Siria, aumentati gli attacchi turchi grazie al conflitto israelo-palestinese. E i curdi denunciano il tentativo di una sostituzione etnica indotta

Siria, aumentati gli attacchi turchi grazie al conflitto israelo-palestinese. E i curdi denunciano il tentativo di una sostituzione etnica indotta

26 Novembre 2023 0

Nei giorni in cui si discuteva dei dettagli della tregua tra Israele e Hamas, per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza, la Siria settentrionale e nord-orientale era sotto attacco turco.

Un militare delle Sdf  (Forze democratiche siriane) è stato ucciso e un altro è rimasto ferito lo scorso 23 novembre da un drone, mentre viaggiavano su un’auto vicino a Rumailan nelle campagne di Al-Qamishly, a nord di Al-Hasakah. Sale così a tre, riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr),  il numero dei soldati morti e feriti nell’area. Il giorno prima un altro membro delle forze anti-Daesh era stato colpito in un raid dell’aviazione turca nel villaggio di Shorik, sempre nelle campagne di Al-Qamishly.

Continuano a salire i morti a seguito degli attacchi turchi

Dall’inizio dell’anno il numero di attacchi effettuati da aeromobili a pilotaggio remoto (Apr) di Ankara sulle aree controllate dall’amministrazione autonoma nel nord del Paese levantino è salito a 101, uccidendo 85 persone, oltre al ferimento di altre 91, tra cui due bambini, due donne e tre funzionari civili.

Stesso copione, riporta ancora Sohr, si ripete nelle campagne di Aleppo dove, come riporta ancora Sohr, 32 attacchi hanno causato la morte di 27 combattenti, tre soldati del governo e tre civili. Ad essere presi di mira sono soprattutto membri delle Sdf e delle Ypg, le Unità di protezione del popolo, che la Turchia bolla come organizzazione terroristica. Non di rado, però, a farne le spese sono i civili. Dall’Ufficio informazione e comunicazione delle Ypj, la milizia delle Unità di protezione del popolo delle donne fanno sapere che:

Lo scorso 21 novembre è stato attaccato con armi pesanti il villaggio di Ewn Dadat, a nord di Manbij, dove sette civili hanno riportato ferite. In più, il 28 ottobre un drone turco ha preso di mira la casa del comandante delle Ypg, Ferhad Xelil, uccidendolo e ferendo la moglie e il figlio.

Dall’occupazione di Afrin una inesorabile mattanza di civili

Nel 2018 con l’operazione “Ramoscello d’ulivo”, l’esercito turco ha occupato Afrin, l’enclave a maggioranza curda nel nord-ovest della Siria e l’anno successivo, con una nuova offensiva, quella di Serekaniye, provocando numerose vittime e oltre 400mila di sfollati. Proseguono dall’Ufficio

Il governo di Ankara ha insediato le famiglie dei suoi alleati fondamentalisti islamici in quei territori determinando così un drastico cambiamento demografico. Tutto ciò rientra nel piano di Ankara di occupare una fascia di 30 chilometri vicino al confine, che metterebbe a rischio anche le zone di Kobane, Qamishli e Derik. Sono frequenti gli attacchi mirati contro veicoli che trasportano persone con ruoli di responsabilità all’interno delle amministrazioni locali, militari in “non-combat situation”, giornalisti e civili.

Dal 5 al 10 ottobre scorso c’è stata un’intensificazione degli attacchi, denuncia l’amministrazione della regione curda del Rojava, sia via aerea che con armi pesanti. Ad essere colpite sono state principalmente le infrastrutture, centrali idriche ed elettriche cui è seguita la “completa interruzione della fornitura di elettricità e acqua” nella zona di al-Hasakeh.

La denuncia degli alti comandi delle Ypj

«Prendere di mira infrastrutture come pozzi petroliferi, stazioni idriche e depositi di grano – tuona Rohilat Afrin del Comando Generale delle Ypj – ha lo scopo di danneggiare deliberatamente la popolazione civile. Lo Stato turco sfrutta questo danno per creare penuria di cibo e costringere in questo modo gli abitanti a fuggire dalla propria terra. Questo è il ragionamento alla base degli attacchi alle vitali infrastrutture civili».

Ora la situazione è di una calma apparente, con attacchi che continuano specialmente nella zona di Shehba e Eyn Isa. Le forze curde, supportate dagli Usa, hanno combattuto le milizie del Daesh, riducendole a piccole cellule stanziate nel deserto siriaco. Oltre 70 mila jihadisti sono rinchiusi nei centri di detenzione controllati dalle forze del NES (Nord ed Est della Siria) e l’indebolimento del braccio operativo militare, rischia di minare la difesa e il controllo dei centri adibiti a carceri.

In Siria si va avanti con una guerra a macchie di leopardo.

Le conseguenze del conflitto sulla Striscia di Gaza

Il conflitto sulla Striscia di Gaza ha avuto un effetto domino sul Paese, dove le forze filo iraniane hanno lanciato attacchi sulle basi statunitensi presenti in diverse aree, in risposta ai fatti di Gaza. Il Sohr ne ha contati 44, che si sono concentrati soprattutto su Al–Tanf,  Rubarya, sulla base petrolifera di Al-Omar e sul giacimento di gas di Koniko.

Abbiamo chiesto alle milizie curde delle Ypj un parere sul conflitto che, più degli altri in questo momento, sta tenendo il mondo col fiato sospeso.

Quello che sta accadendo non solo a Gaza, ma in molte parti del Medio Oriente è la dimostrazione che il modello dello Stato Nazione non è la soluzione per i problemi dei popoli e delle genti che vivono nei nostri territori. Con l’idea di uno Stato per una Nazione, il popolo curdo è stato diviso in quattro Stati (Turchia, Iraq, Iran, Siria) e ciascuno di essi, a suo modo, ha tentato di cancellare l’identità curda. Il genocidio armeno, tra gli altri, ha posto le basi per la nascita dello Stato di Turchia. All’interno della Repubblica araba di Siria minoranze come quella siriaca sono riuscite solo molto parzialmente a difendere la propria lingua e cultura.

Dalle milizie poi proseguono ricordando come “Il popolo arabo e quello israeliano sono presenti in quell’area da millenni e quando si è diffusa l’ideologia dello Stato-Nazione (nello specifico il Sionismo) sono cominciati i problemi. Rispetto a questo – aggiungono – la soluzione che proponiamo è quella del confederalismo democratico, organizzato come nazione democratica. Una soluzione proposta dal nostro leader Abdullah Ocalan, che prevede l’autodeterminazione democratica dei popoli, senza costruire uno Stato. Un altro dei problemi che possiamo vedere in Medio Oriente,  Palestina/Israele comprese, e’ l’avanzata di pratiche misogene, che comunque non portano a una soluzione per i popoli presenti. Di nuovo, la proposta della nazione democratica, che include al suo interno la liberazione della donna e la sua autodifesa, diventa un antidoto rispetto a queste idee e pratiche».

Marina Pupella
MarinaPupella

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