primo, sul fatto che fossimo immersi in un contesto che possiamo definire di “terza guerra mondiale combattuta a pezzi” e rispetto alla decisività di agire per la pace, per il disarmo.
Non proselitismo, bensì testimonianza che attrae
In questo peculiare snodo della storia, sempre interpretando la sua missione “in uscita” e sorprendendoci con la sua imprevedibilità, nei gesti ancor prima che con le parole, ha cercato di aprire dinamicamente, nella convinzione che il compito dei cristiani fosse “innescare processi” più che “occupare spazi”, nuove vie per “camminare, edificare e confessare Cristo”.
Nuove vie praticate con “lieta baldanza” e tentando di superare ogni riduzione organizzativista della/nella Chiesa. Superando l’illusione del proselitismo; al contrario, in sostanziale continuità con Benedetto XVI tra l’altro, affermando con forza e nettezza che “la Chiesa cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione”. Come ebbe a dire, in una delle sue omelie nelle messe mattutine a Santa Marta, nei primi tempi del suo Pontificato: “Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato” (8 maggio 2013).
Esso, insomma, deve sempre sentire l’urgenza di non essere il pretesto per un no a Cristo. In quella stessa omelia, riferendosi a San Paolo come modello, evidenziò come lo stesso sapesse che “lui deve seminare questo messaggio evangelico (…) che l’annunzio di Gesù Cristo non è facile, ma che non dipende da lui: lui deve fare tutto il possibile, ma l’annunzio di Gesù Cristo, l’annunzio della verità, dipende dalla Spirito Santo”.
Infatti, continuava il Papa, “Paolo non dice agli ateniesi: “Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità, la verità!”. No! La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro; è un incontro con la Somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità. La verità si riceve nell’incontro”.
Misericordia, il cuore del suo messaggio
Considerando sul serio questa consapevolezza, si comprendereanche la sua “insistenza” sulla misericordia.
Tutt’altro che un’apertura indistinta e indifferentista all’insegna di un melenso buonismo, bensì – come puntualmente evidenzia Andrea Tornielli nel suo editoriale su Vatican News – “ il cuore del suo messaggio, quello che certamente ha fatto più breccia, il richiamo evangelico alla misericordia. A quella vicinanza e tenerezza di Dio verso chi si riconosce bisognoso del suo aiuto.
La misericordia come «l’aria da respirare», cioè ciò di cui abbiamo più necessità, senza la quale sarebbe impossibile vivere. Tutto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato vissuto all’insegna di questo messaggio, che è il cuore del cristianesimo. Fin dal primo Angelus recitato il 17 marzo 2013 dalla finestra di quell’appartamento papale che non avrebbe mai abitato”.
Una Chiesa “ospedale da campo” che prende l’iniziativa
Convinto che la Chiesa debba essere “ospedale da campo”. Come dichiarò a padre Antonio Spadaro, allora direttore di “Civiltà Cattolica”, nella prima intervista data alla carta stampata e giustamente definita programmatica, specificando che “la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso.
La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”.
E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. La Chiesa, insomma, non può essere una “cappella di persone selezionate”.
Papa Francesco nei dodici anni di pontificato, facendolo egli per primo, ha chiesto ai credenti di “Primerear”. Di prendere l’iniziativa, cioè: non in forza di un disegno ideologico per costruire un’egemonia, al contrario andando incontro alle persone nella loro con concretezza e contraddizione.
“La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!”, scriveva Papa Bergoglio al punto 24 dell’enciclica Evangelii Gaudium.
Senza curarsi del facile scandalo dei benpensanti e delle varie “bande di curati”, quelle del clericalismo e quelle dell’anticlericalismo, sapendo sempre andare oltre la sterile divisione tra conservatorismo e progressismo ecclesiale, categorie costantemente definite insufficienti e sterili, l’iniziativa l’ha presa e dato una nuova cittadinanza nello spazio pubblico all’Avvenimento cristiano. Dai colloqui con Eugenio Scalfari fino alle interviste di Fabio Fazio, parlando anche di sport – del suo valore e dei suoi valori – con la Gazzetta. Per arriva a “todos, todos, todos”.
Un magistero intensamente politico
Primo membro della Compagnia di Gesù a salire al Soglio, primo Papa proveniente da quel laboratorio socio-politico e teologicoche è (stata) l’America latina, primo Papa ad assumere il nome di Francesco (esprimendo, con questa scelta, una chiara opzione in favore di una maggiore consapevolezza rispetto alla necessità di una custodia della “casa comune”).
Non si esauriscono qui i suoi primati. Altri ce li ha ricordati Salvatore Cernuzio, in un puntuale articolo su Vatican News: “primo ad essere eletto con il predecessore ancora in vita, primo a risiedere fuori dal Palazzo Apostolico, primo a visitare terre mai toccate da un Pontefice – dall’Iraq alla Corsica -, primo a firmare una Dichiarazione di Fratellanza con una delle maggiori autorità islamiche.
Primo Papa anche a dotarsi di un Consiglio di cardinali per governare la Chiesa, ad assegnare ruoli di responsabilità a donne e laici in Curia, ad avviare un Sinodo che ha coinvolto in prima battuta il popolo di Dio, ad abolire il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali e depennare dal Catechismo la pena di morte”.
Incursore che ha aperto tante nuove vie, convinto della perenne novità del Vangelo e della natura dinamica della tradizione, non si può non riconoscere la valenza politica del suo magistero. Una politica letta, appoggiandosi alla “teologia del popolo”, in senso davvero planetario e mai come mero gioco di potere (anche denunciando il rischio che “imperi sconosciuti” minino alla fondamenta la democrazia). Evidenziando, appunto, la centralità del popolo.
Anche in questo senso possiamo ben definirlo “un Papa popolare”. I discorsi nei suoi incontri con i Movimenti Popolari, iniziati nel 2014, resteranno un pietra miliare nella definizione di una costruzione di un “cattolicesimo politico transnazionale”.
Un Papa che ha sempre rifiutato, come i suoi due immediati predecessori, di ridursi a “cappellano dell’occidentalismo” e puntato sempre alla costruzioni di ponti più che all’erigere muri (pensiamo al dialogo con la Cina, che è certo un suo importante lascito).
Un Pontefice che ha anche cercato di dare un indirizzo forte verso una nuova stagione del popolarismo europeo (con un intenso messaggio di due anni fa, purtroppo poco considerato tanto dai destinatari quanto dalle Chiese locali).
L’ambiente, la guerra e la geopolitica (la sua qualificabile, come più di un osservatore ha nel tempo rilevato, ancora richiamando in campo la misericordia), l’attenzione agli ultimi, la denuncia della “cultura dello scarto” e delle “colonizzazioni ideologiche”, l’interesse al grande rischio-opportunità dell’Intelligenza Artificiale (con il suo storico intervento al G7 in Italia che la poneva a tema).
Una visione complessa e complessiva, quella di Papa Francesco, troppo ampia per essere incasellata a sinistra o a destra. Oltre, piuttosto. Urticante ora per gli uni e ora per gli altri. Mai cercando, come antipatizzanti troppo convinti di loro stessi al contrario hanno sostenuto, di “piacere a tutti”.

Classe 1977, giornalista e consulente nel settore della comunicazione. Direttore del progetto “Comunità Connesse” (e dell’omonima rivista) presso il Centro Studi “Silvio Pellico”. Opera all’interno di quest’ETS anche dirigendo Gondour Edizioni e le sue sei collane.
Collabora con diverse testate nazionali (tra cui Tempi) e locali. Ha lavorato per Pubbliche Amministrazioni, realtà d’impresa e del Terzo settore. Presidente regionale piemontese e componente dell’Esecutivo nazionale del Mcl – Movimento Cristiano Lavoratori. Consigliere d’amministrazione della Fondazione Italiana Europa Popolare e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi. Nel board del think tank torinese “Rinascimento Europeo”, è pure nel direttivo del Centro Culturale San Francesco del Carlo Alberto di Moncalieri.
Con Giorgio Merlo ha scritto “I Granata” (Daniela Piazza Editore) e con Danilo Careglio edito da Marcovalerio/Vita, “Fila – un sogno color granata”.