Russia-Ucraina, Gen. Carlo Landi: La realtà che vediamo distorta è fatta dai giganteschi interessi di carattere economico e politico. Senza una politica comune la costruzione di un esercito europeo è complicata

Russia-Ucraina, Gen. Carlo Landi: La realtà che vediamo distorta è fatta dai giganteschi interessi di carattere economico e politico. Senza una politica comune la costruzione di un esercito europeo è complicata

4 Marzo 2025 0

In Europa è sempre più caos. Da un lato il premier inglese Keir Starmer ha smentito di aver condiviso il piano di pace francese presentato dal presidente francese Emanuel Macron meno di ventiquattrore fa e invoca un accordo con gli Stati Uniti definendolo indispensabile. Dall’altro a Bruxelles la presidente Ursula Von der Leyen, insieme al “ministro degli esteri Ue” Kaja Kallas, non paiono avere nessuna intenzione di parlare di pace e anzi utilizzando termini bellicosi lanciano piani per il riarmo e la militarizzazione dell’Europa.

Insomma ognuno in Europa va per conto proprio, lanciando le proposte più fantasiose sul conflitto russo-ucraino e di fatto lacerando il futuro dell’Europa stessa. In questo contesto tumultuoso l’unico filo comune che unisce i leader europei è quello della creazione di un esercito comune con tutti però i problemi che derivano proprio dalla mancanza di una politica comune. E proprio per approfondire questa pagina di storia che si sta scrivendo sotto i nostri occhi abbiamo interpellato il Generale Carlo Landi, già comandante della Divisione “Centro Sperimentale di Volo” e poi consigliere militare nella delegazione italiana all’OSCE (da non confondere con l’OCSE), addetto militare per Austria, Ungheria  e Slovacchia.

– Generale che cosa pensa della creazione di un esercito comune dell’Unione Europea? Mi riferisco sia alla concreta possibilità reale costituirlo sia alle criticità o alle potenzialità che Lei vi scorge. Quali potrebbero essere le tempistiche di realizzazione, considerato che tale progetto viene parametrato su un conflitto in corso?

Un esercito dell’Unione Europea o comunque un esercito europeo unito sarebbe teoricamente indispensabile. Prima però è necessaria una politica della difesa comune europea, che adesso manca totalmente. È sotto gli occhi di tutti, non dico nulla di nuovo: ciascun Paese oggi va per conto suo. Al minimo agitarsi delle acque, ognuno corre ad afferrare il salvagente che più ritiene opportuno oppure cerca posizioni di forza nazionali, non europee. Eclatanti i casi di Francia e Regno Unito, che stanno tentando di sfruttare la propria posizione di vantaggio, disponendo dell’arma nucleare, per discutere con gli USA da una posizione maggior forza rispetto agli altri Paesi europei. Né Macron né Starmer hanno chiamato i ministri o i rappresentanti europei per proporgli di “andare insieme” a Washington a conferire col presidente americano. Ci sono andati da soli. Poi a noi cittadini dicono quello che gli pare, ed è questo l’altro problema.

Ci troviamo nella caverna di Platone, siamo nella situazione della favola del filosofo greco. Vediamo il mondo riflesso sulle pareti della grotta e non sappiamo come sia il mondo reale che c’è fuori. La realtà che vediamo distorta è fatta dai giganteschi interessi di carattere economico e politico. Purtroppo i media non aiutano a capire meglio ciò che accade davvero, ma deformano le notizie per gli scopi strettamente personalistici o di un certo gruppo. Tornando ora alla questione principale, ribadisco che un esercito comune europeo servirebbe solo se prima viene stabilita una politica della difesa comune europea. Uno strumento difensivo europeo comune dovrebbe essere basato sulla volontà di tutti i Paesi di contribuire in maniera unitaria a questo sforzo. Al momento invece siamo lontani da questo obiettivo, magari non lontani anni luce, ma milioni di chilometri sì.

– La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen continua a perorare l’utilizzo della forza per raggiungere la pace. Come considera queste parole?

– Vorrei commentare queste parole capovolgendo la battuta di Georges Clemenceau, che fu primo ministro francese agli inizi del ‘900. Diceva: La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari. Io direi: La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai politici. I politici hanno dimostrato di non sapere che cos’è la guerra. Non si rendono conto di cosa voglia dire, la intendono come se si potesse stare a casa propria mandando a morire gli altri, ed è ciò che hanno fatto fino ad oggi. E invece la guerra o la si fa seriamente oppure si devono prendere in considerazione altre soluzioni. Scusi se sono drastico, ma da militare ho una sorta di ribrezzo a dire “ti mando le armi e poi tu fai da solo”. Sappiamo infatti che le forze in gioco, anche dal punto di vista numerico, sono non equiparabili. E allora, facendo un altro paragone, non ha senso mandare migliaia di fucili a due assediati dentro una casa che sono circondati da centinaia di avversari.

I cittadini europei vengono informati male, perché i fini sono altri e oggi stanno venendo allo scoperto. Si sbandieravano la difesa della democrazia e dei valori dell’Occidente, ma i veri scopi non sono quelli. i fini sono diversi. Quasi dieci anni fa Mattarella a colloquio con Putin gli chiedeva in modo quasi accorato di intervenire per fermare gli scontri in Ucraina. Oggi i due capi di Stato sono ancora al loro posto, ma vediamo come le parole del presidente italiano siano cambiate di tono e di contenuto. All’epoca Mattarella non fu ascoltato né dai nostri politici né da Putin, il quale ha commesso l’errore di attaccare una nazione sovrana, pur avendolo fatto alla luce dei comportamenti che intorno a questa nazione stavano avvenendo. Evidentemente non giustifico Putin, dico solo che la sua colpa è di aver avviato le ostilità, ma non dovrebbe sedersi al banco degli imputati da solo.

– Pensa che continuando a utilizzare dichiarazioni belliciste, come stanno facendo la presidente dell’Eurocommissione e i leader di Francia e Gran Bretagna, possa condurre l’Europa al futuro tavolo delle trattative?

– Rispetto a sei mesi fa la situazione oggi è cambiata drasticamente. Sei mesi fa credevamo che l’unico “cattivo” fosse Putin, o almeno così lo dipingevano tutti. Oggi invece i cattivi sono due, lui e Trump. Detto in modo brutale, proprio come farebbe Trump, non c’è discussione! Lo ha detto da uomo d’affari: per arrivare alla pace dobbiamo metterci a parlare noi: americani e i russi. Magari gli ucraini possono esserci, purché si limitino ad ascoltare, a prendere appunti e poi a decidere da che parte stare.

È una guerra per procura, come aveva spiegato un professore universitario che avevamo intervistato?

– Sono d’accordo. Questa guerra per procura è cominciata, come spesso accade per le guerre, in maniera subdola. Iniziò nel 1991, poco dopo la caduta del Muro, quando l’Occidente credeva ancora che le ex Repubbliche sovietiche fossero facile terra di conquista. Solamente il mondo del business fece ciò che andava fatto, cioè tirare la Russia dalla nostra parte mediante gli scambi commerciali, industriali e di servizi, cioè con un rapporto che poteva essere proficuo per tutti. E invece i politici hanno ridotto la questione al confronto militare, cominciando a includere nella NATO gli Stati che erano sotto la sfera di influenza sovietica. In questo modo hanno indotto Mosca a pensare che fossero i prodromi di un possibile attacco alla Russia stessa. Ci ricordiamo quello che accadde a Cuba nel 1962 con la crisi dei missili? Gli americani non avrebbero mai tollerato dei missili sovietici a 150 miglia dalle proprie coste. Mai avrebbero tollerato che in Sudamerica vi fossero Paesi politicamente vicini all’URSS. Ci ricordiamo le operazioni della CIA in America Latina?

E allora la possibilità della Federazione Russa di avviare dialoghi con le nazioni sudamericane è limitatissima, perché è frenata da operazioni da parte della CIA e degli altri agenti nordamericani. Adesso invece ci scandalizziamo se Putin, alla guida di una superpotenza, quando sente battere con un piccone sulla porta di casa non invita alla calma i suoi dicendo di aspettare e vedere se quelli fuori  vogliono davvero fare irruzione oppure no. La reazione alla fine c’è stata. E non poteva non esserci! L’abbiamo spinta noi occidentali, anche se oggi ci lamentiamo che Putin che abbia chiamato in modo astuto il suo attacco come “operazione militare speciale”. Con questa definizione intendeva proprio dire che intervieniva in situazioni che gli occidentali non hanno voluto sanare. Senza tema di smentita si può dire che la grande sconfitta è l’Europa: se andiamo avanti così, finiremo stritolati tra Federazione Russa, Stati Uniti e Cina.

– Come vedrebbe dal punto di vista militare se Trump si defilasse dalle trattative e lasciasse l’Europa andare in guerra? Guardando l’evoluzione delle mappe, già ora si notano le difficoltà, addirittura il collasso di alcuni punti del fronte ucraino. Senza le armi americane gli europei potrebbero reggere il confronto?

– Non lo dico solo io, ma tutti i giornali e pure in televisione alcuni politici europei lo stanno ammettendo: stiamo finendo le riserve di armamenti e di munizioni. Di recente il generale Camporini ha detto che la Germania sta attuando in gran fretta, anzi proprio di corsa, un programma per avviare la produzione di munizionamenti per cannoni da 155mm. Noi invece dobbiamo ancora mettere su i nostri sistemi, ma la guerra non sarà tra 10 anni, è adesso. Ed ecco che ho risposto alla domanda. Non credo che l’Europa sia in grado di fronteggiare la situazione, a meno di non arrivare agli estremi di interventi che qualcuno sta già paventando: però le forze europee in campo in Ucraina sarebbero come il sale sulla ferita. Prego Iddio che a nessuno venga in mente di fare una cosa del genere.

– Lei intende anche nel caso in cui venisse concluso un accordo di pace? Non si dovrebbero avere forze di peacekeeping europee in Ucraina?

– Dipende da quello che accetteranno i soggetti che si siederanno al tavolo dei negoziati. Mi pare che al momento le nazioni europee non vengano citate. Al tavolo si vogliono sedere i russi e gli americani. Trump dice che vuole la pace,  ma bisogna prima vedere che pace vuole. Anzi, già sappiamo quale pace ha in mente, quella che comincia al primo articolo con la frase “America first”.

– Macron ha affermato che ci sono ragioni economiche che spingono Trump, che non è un accordo di pace ma un accordo commerciale. Allora è questa la pace che intende Trump?

– Era scontato. D’altra parte, anche la maggioranza degli italiani non ha mai creduto che il nostro impegno fosse davvero ispirato dalla difesa dell’Ucraina e dei valori occidentali, ma sa che si tratta della difesa di altri inteessi. Dovremmo ricordarci delle azioni della signora Victoria Nuland, che ebbi il piacere professionale di conoscere, “piacere” tra virgolette, quando lavoravo all’OSCE, Il suo atteggiamento è sempre quello che Trump mostra oggi. Si sono succeduti vari presidenti, ma chi sta ai posti di dirigenza la pensa esattamente come Trump: America first, poi a distanza vengono pure gli altri. La Nuland è sempre venuta in Europa avendo questo concetto in testa, operare affinché gli USA traessero il maggior beneficio possibile. Washington ha lavorato benissimo per ottenere questo risultato, gli va dato atto.

Sono ancora convinto, come lo ero due anni fa, che l’impatto più grosso sulla guerra non lo hanno le armi, ma la base informativa che gli USA coi loro sistemi danno costantemente agli ucraini. I sistemi informativi americani di tutti i tipi, da quelli tecnologici a quelli umani, sono inarrivabili. Se questi vengono a mancare, l’Ucraina si ritrova senza avere più la minima idea di come si muove l’avversario nelle retrovie. Dunque la sua situazione peggiorerebbe molto.

– Sul piano militare come giudica la situazione sul campo in Ucraina? Pensa che allungando il conflitto l’Europa rischi di mettere Kiev in una posizione di svantaggio o magari di vantaggio?

– Non vorrei essere troppo crudo, parlo solo a titolo personale. Stiamo combattendo una guerra con sistemi che sono estremamente più potenti di quelli che c’erano nella Seconda Guerra mondiale. All’epoca si tiravano le bombe un po’ su tutta l’Europa: americani e inglesi sull’Italia e sulla Germania, i tedeschi  sull’Inghilterra e poi sugli americani in Francia dopo lo sbarco degli Alleati. Ora invece si tirano tutte le bombe su un solo Paese, l’Ucraina, oltre a una minima parte sulle zone periferiche occidentali della Russia. Sento dolore per la popolazione ucraina, per le famiglie che devono lasciare la loro casa, per i ragazzi che andavano a scuola e ora sono dei profughi, per i giovani che sono costretti a combattere. Sono addolorato. Invece di sentire proposte di pace, continuo a sentire le dichiarazioni belliciste dei politici europei. Non dobbiamo alimentare la guerra, bensì alimentare la capacità difensiva ucraina. Vanno dati strumenti difensivi e nel contempo occorre portare avanti un discorso politico di “pacificazione” teso almeno fermare le ostilità. Solo dopo si deciderà come procedere.

Forze europee in Ucraina? Non ci vedrei nulla di sbagliato in linea di principio. Forse lo vedono i Paesi chiamati in causa, che sentono il rischio di dover mandare a combattere i propri ragazzi. Scusatemi se li chiamo così. In realtà chi va al fronte non è un semplice ragazzo, ma un uomo fatto, con le sue idee, va lì anche per degli ideali. Certo, è complicato trovare una soluzione, ma una soluzione va trovata! Andava trovata già prima che la guerra iniziasse. Adesso tutto è più difficile.

– Trump ha detto a Zelensky in modo grezzo e diretto, non diplomatico, che non ha le carte per poter negoziare. Protrarre la guerra per altri mesi, senza l’assistenza americana, significherebbe dover trattare una pace ancor meno “giusta”, come la chiamano in Europa? Se la Russia avanza ancora, come si fa a negoziare la cessione dei territori?

– Tutti sanno che senza il supporto informativo, bellico e militare a tutto tondo degli USA, la guerra non può andare avanti per molto. In Europa non lo dicono a voce troppo alta, ma lo sanno. E lo sa pure Macron.

– Crede quindi che sia un gioco per sedersi al tavolo con altri scopi?

– Certo. Questo gioco serve a tutti per raggiungere una posizione di forza. Il vertice fra Zelensky e Trump sembrava l’incontro fra uno che vuole cedere la sua macchina usata a un concessionario. Gli atteggiamenti e i modi sembravano proprio quelli: il venditore di automobili che compra l’auto usata prima la guarda con sospetto, poi la critica, ne evidenzia i difetti, la denigra e fa abbassare il prezzo. Trump ha fatto proprio così, cercando di mettere in difficoltà psicologica il suo interlocutore, dimenticandosi che era il presidente di uno Stato sovrano e che lui stesso niente meno che il presidente degli Stati Uniti. Invece forse pensa di essere ancora un uomo d’affari e nei vertici si comporta come nelle trattative commerciali e non come negli incontri diplomatici. Ma da presidente degli USA non può permetterselo.

– Biden si sarebbe comportato diversamente?

– Semplicemente non non sarebbe stato così brutale ed esplicito. Avrebbe continuato a fare proprio quello che stava facendo negli ultimi mesi del suo mandato. Avrebbe continuato finché la guerra non fosse stata sull’orlo del precipizio per l’Ucraina: a quel punto sarebbe intervenuto come un deus ex  machina proclamando che adesso avrebbe salvato gli ucraini. Avrebbe quindi avviato una trattativa che però per l’Ucraina sarebbe stata ancor peggiore che nelle circostanze attuali.

 

Marco Fontana
marco.fontana

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