Carri armati della NATO all’Ucraina: contraddizioni e pericoli

Carri armati della NATO all’Ucraina: contraddizioni e pericoli

27 Gennaio 2023 0

Alcuni Paesi della NATO sembrano ormai decisi a effettuare l’ennesimo invio di aiuti militari all’Ucraina, comprensivi stavolta pure di carri armati da combattimento tipo M1 Abrams, Challenger 2 e Leopard 2. Tra i benefattori di Zelensky purtroppo vi è anche l’Italia, la quale ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, come recita l’articolo 11 della Costituzione. In attesa dell’intervento del presidente ucraino al Festival di Sanremo – cioè alla TV di Stato pagata dai contributi di tutti i cittadini – il governo Meloni ha stabilito la fornitura di sistemi terra-aria SAMP/T e dei relativi missili Aster 30.

Vogliamo la pace, ma pure la vittoria. Vogliamo la pace, ma mandiamo le armi

È ampiamente risaputo che “la guerra è pace”, come ha detto Jens Stoltenberg nel suo discorso allo World Economic Forum di una settimana fa. Ah no, pardon, lo scrisse George Orwell nel suo celebre “1984”, ma il segretario della NATO ci è andato vicino quando ha affermato che le armi sono la via della pace. A conclusione del suo ragionamento sul perché questa guerra vada vinta ad ogni costo, spiega che se vogliamo una soluzione negoziale pacifica al conflitto, dobbiamo fornire sostegno militare all’Ucraina. È l’unica maniera. Ricordandosi poi di avere anche persone normali fra i suoi ascoltatori, Stoltenberg aggiunge che il concetto “armi = via per la pace” potrebbe sembrare un paradosso.

L’obiettivo, precisa il politico norvegese, è aumentare il più possibile la potenza militare ucraina in modo da convincere i russi a sedersi al tavolo delle trattative. Qualcuno potrebbe commentare dicendo che in fondo si tratta solo dell’applicazione dell’antico proverbio latino si vis pacem, para bellum. Tuttavia, sono anni che l’Occidente arma e addestra gli ucraini, avendo ottenuto però il risultato opposto alla pace.

Così, insistere nel mandare armamenti potrebbe non essere oggi la soluzione giusta. Giova inoltre ricordare che i negoziati vengono non di rado proposti da Mosca e regolarmente rifiutati da Kiev. Prima di dare il permesso agli ucraini, infatti, la NATO vuol partire da una posizione di forza. Ed è proprio ciò che Stoltenberg intendeva dire, pur ammantando il messaggio della solita retorica pseudo-umanitaria. A Davos il concetto è stato ripreso, rafforzato e ipersemplificato dalla premier finlandese, la giovane e festaiola Sanna Marin, dimentica del lungo passato di neutralità della sua nazione: Non sappiamo quando la guerra finirà, ma dobbiamo garantire che gli ucraini vincano. Non credo vi sia altra scelta.

L’ennesimo rischio: le munizioni a uranio impoverito

I leader occidentali hanno calcolato bene la reazione che le prossime forniture di armi potrebbero scatenare oppure pensano davvero che la Russia starà ferma a guardare? Un avvertimento, intanto, è già arrivato. Il capo della delegazione russa nei negoziati di Vienna sulle questioni di sicurezza militare e controllo sugli armamenti, Konstantin Gavrilov, ha dichiarato che Mosca considererà come impiego di bombe nucleari “sporche” la fornitura all’Ucraina di munizioni con uranio impoverito. Gravilov ha raccomandato agli “sponsor occidentali della macchina bellica di Kiev” di non incoraggiare “provocazioni e ricatti nucleari”. La Russia sa che munizioni col cuore di uranio sono presenti nei carri prossimi all’invio, quali i Bradley, i Marder e i Leopard 2. E rammenta ai Paesi NATO che il loro utilizzo dell’uranio impoverito ha già fatto disastri in Jugoslavia e in Iraq.

Dal Cremlino il portavoce presidenziale Dmitry Peskov ha spiegato che la Russia vede la fornitura crescente di armi a Kiev come un “coinvolgimento diretto” della NATO nel conflitto. Aggiunge che Mosca non è assolutamente d’accordo con quanto sostengono con insistenza europei e americani, cioè che mandare armi non significa partecipare al conflitto. E a mettere in guardia contro l’eventualità di un coinvolgimento occidentale è anche lo storico britannico Geoffrey Roberts, membro della Royal Irish Academy e docente all’Università di Cork.

L’argomento tirato in ballo dal professore è tanto semplice quanto forte: il rischio di un’escalation che porti fino alla guerra totale fra NATO e Russia. E il pericolo non proviene tanto dalla possibilità che gli eserciti euroamericani facciano “un salto gigante” direttamente sul campo di battaglia, quanto dai “passi incrementali” effettuati con le forniture di armi sempre più potenti. Non si era mai vista prima una guerra per procura di tali dimensioni, afferma Roberts, che non si vergogna a chiamarla proxy war né a dire che il suo obiettivo generale è di eliminare la Russia come grande potenza.

E se fosse solo l’ennesima pericolosa mossa politica?

È lo stesso Roberts a ipotizzare che il vero scopo della fornitura di carri armati possa essere quello di coprire politicamente gli attuali governi europei. In altre parole, i politici occidentali cercano di “mettere le mani avanti” per non essere poi incolpati di non aver fatto abbastanza nel caso in cui alla fine vincesse la Russia. E secondo lo storico irlandese il problema per la NATO è proprio questo: in Ucraina Putin si sta avvicinando, seppur con fatica, a una sorta di vittoria sul terreno. L’idea che l’invio dei carri non abbia un’effettiva valenza strategica è condivisa anche da Paolo Ferrero di Rifondazione Comunista. L’ex ministro del governo Prodi dichiara sulle colonne del Fatto Quotidianocome i tank abbiano un grande significato politico, ma non siano in grado di spostare gli equilibri del conflitto, almeno non nel breve periodo.

Il loro limite consiste nel numero ristretto e nell’arrivo a tranche: quindi difficilmente saranno decisivi, perché relativamente pochi e perché giungendo un po’ alla volta possono essere distrutti prima di poter costituire una massa di sfondamento. Restano però un elemento che aggancia strettamente i membri della NATO e li trascina sempre più in profondità nel conflitto. E in una scelta così gravida di conseguenze funeste le opinioni pubbliche dei Paesi europei non sono state interpellate.

Anzi, si è rivelata in modo palese la pressione della componente angloamericana dell’Alleanza Atlantica, che ha fatto cedere il cancelliere Scholz sull’invio dei Leopard 2, dopo che aveva per lungo tempo rifiutato di concederli. Così, alcuni Paesi della NATO si mostrano decisi a effettuare un ennesimo invio di aiuti militari, includendo stavolta pure i carri armati da combattimento come gli M1 Abrams, i Challenger 2 e appunto i Leopard 2. E tra i benefattori di Zelensky, purtroppo, vi è anche l’Italia.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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