Trattative coi droni ucraini sullo sfondo: un motivo in più per Mosca nel volere l’Ucraina demilitarizzata
Il consistente attacco di droni scagliato la settimana scorsa da Kiev rappresenta un altro motivo che spinge i russi a volere la demilitarizzazione dell’Ucraina. Nel lungo termine – forse in futuro non così lontano – si vedrà bene l’effetto controproducente oggi ottenuto da Zelensky, che adesso sta solo disturbando le trattative in corso fra Washington e Mosca.
Attacco massiccio
Nella notte fra il 10 e l’11 marzo gli ucraini hanno lanciato più di 300 droni contro il territorio della Federazione Russa. In particolare sulla regione di Mosca ne sono caduti più di 90, uccidendo tre persone e ferendone quasi venti, bambini compresi. Hanno causato danni anche alle abitazioni e ai binari ferroviari, rendendo necessario un blocco temporaneo alla circolazione dei treni e la sospensione dei voli dai quattro aeroporti della capitale. In precedenza, il comandante in capo delle Forze armate ucraine Oleksandr Syrsky aveva vantato il miglioramento dell’efficacia delle operazioni coi droni. Secondo i suoi dati, a febbraio il numero di obiettivi russi distrutti dai droni ucraini è salito del 22% rispetto a gennaio.
Una tempistica precisa
In Russia e non solo, gli analisti sostengono che la scelta di Kiev di attaccare coi droni in modo massiccio proprio la notte prima del vertice coi rappresentanti americani non sia stata casuale. Si sarebbe trattato infatti di una mossa deliberata, tale da potersi leggere in diversi modi. Anzitutto come una dimostrazione della volontà ucraina di continuare il conflitto. Poi della loro capacità di continuarlo, sebbene in maniera altalenante e probabilmente votata alla sconfitta, ma non senza infliggere ancora dei danni all’avversario. E i danni vengono fatti dai droni, una tecnologia su cui Kiev sta investendo moltissimo: così serviva una buona pubblicità prima dell’incontro ufficiale. Dunque una dimostrazione per cercare di attirare futuri investimenti e per giustificare quelli in atto.
Il vertice di Gedda
L’11 marzo si sono incontrati a Gedda, in Arabia Saudita, i rappresentanti di USA e Ucraina. È la prima volta dopo il vertice dello Studio Ovale del 28 febbraio, risoltosi nell’epica sgridata subita da Zelensky. Per parte americana c’erano il segretario di Stato Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz. Per parte ucraina erano presenti il ministro degli Esteri Andrii Sybiha, il ministro della Difesa Rustem Umerov e il capo dell’ufficio presidenziale Andrii Yermak. Zelensky era arrivato il giorno prima, ma senza partecipare ai colloqui. Il tema è stato il piano per un cessate-il-fuoco da far accettare alla Russia e magari, nelle speranze di Zelensky, rinfrescare l’atmosfera delle relazioni con gli USA e ottenere dei “risultati pratici”. Un risultato l’ha avuto comunque, ed è stato la ripresa degli aiuti militari e della condivisione delle informazioni di intelligence, un’assistenza che era stata recentemente sospesa dallo stesso Trump.
Provocazione controproducente
Infine può essersi trattato dell’ennesima sterile provocazione, l’ennesimo tentativo fallito di far saltare i nervi al Cremlino. Infatti dopo Gedda i rappresentanti americani avevano in programma di incontrare i colleghi russi e di recarsi proprio a Mosca. Il consigliere Waltz è stato seguito nella missione dall’inviato speciale di Trump Steve Witkoff, che doveva vedere addirittura lo stesso Putin per parlare con lui della proposta di cessate-il-fuoco. Ma con l’attacco dei droni, Zelensky ha confermato di non fare alcun gesto evidente nel senso di una vera tregua. Anzi, ora i russi hanno un motivo in più per volere un’Ucraina demilitarizzata. La prospettiva del suo ingresso nella NATO sembra essere sparita dall’orizzonte politico occidentale, ma Mosca non ne è granché rassicurata. L’unica garanzia per la propria sicurezza è un’Ucraina che nel prossimo futuro sia priva dei mezzi per colpire e per fomentare il conflitto all’infinito, come sta facendo ora.
Produzione e importazione di droni
Come noto, l’esercito ucraino è ormai in deficit perenne di soldati. Mancano gli uomini, quelli in prima linea disertano, le reclute sono poco addestrate. E allora a Kiev conviene puntare su una tecnologia a basso costo e dall’efficacia immediata: i droni, appunto. Il capo del dipartimento acquisti del ministero della Difesa Hlib Kanevsky ha detto che quest’anno intendono acquistare 4 milioni e mezzo di droni di tipo FPV o first person view., con un investimento di molto superiore al 2024. Kanevsky ha precisato che i relativi fondi pubblici sono già stati stanziati. Oggi l’Ucraina è diventata il maggiore importatore di armamenti del mondo, con un aumento di spesa di cento volte rispetto al periodo antecedente al 2020.
Di quale futuro di pace si può mai parlare?
Con tali premesse, è chiaro che per Mosca diventa difficile considerare seriamente le intenzioni di Kiev alla tregua o alla pace. I fatti smentiscono gli ucraini, che ora sono impegnati in un nuovo riarmo e quindi in un’escalation del conflitto. Non sono da meno gli alleati europei, che sbraitano di potenza militare e con la spinta dei vip cercano di portare in piazza la gente per invocare armi e sostegno infinito all’Ucraina. E pure sulle reali intenzioni di Trump si potrebbe discutere a lungo. Intanto i droni colpiscono gli interessi di chi non ha mai voluto fare l’elemosina miliardaria a Zelensky. Hanno infatti provocato danni all’oleodotto Druzhba, che porta il petrolio russo a Budapest. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ne ha annunciato il temporaneo blocco dell’attività e ha gentilmente chiesto a Kiev di evitare attacchi alle infrastrutture che servono un Paese UE e NATO come l’Ungheria.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.