Regno saudita baluardo contro il terrorismo. In Italia si sa, la memoria è corta

Regno saudita baluardo contro il terrorismo. In Italia si sa, la memoria è corta

4 Febbraio 2021 0

La trasferta in Arabia Saudita di Matteo Renzi e la sua partecipazione alla conferenza Future Investment Initiative nel bel mezzo della crisi del Conte bis, aveva suscitato un vespaio di polemiche sui social e non solo. Forte il disappunto per la vicinanza del leader di Iv al Paese che nel 2019 ha ricevuto critiche senza precedenti a livello internazionale, per il record di violazioni di diritti umani. Il barbaro assassinio del giornalista Jamal Khashoggi da parte di presunti agenti sauditi nell’ottobre 2018, che aveva fatto insorgere l’opinione pubblica mondiale, come anche «il triste trattamento riservato a dissidenti e attivisti per i diritti umani» rilevato nell’ultimo rapporto di Human rights watch (Hrw), rientrano in quel novero infelice. L’ultimo eclatante caso riguarda Loujain Al-Hathloul, la famosa paladina dei diritti delle donne nel regno Saud, animatrice del movimento “Women to drive” che si batte per la fine della tutela maschile obbligatoria e il diritto a guidare l’auto. Arrestata e portata in tre diverse carceri, ha iniziato lo sciopero della fame lo scorso ottobre per denunciare maltrattamenti, torture e violenza sessuale subiti durante la detenzione. Il 28 dicembre il tribunale penale speciale che si occupa di terrorismo, le infligge una condanna a 5 anni, di cui 2 anni e dieci mesi sospesi retrodatando l’inizio della pena al giorno dell’arresto. Alle violazioni dei diritti umani si aggiunge la delicata questione del conflitto in Yemen. Da guida di una massiccia coalizione formata da Egitto, Marocco, Senegal, Giordania, Sudan, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Egitto e Pakistan col supporto militare di Usa, Gran Bretagna e Francia (non facenti parte dell’alleanza, ma hanno fornito intelligence, armi e copertura politica), l’Arabia Saudita ha iniziato le operazioni militari contro le forze Houthi il 26 marzo 2015, commettendo «numerose violazioni del diritto internazionale umanitario», scrive ancora nel rapporto Hrw. Dall’inizio delle operazioni belliche la ong «ha documentato numerosi attacchi illegali da parte della coalizione che hanno colpito case, mercati, ospedali, scuole e moschee. Alcuni di questi attacchi possono costituire crimini di guerra». Su questo stesso tema è intervenuto a settembre 2019 pure l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, denunciando che sin dai primi giorni si contarono 7.508 vittime fra i civili e di questi 1.997 erano bambini. La maggior parte è stata colpita dagli attacchi aerei. «Tutte le parti (coinvolte nella guerra, ndr) hanno limitato la circolazione del personale e delle merci umanitarie – scriveva l’Alto commissario –. Tutti hanno attaccato giornalisti, operatori dei media e difensori dei diritti umani che svolgono il loro lavoro legittimo. Tutti sono stati coinvolti in detenzioni arbitrarie o illegali. Per le prospettive di pace e riconciliazione sostenibili è essenziale che i responsabili siano tenuti a renderne conto». Queste le considerazioni del rappresentante dell’Onu sul disastro umanitario nello Stato fra i più poveri al mondo. 

All’indomani della visita del leader di Iv nel Regno saudita, il governo italiano si affretta a firmare la risoluzione votata dal Parlamento a dicembre, revocando così le autorizzazioni in corso per l’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Uno stop di «oltre 12.700 ordigni – scrive Rete italiana per il disarmo -. Una vittoria storica». Un risultato indiscutibilmente apprezzabile rispetto ad «uno dei nostri alleati più importanti – è la definizione che ne da lo stesso ex premier parlando col Corriere della Sera -. Baluardo contro l’estremismo islamico, la forza politica ed economica più importante dell’area». Una dichiarazione che centra il tema. Alleato, commerciale, Riad lo è certamente visto che nel 2019, come riporta l’Ufficio studi di Confartigianato nel rapporto 2020, era il quinto fornitore di petrolio dell’Italia con l’8,1% di importazioni, dietro a Iraq (19,3%), Azerbaigian (16,8%), Russia (14,1%) e Libia (12,2%). Ancora, l’Osservatorio economico della Farnesina rileva che fra gennaio e giugno dello scorso anno, quindi in piena pandemia, Riad era al 9° posto per l’import di merci e al 29° quale cliente destinatario del made in Italy, per un valore complessivo di interscambio pari a 2.616 milioni di euro. L’incontro dell’ex sindaco di Firenze con il principe Mohammed Bin Salman non sembrava avere i contorni di una missione diplomatica, come quella svolta invece dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio del governo giallorosso lo scorso 10 gennaio, quando a Riad è ricevuto dalla stessa testa coronata ed dal capo della diplomazia saudita Faisal bin Farhan Al Saud. «Al centro dei colloqui – si legge nella nota della Farnesina – la Presidenza italiana del G20 e il contrasto al Covid-19, oltre che il rafforzamento delle relazioni economico-commerciali tra Italia e Arabia Saudita. A conclusione dell’incontro con il suo omologo saudita, i due Ministri hanno firmato un Memorandum of Understanding per l’avvio del dialogo strategico bilaterale Italia-Arabia Saudita». Nessun riferimento al blocco delle armi che l’Italia si apprestava a mettere in atto. 

Regno saudita baluardo contro il terrorismo. In Italia si sa, la memoria è corta: a febbraio 2019 la Commissione europea aveva aggiornato la black list dei sedici Paesi terzi, che avevano mostrato lacune negli apparati di contrasto al riciclaggio di capitali e al finanziamento del terrorismo, inserendo fra gli altri l’Arabia Saudita. Il rischio di terrorismo e del finanziamento  nel  Paese sono principalmente legati alla presenza di cellule di Al Qaeda, Daesh e di altri gruppi. Sebbene l’alleato strategico degli Usa abbia sviluppato una buona conoscenza dei rischi riciclaggio e di finanziamento al terrorismo utilizzando un’ampia gamma di informazioni, i sistemi d’intelligence finanziaria deficitano di sofisticate analisi a supporto delle indagini più complesse, come quelle legate appunto al riutilizzo di denaro sporco. Riad aveva mal digerito la mossa della Commissione, dichiarandosi “rammaricata”. Dopo neanche un mese, i governi degli ex 28 bocciano quell’elenco, per presunte pressioni da parte di Usa e dello stesso Regno. A Riad il senatore di Rignano sull’Arno si sofferma in paragoni fra l’Arabia Saudita e il Bel Paese: «Non posso parlare del costo del lavoro a Riad perché come italiano sono molto invidioso». Forse, dare una rapida occhiata al rapporto annuale “Trafficking in Persons 2020” del Dipartimento di Stato americano, potrebbe ridimensionare quell’invidia. Nel documento di 570 pagine, il focus riservato al Paese arabo evidenzia che «malgrado gli sforzi fatti, ha continuato a multare, imprigionare e/o bandire lavoratori immigrati per prostituzione o violazioni dell’immigrazione, molti dei quali potrebbero essere state vittime di tratta. Inoltre, i funzionari – si legge nel report – hanno regolarmente classificato erroneamente i potenziali crimini di traffico (di esseri umani, ndr) come violazioni amministrative del diritto del lavoro, piuttosto che come reati penali. Nonostante le modeste riforme iniziali, il sistema del lavoro dell’Arabia Saudita, basato sulla sponsorizzazione ha continuato ad esacerbare la vulnerabilità della tratta nelle grandi comunità di lavoratori migranti. Nel Gennaio 2017 – prosegue – i media hanno riferito che il governo ha arrestato e condannato un numero imprecisato di lavoratori edili migranti a quattro mesi di reclusione e fustigazione per aver protestato contro le mancate paghe da parte del datore di lavoro».

Marina Pupella
MarinaPupella

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