Soluzione coreana o escalation regionale? Natura e destino del conflitto ucraino alla luce del pensiero di von Clausewitz. Intanto la guerra ibrida tra NATO e Russia è già in atto

Soluzione coreana o escalation regionale? Natura e destino del conflitto ucraino alla luce del pensiero di von Clausewitz. Intanto la guerra ibrida tra NATO e Russia è già in atto

20 Marzo 2023 0

Recentemente, è riecheggiata su diversi organi d’informazione occidentali l’ipotesi che il conflitto tra Federazione Russa e Ucraina possa risolversi sul piano diplomatico attraverso un accordo che, congelando la situazione sul terreno, porti a una sorta di scenario coreano ovvero a un cessate il fuoco che sancisca de facto una spartizione dei territori contesi.

Benché, allo stato attuale, questa ipotesi possa ragionevolmente ritenersi inattuabile, per via delle posizioni di ferma intransigenza pubblicamente assunte da entrambi i belligeranti, essa potrebbe rappresentare un compromesso in grado di porre fine a una guerra che si sta oramai trascinando da oltre un anno, con importanti ripercussioni economiche che vanno oltre le parti direttamente coinvolte.

FOTO - La mappa della ricostruzione dell'Ucraina presentata durante la conferenza Ukraine Recovery Conference 2022
FOTO – La mappa della ricostruzione dell’Ucraina presentata durante la conferenza Ukraine Recovery Conference 2022

L’alternativa, altrimenti, consisterebbe nella prosecuzione di quel flusso di aiuti militari dall’Occidente che ha consentito a Kiev, dapprima, di fermare l’avanzata russa e, in seguito, perfino di sferrare una controffensiva sul fronte del Donbass, spingendo le forze russe ad arretrare in alcuni settori. In aggiunta a ciò, la condizione di stallo, che pare registrarsi attualmente, sembra imputabile anche al venire meno di quella nuova grande offensiva russa attesa da alcuni già nei primi mesi del 2023. Tutto questo porta a interrogarsi sul futuro della guerra in atto in Ucraina.

Leggere la crisi seguendo il pensiero di Carl von Clausewitz

Per la natura stessa del quesito, una interessante chiave di lettura potrebbe giungere dal pensiero di uno dei massimi teorici occidentali dell’arte militare: Carl von Clausewitz (1780–1831). Rileggendo il suo più famoso studio sulla guerra, Vom Kriege, pubblicato postumo in tre volumi nel 1832 (1a ediz. italiana parziale 1942)[1], si può meglio comprendere la strategia messa in atto dagli alleati occidentali di Kiev e, per conseguenza, ipotizzare quali potrebbero essere gli esiti futuri del conflitto.

Scrivendo a proposito del concetto di guerra, Clausewitz illustrava le tre leggi di reciprocità che caratterizzerebbero ogni conflitto. Nel caso di quello che attualmente oppone Mosca a Kiev a essere chiamate in causa sarebbero, in particolare, la seconda e la terza. Per Clausewitz affinché il nemico sia indotto a fare la nostra volontà (raggiungere un cessate il fuoco in Ucraina) è necessario che ogni prolungarsi delle ostilità conduca a una situazione sempre più svantaggiosa per esso, sia dal punto di vista militare che politico (prima legge di reciprocità). Per fare ciò è sottinteso prevedere che il nostro sforzo sia però commisurato alla sua capacità di resistenza nel tempo, calcolata sulla base delle sue risorse materiali e della volontà a contrastare il nostro operato: maggiore è la resistenza del nemico, più alti saranno i nostri sforzi per superarla (terza legge di reciprocità).

Il primo punto contribuisce a spiegare l’apparente ossimoro concettuale espresso dalla formula + armi = pace ovvero + guerra = pace. In altri termini, Clausewitz sosteneva che in guerra quando l’uno non è in grado di prevalere totalmente sull’altro i motivi per una pace possono crescere. Ecco perché l’Occidente fornisce aiuti militari a Kiev in maniera graduata, tale da dotare le forze ucraine di una efficacia offensiva limitata cioè in misura sufficiente a impedire, anzitutto, che le forze attaccanti (i russi) possano imporsi.

Questa modulazione etero diretta delle capacità (contro)offensive degli attaccati (gli ucraini) ha sostanzialmente due scopi: da un lato, impedire che essi, prevalendo in termini nettamente risolutivi sull’attaccante, si sentano spinti ad avanzare richieste di pace irricevibili dalla controparte e, dall’altro, scongiurare un aumento dell’intensità del conflitto che possa derivare dal superamento di linee rosse (la Crimea ad esempio).

Le tre leggi di reciprocità

Ognuna delle tre leggi di reciprocità – spiegava Clausewitz – contiene però in sé anche dei limiti. Nel caso della terza legge questi consisterebbero nel rischio dell’accrescimento continuo da ambo i lati: l’escalation. E l’escalation attiene appunto alla misura espressa dalla forza di volontà del nemico. Accettato il rischio politico (insito nella seconda legge) il nemico sceglie di accrescere la sua forza di resistenza attraverso un calcolo decisionale costi-benefici. Risorse materiali (e umane), fattore politico e voluntas sono quindi tre aspetti intrinsecamente legati, che investono l’agire di entrambe le parti. Ad esempio, i decisori politici a Mosca (di fatto la triade Putin-Shoigu-Gerasimov), sfumata la possibilità di quella che, dal loro punto di vista – si può presumere – avrebbe dovuto essere una rapida vittoria, nel corso del conflitto hanno optato per un incremento delle forze in campo con il fine di superare la resistenza (inaspettata) offerta dall’esercito ucraino.

FOTO - I MiG-29 che potrebbero essere forniti a Kiev da Polonia e Slovacchia
FOTO – I MiG-29 che potrebbero essere forniti a Kiev da Polonia e Slovacchia

Ciò ha determinato a sua volta, per reazione, un aumento del flusso di aiuti militari occidentali a Kiev, tanto che dai missili anti-carro FGM-148 Javelin, si è passati ai main battle tank Leopard 2 (oltreché M1 Abrams e Challenger 2) e, da ultimi, ai caccia MiG-29 che Polonia e Slovenia sarebbero intenzionate a fornire. Il richiamo a Clausewitz può dunque essere utile per cercare di ipotizzare quale potrebbe essere lo scenario più plausibile, qualora dovesse venire meno la soluzione coreana che trasformerebbe la guerra in una delle tante frozen wars (o più esattamente conflitti protratti) sparse per il globo. Esso consisterebbe nell’accrescimento, ulteriore, degli sforzi militari di entrambe le parti. Mosca punterebbe a riconquistare le posizioni perdute a seguito della controffensiva ucraina nel Donbass, mentre l’Occidente si vedrebbe giocoforza costretto ad aumentare il proprio impegno a sostegno di Kiev.

I rischi della “scalata” del conflitto

In questa corsa alla scalata del conflitto il rischio decisionale sarebbe tuttavia maggiore per l’Occidente, poiché – sempre attingendo al pensiero di Clausewitz – le risorse materiali (in uomini e mezzi) della Federazione Russa superano (perlomeno quantitativamente) quelle dell’Ucraina. Si arriverebbe quindi – in uno scenario estremo – alla possibilità di discutere l’invio di militari occidentali in Ucraina, per evitare che l’investimento geopolitico sino a quel momento messo in atto (mantenere Kiev nell’orbita occidentale) e quello futuro (la partita economico-finanziaria della ricostruzione) non venga perso.

È il dilemma dinnanzi al quale, molto probabilmente, l’Occidente potrebbe presto trovarsi se dovesse appunto venire meno il compromesso alla coreana e se il nemico decidesse di accrescere ulteriormente la propria voluntas di resistenza vanificando così quella “Ukranian battlefield victory in 2023[2] solennemente auspicata nel Tallinn Pledge del 19 febbraio scorso.

Se tale scalata dovesse effettivamente concretizzarsi il conflitto assumerebbe verosimilmente i contorni di una guerra regionale, non limitandosi più quindi a Russia e Ucraina, chiamando direttamente in causa uno o più Paesi dell’Eastern flank della NATO ovvero uno o più Stati a esso attigui (la Moldavia e/o la Bielorussia). Uno scenario che, secondo un legittimo esercizio teorico, non si può più del tutto escludere, per almeno due motivi.

L’ipotesi di una guerra regionale

In primo luogo per via dell’abbattimento del drone statunitense MQ-9 Reaper effettuato – seppure con metodi non ortodossi – da un caccia russo Sukhoi Su-27 sui cieli del Mar Nero il 14 marzo scorso. Tale atto sembra indicare che Mosca intenda raggiungere un nuovo livello di scontro, manifestando la volontà di colpire i dispositivi militari occidentali che, provenienti dalle retrovie rappresentate dai Paesi NATO, sostengono le capacità di ricognizione-targeting-attacco necessarie allo sforzo bellico ucraino.

Il secondo fattore riguarda un dato che, pressoché passato in secondo piano, costituisce però un indicatore significativo del livello di deterioramento cui sono giunti i rapporti tra NATO e Federazione Russa ossia la circostanza per cui questi due attori regionali sembrano avere già toccato la soglia di scontro rappresentata dal cosiddetto quinto dominio della conflittualità, vale a dire la cyberwar.

La sorveglianza informatica in rapporto alla difesa collettiva

In merito a questo aspetto, l’episodio più significativo, in ordine di tempo, si è registrato nel febbraio scorso, quando il gruppo pro-russo Killnet ha lanciato un attacco informatico colpendo alcuni siti Web collegati all’Alleanza Atlantica, compreso il portale del Quartier Generale delle Operazioni Speciali (NSHQ)[3] in Belgio.

Sebbene il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, in conferenza stampa, il 13 febbraio, si fosse premurato di chiarire che la rete classificata dell’Alleanza non era stata compromessa, l’azione ha rappresentato l’ennesimo segnale che tra blocco euro-atlantico e Federazione Russa era, ed è, (già) in atto una guerra ibrida. In precedenza (dicembre 2022) un altro cyber gruppo filo-russo, NoName, aveva attaccato nove siti Web legati al Ministero della Difesa italiano.

La circostanza è significativa per una ragione. Nella Dichiarazione finale del Summit NATO di Newport (in Galles), datata 5 settembre 2014, gli alleati avevano affermato, per la prima volta, che la sorveglianza informatica facesse parte dell’impegno fondamentale alla difesa collettiva contenuto nel Trattato di Washington (articolo 5). Essi avevano altresì specificato che il North Atlantic Council si riservava di decidere caso per caso in quale circostanza, da quel momento, un attacco informatico avrebbe potuto portare all’applicazione dell’articolo 5.

FOTO - L'incontro dove la NATO adotta il Cyber Defense Pledge
FOTO – 8 lug 2022 – Un momento dell’incontro dove la NATO adotta il Cyber Defense Pledge

L’8 luglio 2016 la NATO adottava il Cyber Defense Pledge (Impegno per la Difesa Informatica), mentre il giorno successivo, nel Communiqué finale del Summit di Varsavia, gli alleati includevano le minacce ibride nella categoria di attacchi per i quali l’Alleanza si riservava il diritto di ricorrere alla clausola della difesa collettiva. Nel 2019, all’interno dell’articolo intitolato NATO will defend itself edito sul magazine “Prospect”, Stoltenberg ha ribadito questo concetto, affermando che un grave attacco informatico potrebbe fare scattare l’articolo 5 del Trattato Nordatlantico.

[1] La guerra (Vom Kriege), pagine scelte, Firenze, Felice Le Monnier, 1942, trad. di Luigi Cosenza e Giuseppe Moscardelli.

[2] https://www.gov.uk/government/news/joint-statement-the-tallinn-pledge.

[3] NATO Special Operations Headquarters.

Roberto Motta Sosa
RobertoMottaSosa

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