Crisi ucraina, Aldo Ferrari: “Questa crisi nasce per l’errore di impostazione dei rapporti politici e di sicurezza tra Occidente e Russia degli ultimi trent’anni”

Crisi ucraina, Aldo Ferrari: “Questa crisi nasce per l’errore di impostazione dei rapporti politici e di sicurezza tra Occidente e Russia degli ultimi trent’anni”

1 Febbraio 2022 0

Continuano a soffiare sempre più minacciosi venti di guerra fredda al confine tra l’Ucraina e la Russia. E la retorica della corsa agli armamenti e della propaganda sta prevalendo a tutti gli effetti sulle diplomazie e sulle richieste, solo a parole, di de-escalation. I due fronti si muovono in ordine sparso. In un crescendo wagneriano Vladimir Putin incassa un accordo pluriennale per la fornitura di gas a prezzi agevolati con l’Ungheria e apre un dialogo con il premier italiano Mario Draghi ma al tempo stesso avvia una esercitazione sul territorio russo, ma al confine con l’Ucraina, con sistemi missilistici tattici Iskander-M (sebbene sia da ricordare che sono impegnati appena 300militari), sul fronte opposto l’ambasciatore americano a Pristina Jeff Hovenier, utilizza un evento per difendere l’integrità territorio del Kosovo per tirare per la giacchetta il governo kosovaro e ottenere sostegno contro la Federazione Russa che costruirebbe una “minaccia ai valori democratici ovunque“; Boris Johnson, uscito malconcio dal Party Gate, decide di dare seguito alla creazione di un patto trilaterale tra Gran Bretagna, Polonia e Ucraina per rafforzare la sicurezza territoriale dell’area e il presidente ucraino Zelensky annuncia l’aumento per decreto delle forze armate nazionali di 100mila unità in tre anni. Dagli Usa non arrivano notizie più rassicuranti con il presidente Joe Biden che eleva al rango di “alleato non Nato” lo Stato del Qatar, una volta considerato stato canaglia, e fa pressioni sul presidente brasiliano Jair Bolsonaro per cancellare un viaggio in Russia e la Lettonia invia armi a Kiev. Un cortocircuito di interventismo che rischia esclusivamente di gettare benzina sul fuoco delle incomprensioni reciproche e creare il terreno ideale se non il pretesto per accendere la miccia del conflitto. Vista questa escalation senza soluzione di continuità StrumentiPolitici ha deciso di approfondire le ragioni della crisi ucraina con il professor Aldo Ferrari, insegnante di Lingua e lettura Armena, Storia della Cultura Russa, Storia dell’Eurasia, del Caucaso e dell’Asia Centrale per l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Infografica – La biografia dell’intervistato Aldo Ferrari

– La crisi in Ucraina sembra stia prendendo una brutta piega: ma è davvero così? Come si sta evolvendo effettivamente? Qualcuna tra le parti in causa sta facendo delle mosse sbagliate, per esempio sul piano diplomatico?

– È indubbiamente una crisi molto complessa. Sarebbe importante riuscire a capire se le parti in causa stiano sbagliando qualcosa, ma è difficile parlarne al presente, è difficile analizzare la giustezza delle mosse fatte oggi: bisogna risalire al passato. Se adesso ci troviamo in questa situazione, è perché da circa trent’anni i rapporti politici e di sicurezza tra l’Occidente e la Russia sono stati impostati in maniera profondamente errata; dunque il presente è il risultato di tre decenni di incomprensioni e di reciproche delusioni. La Russia è emersa dalla fine dell’URSS cercando dall’Ovest il riconoscimento e il rispetto che viene solitamente dato a un Paese normale e non volendo essere più considerata una minaccia, come lo era durante la guerra fredda a causa del comunismo. L’Occidente però ha scelto sin dall’inizio di non fidarsi della Russia, finendo così per espandere la NATO verso est. Il punto focale è ancorato alle scelte fatte trent’anni fa: la NATO ha sempre visto nella Russia un nemico, proprio come lo era stata l’Unione Sovietica. Estendere una potenza militare straordinariamente forte come lo è l’Alleanza Atlantica fino ai confini della Russia è oggettivamente per quest’ultima una minaccia alla sicurezza nazionale. La crisi ucraina è dunque figlia di tali mosse, effettuate negli anni ’90, quando la Russia era debolissima e non poteva opporsi in alcun modo all’espansione orientale della NATO. Nei primi anni 2000 sembrava ancora possibile che Russia e USA (o Russia e NATO) potessero trovare un modus vivendi, ma poi si è innescata una situazione politica tale che le divergenze sono iniziate ad aumentare sempre di più: basti citare la guerra in Iraq, le rivoluzioni colorate, la guerra in Georgia, sino al culmine del Maidan in Ucraina nel 2014, quando la lontananza fra Russia e Occidente si fece enorme. Nel corso degli ultimi anni le richieste della Russia di avere sicurezza ai propri confini sono state disattese e Mosca ha ormai preso in questi mesi le posizioni che conosciamo. Dunque, senza aver presente il quadro appena descritto, non è possibile capire la crisi ucraina di oggi, che non è certo il frutto, per esempio, di una decisione improvvisata di Putin o di una particolare provocazione degli Stati Uniti. Ci troviamo invece di fronte a un nodo formatosi nel corso di molti anni, una specie di resa dei conti.

– La Russia si appella sempre all’impegno che la NATO avrebbe a suo tempo preso di non allargare la sfera di influenza sui Paesi che appartenevano al blocco comunista, lasciandoli quindi come una sorta di Stati-cuscinetto fra Occidente e Federazione Russa. Tale rivendicazione fatta costantemente dai russi ha una valenza effettiva? Oppure non ha alcun fondamento giuridico?

– Ci sono testimoni di quei summit di fine anni ’80, i quali affermano di aver sentito una tale promessa fatta dall’Occidente. E allora, diamo pure per buono che gli Stati Uniti abbiano promesso di non allargarsi a est in cambio del non intervento sovietico nel processo di democratizzazione dei Paesi dell’Europa orientale, a cominciare dalla Germania Est e dalla caduta del Muro di Berlino. Rimane però il fatto che mancano del tutto accordi scritti o trattati che certifichino una tale promessa, che resta quindi priva di un valore giuridico: ed è proprio per questo che il Cremlino oggi sta chiedendo agli USA di rispondere in forma scritta alle sue richieste! Dunque, possiamo affermare che la Russia ha torto nel denunciare la violazione di un patto che all’epoca non fu messo per iscritto: poiché non è scritto, non costituisce un patto in senso giuridico. Sulla base di questa esperienza negativa, Mosca cerca adesso di ottenere dagli USA e dalla NATO ciò che non ebbe l’Unione Sovietica, ovvero un accordo-quadro sulla sicurezza in Europa che ponga fine all’avvicinamento delle truppe euroatlantiche ai confini russi. Non si può più girare intorno alla questione: è insensato dire che la NATO non rappresenta una minaccia per la Russia. Qualsiasi forza militare che preme sui confini è una minaccia. Rammentiamo quanto accadde nei primi anni ’60 quando l’URSS portò i suoi missili a Cuba, cioè in prossimità delle coste statunitensi: si rischiò seriamente la Terza guerra mondiale. Una presenza militare vicino ai propri confini, specialmente in un contesto di rapporti politici non positivi, è oggettivamente una minaccia.

– Il fatto che Mosca abbia sempre visto il Maidan come una rivoluzione pilotata al fine di far uscire l’Ucraina dall’influenza del Cremlino, senza dimenticare quello era avvenuto in Georgia qualche anno prima, quanto influisce sui timori e sulla sfiducia che i russi nutrono verso l’Occidente?

– Influisce tantissimo, anzi è proprio questo il punto. La Russia non si fida dell’Occidente. Noi occidentali abbiamo, ovviamente, il nostro punto di vista, il nostro modo di vedere la storia, e ci sembra normale; purtroppo dimentichiamo che altri possono avere su certi eventi un punto di vista differente! Noi tendiamo a considerare la Russia come un Paese aggressivo e minaccioso – per quanto ci possa sembrare strano, i russi hanno dell’Occidente la stessa impressione. Noi certamente non ci identifichiamo col signore che nel 1941 invase l’Unione Sovietica, anzi ci sentiamo lontanissimi da quell’uomo e da quella ideologia: peccato che invece dal punto di vista russo ci sia la tendenza a identificarlo con gli europei, che sotto la guida di Napoleone erano già andati a invaderli più di un secolo prima. Insomma, è difficile convincere i russi di non aver mai ricevuto minacce dall’Occidente, perché storicamente non è così. Oggi la NATO si espande verso i confini russi come alleanza sorta per contrastare i sovietici e il comunismo, ma una volta che questo venne a mancare, l’allenza non si è sciolta bensì ha continuato a rafforzarsi e ad allargarsi; dunque, a mio parere, è miope non voler capire quali possano essere le reazioni russe a circostanze del genere. Agire come se gli altri non esistessero: certo, lo si può fare, ma poi non ha senso stupirsi delle reazioni degli altri.

– Il fatto che dietro all’Unione Europea vi siano gli Stati Uniti quanto influisce sulla possibilità di una soluzione diplomatica? Macron ha proposto di parlare con la Russia della difesa comune europea: ciò sembrerebbe presagire a una presa di posizione della UE come entità autonoma dalla NATO a guida americana. Quanto aiuterebbe nelle trattative con Mosca avere un’Unione Europea ben distinta dalla NATO e dagli USA?

– È un discorso ancora molto astratto. L’Unione Europea non ha una politica estera condivisa: è solo un’entità politico-economica priva di una propria politica di sicurezza. E infatti nella attuale crisi ucraina la UE in quanto tale non viene nemmeno presa in considerazione, a differenza di alcuni Paesi distinti come la Francia o la Germania, in considerazione la prima della sua grandeur passata e la seconda dei suoi rapporti storici ed economici con la Russia. La questione del “cosa succederebbe se gli Stati Uniti non fossero presenti sul teatro europeo”, dunque, non si pone affatto, perché l’Europa esiste come forza militare soltanto all’interno dell’alleanza con gli americani. 

– Lei pensa quindi che non siano percorribili proposte come quella di Macron di un esercito comune europeo o quella di un accademico americano che sul Foreign Affairs suggerisce che gli USA abbandonino la NATO e che l’Europa pensi da sola alla difesa dei suoi confini?

– Credo che non siano per nulla percorribili. Pensi all’importanza, a prescindere dalla loro effettiva forza, di Paesi come la Polonia o le Repubbliche baltiche, che non si priverebbero mai dell’ombrello protettivo statunitense e che hanno avuto un peso determinante nel peggioramento dei rapporti fra Europa e Russia. L’idea di Macron può essere positiva ma penso non abbia alcuna chance di realizzarsi nel breve e nemmeno nel medio periodo. Ci vorrebbe un cambiamento profondo nell’opinione pubblica di molti Paesi. In fin dei conti, per gli europei è molto comodo farsi difendere dagli USA, anche a livello economico, se pensiamo a quanto sia grande la spesa militare di Washington rispetto a quella di altri membri europei della NATO. Assumersi la responsabilità della direzione strategica della propria sicurezza avrebbe un costo politico ed economico troppo alto, inaccettabile per molti Paesi del continente.

– Un soldato polacco ha disertato per protesta contro la politica occidentale e si è rifugiato in Bielorussia, Paese bistrattato dalla narrazione ufficiale occidentale e descritto come una dittatura che maltratta i migranti. A proposito, le ONG presenti in Polonia (quindi in UE) lamentano il fatto che i media non possono andare a fare il proprio lavoro per raccontare le condizioni dei migranti. Quanto conta nel deterioramento dei rapporti fra Russia e Occidente il livello della classe politica che dirige le Repubbliche ex sovietiche e la storia che ha caratterizzato queste ultime dal comunismo in avanti?

– Ognuna delle 14 Repubbliche che facevano parte dell’URSS ha un atteggiamento diverso nei confronti della Russia, in primo luogo dettato dalla memoria storica: si pensi a Estonia, Lituania e Lettonia che sono convinte di aver subito dei torti molto gravi da parte di Mosca. Altri Paesi hanno dei rapporti da sempre positivi con i russi, come Armenia e Bielorussia. Non esiste un comune denominatore per i rapporti fra Russia e Stati limitrofi, ma occorre guardare ai percorsi storici specifici di ognuno di essi.

– E quanto influisce la crisi interna dell’Ucraina sulla crisi fra est e ovest? Pare che Zelensky stia giocando sui contrasti fra Mosca e Washington proprio per ripararsi dai problemi interni.

– Zelensky sconfisse in maniera piuttosto imprevista il presidente uscente, Poroshenko, che era sicuramente su posizioni più nazionaliste. Zelensky è ebreo e russofono, non può certo essere considerato un nazionalista ucraino: venne quindi votato soprattutto da coloro che nel sud-est del Paese si sentivano più vicini a Mosca, senza essere necessariamente dei separatisti. Però, una volta diventato presidente, Zelensky ha smesso di parlare russo e si è messo a parlare quasi esclusivamente in ucraino, ha dovuto tener conto delle pulsioni e degli interessi della maggioranza dei cittadini ucraini che ormai sono orientati in senso anti-russo e filo-occidentale e subisce quelle dinamiche di potere in base alle quali bisogna cambiare anche radicalmente alcuni atteggiamenti se si vuole rimanere in sella e adeguarsi all’aria che tira nel Paese e ai desiderata di chi conta di più a livello politico ed economico. Dunque Zelensky – non sappiamo quanto di malavoglia – si è avvicinato alle posizioni che aveva Poroshenko prima di lui, seppure in modo meno verboso o aggressivo.

– La crisi ucraina potrebbe favorire la Cina nella sua politica di espansione dell’influenza sulle Repubbliche ex sovietiche che stanno in Asia? I problemi ad ovest possono causare un indebolimento della Russia ad est?

– In realtà negli ultimi tempi abbiamo assistito a un aumento della presenza russa nello spazio post-sovietico: pensiamo al fatto che con la guerra fra azeri e armeni, Mosca è riuscita a inviare le proprie forze di pace nel Caucaso imponendo la sua capacità di guida geopolitica nella regione. E anche Lukashenko e la “sua” Bielorussia erano riusciti negli anni a mantenere una certa autonomia dalla Russia, ma oggi il presidente deve la propria sopravvivenza politica (e forse non solo politica) a Mosca. Infine pensiamo all’importanza dell’azione russa nel riportare ordine in Kazakistan, proprio all’inizio di quest’anno, dopo aver inviato le sue truppe nel Paese sotto l’egida della CSTO (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva). La potenza cinese, soprattutto economica, è in inarrestabile ampliamento: la sua penetrazione (ripeto, in particolare economica) in Asia centrale è un dato di fatto. La Russia non è forte tanto economicamente quanto lo è politicamente e militarmente. Mosca e Pechino sono abituate a collaborare ed è probabile che da qui al prossimo futuro non sorgano tra di esse dei contrasti perché hanno molti punti di vista in comune.

– Nel caso in cui scoppiasse un conflitto armato fra Russia e Ucraina, crede che al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Cina porrebbe il veto? E la NATO potrebbe realmente andare a scontrarsi con l’esercito russo o l’Occidente metterebbe solo le ennesime sanzioni economiche, tenendo anche conto che l’Ucraina non fa parte della NATO e dunque non è “coperta” dall’articolo 5 del Trattato?

– Esatto, l’Ucraina non fa parte della NATO e infatti nessuno dei membri si è impegnato ad intervenire direttamente nel caso in cui la Russia attaccasse Kiev. Perciò la NATO si limiterebbe a un appoggio esterno, che nonostante la fornitura di armi non cambierebbe le sorti del conflitto. Per quanto riguarda la Cina, dobbiamo ricordare che ormai da molti anni Mosca e Pechino agiscono in accordo sul piano internazionale e di solito votano in maniera simpatetica o prendono posizioni caute: Pechino non ha mai riconosciuto l’annessione della Crimea, ma non l’ha neanche mai condannata, ricambiata in questo da Mosca che ha detto che un’eventuale occupazione cinese di Taiwan sarebbe una questione interna della Repubblica Popolare Cinese. C’è quindi un forte gioco di sponda fra le due potenze che si esprime anche in voti “paralleli” in Consiglio di Sicurezza.

– Nella crisi in Montenegro vede qualche influenza della presenza russa nei Balcani?

– Proprio come la Serbia, anche il Montenegro ha una storia di forti legami con la Russia, ma oggi i vertici politici del Paese hanno effettuato una svolta occidentale nella quale Mosca non sembra voler intervenire. Credo che i Balcani occidentali abbiano ormai preso una strada ben definita, lontana dall’atteggiamento positivo verso la Russia che il Paese aveva da secoli. La crisi del Montenegro è di carattere essenzialmente interno, non è determinata da cause internazionali.

Marco Fontana
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