La grave crisi demografica della Lituania

La grave crisi demografica della Lituania

23 Marzo 2025 0

La Lituania non riesce a uscire dalla grave crisi demografica che in trent’anni le ha fatto già perdere un quarto della popolazione. Tuttavia sembra quasi che non ci stia nemmeno provando. I vari governi che si sono succeduti non hanno approfondito le cause del problema e non intraprendono misure adatte a contrastarlo.

La parabola discendente

La popolazione della Lituania è costantemente diminuita a partire dall’indipendenza dall’URSS nel 1991, perdendo 800mila cittadini. È passata così da 3,7 milioni di persone alle circa 2,8 milioni attuali. Di esse, il 20% ha superato l’età pensionabile. Il gruppo di età da 60 a 69 anni è aumentato del 26,8%, mentre gli ultra 85enni quasi del 30%. Nel 2019 vi era stato un piccolo incremento del numero di abitanti, ma la tendenza non si è confermata. Nel 2024 vi sono state appena 19mila nascite, un record negativo assoluto per Vilnius. Il tasso di fertilità registrato tre anni fa era uno dei più bassi dell’Unione Europea, appena 1,27 contro il minimo di 2,1 necessario al sostentamento della popolazione.

La crisi nelle zone rurali

Negli ultimi trent’anni la popolazione della Lituania è rimasta sostanzialmente invariata nella proporzione fra chi risiede nelle zone urbane (circa il 68,5%) e chi nelle zone rurali. Proprio queste ultime hanno sofferto maggiormente il fenomeno della decrescita demografica. La piccola cittadina di Rozalimas nel nord del Paese è un esempio tristemente significativo di questo fenomeno. Contava quasi mille abitanti alla fine degli anni ‘80, quando ancora la Lituania faceva parte dell’Unione Sovietica, mentre oggi ne ha poco più di 700. Ed è in costante discesa, anche a causa delle scarse nascite e della conseguente chiusura di asili e scuole, avviando così un circolo vizioso di diminuzione dell’attrattività. Un altro esempio è rappresentato dal comune distrettuale di Pakruojis, i cui abitanti si sono ridotti di un terzo in quindici anni e nel quale oggi i giovani sono la metà degli anziani.

Il problema riguarda anche le minoranze

Ad essere affette da bassa natalità e diminuzione del numero sono anche le minoranze presenti nel Paese, la cui proporzione è rimasta quasi immutata dopo il 1990. Il gruppo etnico principale è quello polacco (6%), seguito da russi (5%), bielorussi (2,1%) e ucraini (1,7%). Gli ultimi due anni sono aumentati di numero grazie ai rifugiati: i prossimi eventi internazionali determineranno se questa tendenza proseguirà o si invertirà. La Lituania, però, non ha ancora normalizzato del tutto i rapporti con tali comunità. Si pensi per esempio allo smantellamento dei monumenti di epoca sovietica, denunciato al Comitato per i diritti umani dell’ONU come violazione dei diritti delle minoranze nazionali, in particolare di quella russa.

Gli emigrati non tornano

Se ne vanno i giovani dai 25 ai 35 anni, proprio l’età media in cui si diventa genitori e si forma una famiglia. La prima ondata di fughe in cerca di lavoro e di una vita diversa è avvenuta nel 2004, con l’ingresso di Vilnius nell’Unione Europea. Le mete preferite erano Gran Bretagna, Germania, Irlanda, Spagna e anche Norvegia e USA. La Brexit e il Covid hanno leggermente rallentato il fenomeno, ma vi sono ancora troppi ostacoli a che i lituani tornino indietro per stabilirsi nuovamente in patria. Anzitutto la mancanza di offerte di lavori qualificati o con uno stipendio pari a quello che ricevono all’estero. Poi le difficoltà burocratiche per l’ottenimento dei mutui o anche solo per affittare un appartamento. Infine la perdita della cittadinanza: negli ultimi cinque anni Vilnius ha ritirato il passaporto a oltre 5mila lituani che avevano acquisito una seconda cittadinanza, pratica vietata dalle norme costituzionali.

Gli immigrati

Cresce invece il numero degli immigrati, ma non in maniera prevedibile o controllabile. Oggi in Lituania vi sono circa 221mila stranieri, di cui la metà possiede un permesso temporaneo di lavoro. Oltre agli ucraini e ai bielorussi che non sono parte integrante delle già presenti comunità etniche, ma che arrivano come rifugiati o in cerca di lavoro, sono molti gli indiani e i cittadini dalle ex Repubbliche sovietiche come l’Azerbaigian, l’Uzbekistan, il Tagikistan, il Kirghizistan. Dei provenienti dall’Asia centrale, il 90% sono maschi.

La mancanza di politiche inefficaci

I vertici statali non negano il problema, anzi definiscono lo spopolamento come una seria minaccia, ma non hanno mai implementato delle soluzioni in modo continuativo. Nel 2018 il governo aveva provato un sistema ispirato a quello polacco: l’assegnazione mensile di quasi 100 euro per ogni figlio minorenne, con somme e benefici superiori per le famiglie numerose o con figli invalidi. Ma non è servito. Secondo Diana Cibulskienė dell’Accademia Šiauliai dell’Università di Vilnius, pesa l’assenza di una vera politica regionale. Non vengono enfatizzati gli aspetti positivi di ciascuna zona in modo da aumentarne l’attrattività come luogo in cui trasferirsi: ad esempio puntando sulle capacità turistiche di alcuni regioni e su quelle industriali e produttive di altre. Il ministro del Lavoro e della Sicurezza sociale Inga Ruginienė vede nell’alto costo della vita e nella difficoltà di ottenere un’abitazione una delle principali ragioni per cui i giovani non fanno figli o scappano all’estero.

Prospettive fosche

Le prospettive a lungo termine, formulate da agenzie internazionali come Eurostat e il Dipartimento per gli affari economici e sociali dell’ONU, prefigurano una cifra pessimistica di 2 milioni di abitanti entro il 2070. Entro i prossimi vent’anni si perderanno altre cinquecentomila persone. È un paradosso che il governo non sa spiegare: in Lituania gli stipendi crescono il doppio della media europea, gli standard di vita convergono verso gli altri Stati membri, eppure non si fanno figli e si scappa all’estero. Il precedente esecutivo, terminato a dicembre 2024, aveva adottato una risoluzione dal titolo “Sul futuro delle politiche demografiche della Lituania”. Con questo documento definiva lo spopolamento come una questione strategica a lungo termine e proponeva la creazione di un’agenzia che sviluppasse programmi per invertire la tendenza. L’attuale governo, però, non sembra voler implementare il progetto, ma si limita a generiche promesse di aiuti finanziari e sociali alle famiglie.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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