Unione Europea, manca l’unanimità su sanzioni al combustibile russo: anche la Bulgaria vuole deroghe

Unione Europea, manca l’unanimità su sanzioni al combustibile russo: anche la Bulgaria vuole deroghe

16 Maggio 2022 0

Il percorso del sesto pacchetto di sanzioni europee contro la Russia si è incagliato sulle deroghe concesse ad alcuni Paesi. A tre Paesi del gruppo di Visegrad, ovvero Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, l’Unione Europea ha garantito le proroghe, mentre alla Bulgaria non è stata proposta alcuna concessione: adesso, per un principio di equità come pure per ragioni strettamente tecniche, anche Sofia vuole ottenere dalla UE delle deroghe. Sulle prime quattro misure sanzionatorie contro Mosca i ventisette Paesi UE hanno raggiunto il consenso, mentre sulla quinta le trattative sono finite in stallo all’interno del COREPER, il Comitato dei rappresentanti permanenti (composto dai capi e vice-capi delegazione degli Stati membri). I primi quattro punti contengono sanzioni ad personam contro individui e mass media russi, nonché l’esclusione dal sistema SWIFT di Sberbank, il principale istituto bancario russo. Da notare che vengono risparmiate dalle misure “punitive” alcune banche russe di grosse dimensioni, tra cui Gazprombank, proprio la banca di quella Gazprom che fornisce il combustibile all’Europa e presso la quale diversi importatori europei hanno già aperto conti in rubli per continuare a effettuare gli acquisti. Il quinto punto, su cui non si riesce a trovare l’unanimità dei votanti, riguarda il cosiddetto phasing out, la graduale rinuncia all’acquisto di combustibile dalla Russia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen era già pronta ad annunciare il nuovo pacchetto sanzionatorio, ma la proposta del totale divieto di importazione del petrolio russo, via mare o via oleodotto, greggio o raffinato, ha diviso i Paesi UE.

L’Unione Europea vorrebbe che entro 6 mesi o 1 anno i Paesi membri smettano del tutto di acquistare energia dalla Russia. Tuttavia, per quelli che non hanno uno sbocco sul mare, trovare fornitori alternativi è un processo lungo e complicato. Praga, Bratislava e Budapest hanno così hanno ottenuto un prolungamento del periodo per mettere fine alla dipendenza da gas e petrolio russo, e sembra potranno accedere anche a compensazioni economiche per le spese che sosterranno nel ricalibrare le proprie raffinerie (che oggi lavorano quasi solo con il greggio russo). Sono in ballo quantità importanti di combustibile, difficili da rimpiazzare dall’oggi al domani: la Slovacchia importa dalla Federazione Russa quasi il 100%, Repubblica Ceca e Ungheria circa il 50%. Il premier ungherese Viktor Orbán ha detto che per l’economia magiara l’embargo sul petrolio potrebbe rivelarsi una “bomba atomica”, e ha così riproposto alcuni temi su quali Bruxelles e Budapest si erano già scontrati, come l’attivazione del PNRR e la procedura di protezione del bilancio UE. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha definito l’atteggiamento ungherese come  “inaccettabile”. Dalle questioni meramente tecniche, quindi, il dibattito sul punto numero cinque si trasferisce nella sfera delle relazioni politiche. E di questioni politiche si tratta, infatti: ne sa qualcosa la Slovacchia, il cui Parlamento qualche giorno fa ha ricevuto la visita virtuale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Nel suo intervento alla Národná rada, citando il sesto pacchetto di sanzioni in via di approvazione e contenente le restrizioni energetiche, ha dichiarato di comprendere come ciò rappresenti una “sfida” per gli slovacchi come pure per altri Paesi, ma in particolare per la Slovacchia la questione del petrolio russo e la possibilità di una sua sostituzione non costituiscono qualcosa su cui si possa fare un’azione immediata. Capiamo tutto questo. Poi, rivolgendosi direttamente ai cittadini slovacchi, ha spiegato che essi dovrebbero rinunciare all’energia russa per proteggere la libertà, anche se la protezione della libertà ha un prezzo. Infine ha battuto sul solito tasto della minaccia russa nei confronti dell’Unione Europea e su quello delle donazioni, possibilmente di aerei ed elicotteri. Non tutti i deputati slovacchi hanno applaudito il discorso di Zelensky: l’ex premier Roberto Fico, infatti, non era presente in aula. Il leader dei Socialdemocratici dello SMER aveva annunciato di non avere intenzione di ascoltare un soggetto che “dice bugie quotidianamente” e le cui richieste e affermazioni danneggiano pesantemente l’economia nazionale slovacca. E non c’era nemmeno il deputato dello SMER ed ex ministro delle Finanze Ladislav Kamenický, che aveva detto di “non voler assistere alla messinscena” parlamentare di Zelensky. 

In Bulgaria è situata la Lukoil Neftohim Burgas, che oltre ad essere l’industria più grossa del Paese è anche la principale raffineria dei Balcani, ed è di proprietà della multinazionale russa Lukoil. Per la Bulgaria le deroghe all’abbandono a breve termine dell’energia russa sono motivate non solo a livello politico, ma soprattutto tecnico: la raffineria di Burgas, porto sul Mar Nero, è impostata per lavorare il greggio russo e dunque ha ancora bisogno di molti mesi per convertire i suoi impianti di desolforazione. La mancanza del tempo necessario a tali cambiamenti significherebbe o essere costretti a diminuire la produttività della raffineria, provocando così deficit di carburante e dunque un aumento del prezzo della benzina, o a forzare gli impianti ponendo un serio rischio ambientale per tutta l’area. Alla televisione pubblica BNT, il vicepremier e ministro delle Finanze Asen Vasilev ha detto che la Bulgaria non voterà le nuove sanzioni se non le verranno concesse delle deroghe come per gli altri tre Paesi Visegrad. Vasilev ha poi mitigato l’affermazione dicendo che a giudicare dall’andamento dei negoziati non si sarebbe arrivati al muro contro muro con Bruxelles. Per quanto riguarda le importazioni di gas dalla Russia, in Bulgaria (e in Polonia) per adesso hanno rifiutato di aprire conti in rubli da affiancare ai conti in euro per pagare le forniture: così Gazprom a fine aprile ha chiuso loro i rubinetti. Nella UE vi è infatti la preoccupazione che il meccanismo di pagamento tramite rubli possa violare il regime sanzionatorio. Le posizioni in merito sono diverse; il presidente del Consiglio Mario Draghi, in conferenza stampa presso l’Ambasciata italiana a Washington, ha spiegato che si tratta di una “zona grigia” e che numerosi importatori hanno già aperto i conti in rubli, mentre il principale importatore tedesco di gas ha già effettuato un pagamento in valuta russa. Ad oggi, venti importatori europei hanno aperto un conto presso la Gazprombank, mentre altri quattordici starebbero preparando la documentazione necessaria.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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