Prove di “pace” tra Hamas e Damasco. I dubbi delle opposizioni siriane
A dieci anni dall’interruzione ufficiale delle relazioni, Hamas annuncia di aver riallacciato con Damasco. A dichiararlo lo scorso 19 ottobre Khalil al-Hayya, capo delle relazioni arabe di Hamas, al termine dell’incontro nella capitale siriana con il presidente Bashar al-Assad.
Il gelo fra i due storici alleati era calato dopo che il movimento islamista palestinese aveva deciso di lasciare il Paese, per il sostegno offerto alle proteste di piazza represse nel sangue dal regime. L’organizzazione islamista, che fino al 2012 aveva una sede a Damasco, si sarebbe trasferita a Doha, scatenando la dura reazione dei media siriani che accusarono di opportunismo il movimento leader della Striscia di Gaza. Molti dei suoi rappresentanti avevano trovato rifugio nel Paese grazie al sostegno di Assad.
Prima del deflagrare della guerra, la Siria ospitava 560mila profughi divisi, come relaziona nel 2019 il Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e il lavoro per i rifugiati palestinesi (Unrwa) Pierre Krähenbüh, fra Aleppo, Homs, Hama, Latakia, Dara’a e Damasco, sede del campo profughi di Yarmouk, denominato dagli stessi abitanti “la nostra piccola Palestina”. Oggi rimangono circa 440mila palestinesi, gli altri sono fuggiti in Libano, Giordania e Turchia, grande sponsor di Hamas ai cui importanti membri ha fornito rifugio. Non è da escludere che nella riappacificazione fra il leader siriano e l’organizzazione palestinese, suggellata da robuste strette di mano e sorrisi al seguito, come mostrano le foto diffuse dall’agenzia di stampa governativa Sana, ci sarebbe anche il tentativo da parte di quest’ultima di tutelare e difendere gli interessi dei palestinesi rimasti nel paese.
Una “normalizzazione” in salsa araba dei rapporti fra i due che, secondo quanto riferisce l’agenzia governativa, giunge all’indomani di una serie di colloqui tenutisi ad Algeri la settimana precedente la due giorni della delegazione palestinese a Damasco. In Algeria Hamas ha imboccato la strada della riconciliazione pure con il suo rivale interno Fatah, promettendo le elezioni nel tentativo di risolvere una spaccatura durata 15 anni, causa di divisioni e di sfiducia della popolazione nei confronti della leadership palestinese. Quanto sarà destinato a durare questo anelito di unità fra le fazioni opposte è ancora presto per dirlo. Di certo c’è che da parte siriana, l’appoggio all’alleato ritrovato è assicurato dal vessillo della lotta per la resistenza, citata dallo stesso presidente Assad quale «principio e base per ripristinare i diritti», sottolineando che «la Siria com’è sempre stata conosciuta prima e dopo la guerra, rimarrà a sostegno della resistenza». Una narrazione dal sapore propagandistico quella del regime damasceno, che cita la resistenza pro domo sua, mentre con la violenza metteva a tacere la ribellione e la resistenza del suo popolo, che invocava libertà e dignità.
Dal conto suo la delegazione di Hamas ha affermato che la Siria rappresenta una pietra angolare e il nodo che tiene l’asse della “resistenza” contro Israele, “affermando che le fazioni palestinesi apprezzano il ruolo, l’importanza e i sacrifici della Siria”. Si esibisce così il rafforzamento dell’asse siriano – palestinese, laddove la fazione integralista considera Damasco la profondità strategica della Palestina, con “fazioni e partiti politici palestinesi che stanno fianco a fianco della Siria, nell’affrontare l’aggressione internazionale e il progetto statunitense e sionista”.
A ritenere che la riappacificazione sia solo una farsa, è un membro dell’opposizione, che desidera mantenere l’anonimato. «Sarebbe ingenuo pensare che Hamas abbia rotto i legami con il regime di Assad. L’organizzazione ha sempre seguito i dettami di Teheran e i suoi rapporti con Damasco non si sono di fatto mai interrotti, grazie al sostegno della Repubblica islamica e Hezbollah. Tutta la retorica che sta dietro all’asse dell’opposizione a Israele, si è rivelata in maniera plastica con l’accordo sui confini marittimi nel Mediterraneo orientale, siglato proprio in questi giorni fra Beirut e Tel Aviv, ufficialmente mediato dagli Stati Uniti. Ma senza il bene placido di Hezbollah, il negoziato non sarebbe andato a buon fine. La riconciliazione – prosegue la fonte – è solo uno specchietto per le allodole, vista la politica di Damasco contro i palestinesi in Siria e in Libano. Basti ricordare la sorte dei profughi del campo di Yarmuk, posto sotto l’assedio del regime dal 2013 al 2018, che causò decine di vittime e portò alla fame i sopravvissuti».
Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.