Sedotti e abbandonati dall’Occidente: per l’Ucraina si delinea uno scenario “georgiano”?

Sedotti e abbandonati dall’Occidente: per l’Ucraina si delinea uno scenario “georgiano”?

8 Luglio 2023 0

Sembra che per Kiev si stiando creando le condizioni per il ripetersi di uno “scenario georgiano”. In vista del summit NATO di Vilnius, si impongono delle riflessioni sul comportamento dell’Alleanza Atlantica, degli USA e dell’Unione Europea verso l’Ucraina. La sostanza è questa: l’Occidente l’ha di fatto ingannata, spingendola allo scontro diretto contro la Russia con la prospettiva di diventare membro delle organizzazioni euroatlantiche.

A sua volta Kiev ha riversato tutte le sue speranze di integrazione sull’obiettivo del trionfo bellico, quella “vittoria totale” troppe volte promessa e annunciata da Zelensky. Fallita completamente la prima fase della controffensiva, gli ucraini sanno che di entrare nella NATO, per ora, non se ne parla affatto.

Anche a Tbilisi promettevano di entrare presto nella NATO

Nel 2008, anno della “guerra dei cinque giorni” con la Russia, Tbilisi pensava di essere sul punto di entrare nella NATO e magari pure nella UE. Tre anni prima era stato firmato l’accordo di cooperazione secondo il programma del Partenariato per la Pace, che all’epoca già coinvolgeva diversi Paesi dell’ex blocco sovietico. Nel 2006 venne fatto l’ulteriore passo avanti dell’IPAP (Individual Partnership Action Plan), seguito dall’offerta dello status di “dialogo intensificato”.

Da notare che era stata proprio l’Ucraina la prima a cui la NATO aveva fatto questo genere di proposta (la Georgia è stata il secondo Paese). Al summit di Bucarest dell’aprile 2008, Polonia e USA proposero di ammettere Tbilisi al Membership Action Plan (MAP). Sembrava solo l’ultima formalità prima dell’ingresso effettivo nell’Alleanza, ma membri del calibro di Francia e Germania si opposero. La proposta dunque non venne formalizzata, ma alla Georgia fu comunicato che sarebbe stata sicuramente ammessa non appena avesse soddisfatto i requisiti necessari.

La NATO pensava allora di riuscire a piazzarsi a ridosso della frontiera caucasica della Federazione Russa. Tuttavia, rimaneva aperta la questione delle due repubbliche autoproclamate dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud. Situate su suolo georgiano ai confini con la Russia, Tbilisi le reclamava come suoi territori autonomi, sebbene le spinte separatiste si mostrassero con violenza già dal 1991.

Il precedente georgiano

Nell’agosto del 2008 Mikheil Saakashvili, presidente della Georgia dal 2004 e fautore dell’integrazione euroatlantica, decise di mostrare a tutti i costi a Washington e a Bruxelles di meritare l’ammissione alla NATO. Ma il risultato della sua intrapredenza fu la rapida e disastrosa sconfitta per mano della Russia e la susseguente perdita del controllo sui territori contesi. E ora, giunti al 2023, la Georgia non soltanto non è entrata nelle organizzazioni occidentali, ma si sta persino riavvicinando a Mosca.

Il rancore che il popolo georgiano prova verso l’Occidente viene fomentato anche dall’atteggiamento tenuto dall’Unione Europea. Dopo la firma di un’accordo di associazione nel 2014, Tbilisi ha fatto formale richiesta di adesione nel marzo 2022, nello stesso periodo in cui l’hanno chiesta Ucraina e Moldavia. Nonostante condizioni sociali, economiche e politiche gravemente compromesse, a questi due Paesi è stato concesso lo status di candidato. Alla Georgia invece no, sebbene goda di una sufficiente stabilità politica e di un certo benessere. Ora che georgiani si sentono scaricati da quell’Occidente che prometteva loro di “entrare in Europa”, diventa quasi automatico riavvicinarsi alla Russia.

Così lo scorso maggio sono stati ripristinati i collegamenti aerei fra Russia e Georgia e oggi vi sono voli regolari fra le due capitali. Ma nemmeno questo sta bene agli USA: Washington ha infatti avvertito Tbilisi che “ora non è proprio il momento di rafforzare le relazioni con la Russia”.

L’inquietante esempio di Saakashvili

Se Kiev non riuscisse a battere la Russia sul campo, pur con la mole gigantesca di assistenza ricevuta dal blocco euroatlantico, potrebbe perdere quegli stessi aiuti e rimanere da sola con i suoi problemi. Zelensky potrebbe magari tentare di riciclarsi come ha fatto l’ex presidente georgiano Saakashvili? Se lo facesse, dovrebbe stare attento a non finire nell’elenco degli ex amici a cui Washington a un certo punto ha voltato le spalle.

Oggi Saakashvili è in disgrazia, in condizioni fisiche precarie e imputato in un lungo processo. Sembra che il suo destino non interessi molto a Washington, che pure l’aveva appoggiato ai tempi della “Rivoluzione delle rose”. Dopo le elezioni del 2003, con il sostegno anche finanziario di USA e delle ONG, cavalcò le proteste e le manifestazioni di piazza che scoppiarono subito dopo e che portarono all’insediamento del suo governo filo-occidentale. È un copione che ricorda da vicino quanto poi accadde in Ucraina…

Ed è proprio in Ucraina che andò Saakashvili dopo aver perso le elezioni parlamentari ed essersi trasferito temporaneamente a New York. L’allora presidente Petro Poroshenko lo nominò addirittura governatore della regione di Odessa, ma lui nel 2016 si è dimesso a causa di contrasti politici, accusando gli ucraini di corruzione. Arrestato nel 2021, oggi è in ospedale nella sua Georgia, il Paese che ha governato per otto anni. Già da aprile appariva drammaticamente emaciato e debilitato. In attesa di giudizio per le accuse di abuso di ufficio e malversazione, ha fatto lo sciopero della fame e ha affermato di aver subito torture e tentativi di omicidio da parte delle autorità georgiane.

La sorte di Zelensky

Al caso si è interessato anche Zelensky: è lui che nel 2019 gli ha restituito la cittadinanza ucraina, prima conferita e poi toltagli da Poroshenko. Ora invita Tbilisi a mandare Saakashvili in Ucraina per essere curato e accusa Mosca di manovrare a la situazione contro di lui. Proprio adesso, la Russia sta uccidendo il cittadino ucraino Mykhailo Saakashvili per tramite delle autorità georgiane. Insomma, come sempre dev’essere stato Putin… Comunque Zelensky è irritato con il governo georgiano per una ragione evidente: Tbilisi non si è unita al fronte delle sanzioni anti-russe. La ripresa dei collegamenti aerei con Mosca è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Kiev ha quindi imposto sanzioni alla Georgian Airways.  Vedremo cosa attende Zelensky se rimanesse da solo contro Mosca.

Il prossimo anno dovrebbero tenersi le elezioni. Purtroppo per lui, ci sono delle questioni irrisolte che potrebbero determinarne la fine, soprattutto la vicenda dei Pandora Papers. Uno scandalo finanziario di questo tipo è perfetto da rinfacciare nel caso in cui all’Occidente convenga dargli la colpa di tutto. Nel panoramana politico internazionale, alcuni dei suoi amici e simpatizzanti sono fuori dai giochi, almeno per il momento. Anzitutto l’ex premier britannico Boris Johnson, in secondo luogo gli equilibri di potere che potrebbero cambiare in Polonia e in Slovacchia, dove le elezioni sono previste in autunno.

Qualora Zelensky continuasse a perdere terreno, chi vorrebbe rischiare la faccia per lui? E se le prossime fasi della controffensiva fossero inconcludenti o addirittura pessime, l’Occidente potrebbe dare il via libera ai concorrenti interne di Zelensky, per sostituirlo in tempi brevi. Sembra allora che per Kiev si stiando creando le condizioni per il ripetersi di uno “scenario georgiano”. La sostanza è questa: l’Occidente ha di fatto ingannato l’Ucraina, spingendola allo scontro diretto contro la Russia con la prospettiva di diventare membro delle organizzazioni euroatlantiche.

Martin King
Martin King

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