“Fermare la guerra, salvare l’Italia”. E’ questo il manifesto lanciato da Gianni Alemanno e centinaia di esponenti della destra sociale diffusa
E’ nato un movimento trasversale contro la tecnocrazia e la svolta iperatlantista del centrodestra, per una reale sovranità dei popoli europei. “Fermare la guerra, salvare l’Italia”. Sotto un titolo che non lascia spazio a interpretazioni rispetto alle opzioni di fondo, Gianni Alemanno e un centinaio di “personalità e militanti che vengono dal vasto mondo e dalla storia politica che, partendo da destra e andando oltre la destra, ha attraversato il MSI, Alleanza Nazionale, la fallimentare esperienza del Popolo delle Libertà e tante altre associazioni e movimenti che negli anni hanno rappresentato la destra diffusa”, in questi giorni che vedono la politica dei partiti rapita dall’incombenza della compilazione delle liste, con un articolato manifesto incentrato in particolare su pace e sovranità, chiamano a raccolta esperienze ed energie per concretizzare rinnovate forme d’impegno “su cui possano confluire tutti gli italiani, provenienti da destra come da sinistra”. Superando i confini del centrodestra, del quale viene pesantemente criticato l’impianto programmatico e la scarsa originalità culturale, l’ambizione è quella di agire “fuori dalle vecchie appartenenze” per svolgere “una funzione di critica, stimolo e cambiamento effettivo (…) consapevoli della necessità di liberare l’Italia da ogni sudditanza”.
Il documento boccia senza appello la svolta iperatlantista del centrodestra, su cui Giorgia Meloni in particolare ha fortemente puntuta per conquistare la legittimazione internazionale a governare. La sovranità italiana – e quella europea, ripensata in termini ben diversi dall’attuale – dovrebbe essere giocata in tutt’altra direzione. Secondo il già sindaco di Roma e quanti hanno promosso l’appello, occorrerebbe “concentrare i propri sforzi per fare dell’Italia non un Paese cobelligerante, ma una protagonista delle iniziative di pace, come per altro ci viene chiesto da papa Francesco e da tutto il mondo cattolico. Per essere credibili in questo ruolo bisogna muoversi, di concerto con gli altri grandi paesi europei, verso una posizione di neutralità attiva, tutt’altro che indifferente ai destini del popolo ucraino perché impegnata in prima persona a costruire un processo di pace. Interrompere ogni invio di armi in cambio di un immediato cessate il fuoco, come primo necessario passo per avviare il dialogo e le trattative”.
Non un pacifismo astratto e teorico, riconoscendo che “è vero che nei momenti di guerra non ci sono spazi per i distinguo e le posizioni ambigue”, piuttosto una realistica scelta di segno opposto ai “diktat politici del Governo Draghi, che hanno precipitato l’Italia in una posizione oltranzista in questa guerra, perfettamente in linea con i deliri aggressivi dell’Amministrazione Biden e della Gran Bretagna di Boris Johnson” che invita a considerare come “ci sono almeno due Paesi aderenti alla NATO, l’Ungheria di Orban e la Turchia di Erdogan, che hanno assunto posizioni di neutralità rispetto a questo conflitto, eppure non solo hanno rafforzato la propria influenza internazionale e la propria situazione economica, ma – nel caso della Turchia – sono stati determinanti per aprire ponti di dialogo e risolvere questioni cruciali come quella dell’esportazione del grano”.
L’Italia potrebbe e dovrebbe, con un’originale sinergia con l’impegno pacificatore della Santa Sede, a vantaggio anche della propria economia “colpita dalle auto-sanzioni”, agire secondo logiche ben diverse dalle attuali (e che rischiamo di essere riprodotte tal quali dal centrodestra che si appresta, stando ai sondaggi, ad assumere il governo del Paese). Si invita a riconoscere “alcune questioni. Innanzitutto, l’Ucraina non può vincere questa guerra ma solo prolungarla all’infinito con enormi costi umani al proprio interno ed effetti devastanti sull’economia europea, anche perché ogni tentativo di isolare la Russia sullo scenario internazionale è completamente fallito. La Russia è sicuramente da condannare per l’invasione di un Paese sovrano, ma questa aggressione non deriva da una follia imperialistica di Putin bensì da precisi motivi geo-politici (lo sbocco sul Mar Nero e l’allargamento della NATO ad Est) e identitari (le Repubbliche del Donbass contese dal 2014 in una sanguinosa guerra civile). In questa guerra gli interessi dell’Europa si muovono dal punto di vista economico e politico in senso opposto a quelli degli USA, con enormi danni per noi e grandi vantaggi per il Governo americano. Infine, i rischi di un allargamento planetario del conflitto si fanno di mese in mese sempre più allarmanti”.
Alla questione della pace si affianca, in logica connessione, quella della sovranità come elemento qualitativo della democrazia. Partendo dal denunciare che, anche per la letterale interpretazione dei Trattati europei, “La guerra in Ucraina ha messo a nudo la crisi irreversibile delle istituzioni di Bruxelles. Se l’Amministrazione Biden ha almeno l’alibi di aver perseguito i propri interessi con questa guerra, la Commissione di Ursula von der Leyen ha dimostrato proprio in questa occasione tutto l’irrealismo politico e la distanza dagli interessi dei popoli dell’Unione Europea. Non solo la Commissione è stata ferrea nell’imporre le auto-sanzioni a tutte le nazioni del Continente con effetti economici devastanti, ma non ha fatto nulla per alleviare queste difficoltà, anzi le ha aggravate consentendo alla BCE di aumentare i tassi d’interesse e di bloccare gli acquisti dei titoli di stato”.
La soluzione, che il centrodestra italiano sembra non vedere e perseguire, sarebbe la costruzione su nuove basi – e oltre i Trattati attuali – di “un’Europa solidale e libera dalla sudditanza nei confronti degli Stati Uniti, ma questa Europa non sarà quella di Bruxelles, sarà una libera confederazione di Nazioni sovrane che cooperano per affrontare insieme le grandi questioni geo-politiche del nostro tempo”. Superando la visione della moneta unica come gabbia.
A premessa di tutto questo serve attivare, non per uno statalismo ideologico, un’altra delle “bestie nere” del centrodestra post-draghiano: “un forte e non episodico intervento dello Stato nell’economia (…) Uno Stato interventista in economia può essere il naturale alleato del tessuto delle piccole e medie imprese italiane, nonché dei pochi “campioni nazionali” ancora in mano al capitale privato italiano. Lo Stato è l’ombrello che permette ai “piccoli produttori” di resistere all’assalto dei grandi gruppi multinazionali, le sue regole e tutele sono lo strumento con cui il ceto medio si difende dalla proletarizzazione e dal precariato”. Uno Stato che deve, invece, non invadere la libertà dei cittadini attraverso il controllo sociale e la burocratizzazione (il documento critica fortemente, a questo proposito, la gestione della pandemia). Concentrandosi, al contrario, sulla difesa del lavoro e dell’economia reale contro l’apolide finanziarizzazione e “il governo del denaro” (che trasforma le persone in cose).
Per salvare l’Italia, insomma, secondo questa avanguardia che cerca un virtuoso trasversalismo comunitario e sociale, servono “nuove sintesi” e una visione veramente altra dalla tecnocrazia e dal mero politicismo.
Classe 1977, giornalista e consulente nel settore della comunicazione. Direttore del settimanale “Il nuovo Monviso” e di “2006più Magazine” (voce del gruppo Dai Impresa). Dirige la comunicazione di Echos Group. Collabora con diverse testate nazionali (tra cui Tempi) e locali. Ha lavorato per Pubbliche Amministrazioni, realtà d’impresa e del Terzo settore. Presidente regionale piemontese e componente dell’Esecutivo nazionale del Mcl – Movimento Cristiano Lavoratori. Consigliere d’amministrazione della Fondazione Italiana Europa Popolare e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi. Co-autore, con Giorgio Merlo, del libro “I Granata” (Daniela Piazza Editore)