Problemi nella NATO: la Turchia fa il suo gioco, ma la Grecia non gradisce
Si parla da anni degli sforzi di Erdoğan di restaurare l’antica potenza ottomana. Forse è una visione eccessiva, ma certamente il presidente turco sta aumentando la forza e il prestigio del suo Paese anche a discapito dei limiti – formali e sostanziali – che impone l’appartenenza all’Alleanza Atlantica. Di tutti i membri della NATO, è la Grecia a gradire di meno l’espansionismo di Ankara.
Il nuovo sultano
In modo serio o caricaturale, in tanti parlano di Erdoğan come di un nuovo sultano che sogna il ritorno dell’Impero Ottomano. Ovvio, è qualcosa di totalmente incompatibile col concetto di Europa tanto sbandierato da Bruxelles, ma il massimo che viene fatto è tenere Ankara fuori dall’Unione, nonostante da decenni chieda di entrare. A livello di NATO, invece, la Turchia riceve appena qualche contestazione, sempre superata con scaltrezza da Erdoğan. Svezia e Finlandia, ad esempio, hanno ceduto in modo piuttosto rapido agli interessi di realpolitik avanzati dal presidente turco. Hanno così messo da parte le loro rimostranze sulle violazioni dei diritti umani in cambio dell’assenso di Ankara al loro ingresso nell’Alleanza Atlantica. Vi sono ancora delle difficoltà solo nei confronti di un membro di lunga data della NATO, la Grecia, con cui le diatribe politiche e territoriali sono molto profonde.
L’espansionismo turco
L’impegno internazionale di Erdoğan serve anche come strumento per riaffermare la presa sul panorama politico nazionale, che ultimamente si è indebolita, come dimostrano le proteste di piazza a favore del sindaco di Istanbul, temuto dal governo come potenziale rivale del presidente. Se i suoi sforzi di diventare lo storico mediatore fra Russia e Ucraina sono rimasti frustrati, ora Erdoğan cerca di imporsi come figura di riferimento nei Balcani. Il suo lavoro in questa direzione era cominciato lo scorso anno, quando era andato a Tirana per inaugurare un’imponente moschea, lautamente finanziata proprio dallo Stato turco. Parallelamente ha promosso con l’Albania degli accordi di cooperazione economica e militare, firmati anche con altri due Paesi a ridosso della Grecia: Macedonia del Nord e Kosovo. Peraltro, l’approccio turco qui può essere abilmente mascherato da interesse religioso, perché si tratta di Paesi con una grossa componente musulmana.
Gli interessi di Ankara
Tali accordi bilaterali, firmati lo scorso autunno, sono oggi in dirittura d’arrivo presso il parlamento che li deve ratificare. Banalmente (e molto proficuamente) si scorge anzitutto l’interesse economico di vendere a Paesi esteri gli armamenti prodotti dalle industrie nazionali: razzi, sistemi missilistici, attrezzature belliche, droni per operazioni terrestri e marittime, tutto realizzato in Turchia. In particolare gli ormai celebri Bayraktar, i droni fabbricati dall’azienda appartenente al genero di Erdoğan, la Baykar. Facile vedere addirittura un interesse di carattere privato e familiare per il presidente turco, davvero quasi come un sultano. Ma sarebbe sbagliato interpretare l’intera vicenda come un fatto personale. Oltre alla vendita di armamenti e materiali, i patti riguardano anche addestramento, esercitazioni congiunte, scambio di intelligence, cyber-difesa e missioni di peacekeeping o di risposta a disastri naturali o umanitari.
La strategia turca
Nel medio e nel lungo termine, questi accordi costituiscono per Ankara una piattaforma che renderà la cooperazione ancora più estesa e profonda senza l’obbligo di ottenere di nuovo l’approvazione parlamentare. In questo modo si evita altresì di dover rendere pubblici i dettagli dei patti. Insomma, sotto tutti gli aspetti si tratta di un bel modo per i turchi di entrare nei Balcani dalla porta principale e senza che i greci possano obiettare nella forma. E se obiettano nella sostanza, adesso dovranno contestare non solo la Turchia, ma altri tre Stati, di cui due confinanti. E Ankara gioca pure la carta confessionale, descrivendo descrivendo la minoranza musulmana in Grecia come oppressa sul piano religioso. Dunque, il lavoro di soft power di Erdoğan non sarà magari un tentativo di ricreare un impero, ma certamente lo è di circondare politicamente e militarmente l’avversario di sempre, la Grecia, per renderla innocua.
Le preoccupazioni della Grecia
O almeno è così che ad Atene vedono la situazione. La presenza strategica dei turchi nei Balcani è una maniera di fare pressione sulla Grecia e distogliere le sue forze dalla storica area di scontro fra i due Paesi: il Mar Egeo e le sue numerose isole. Atene vi ha installato missili e vi ha piazzato arsenali con armamenti diversi. Il tema della difesa da una possibile aggressione turca è infatti molto sentito dalla popolazione greca, che aveva reagito con stizza alla decisione del governo nel 2022 di donare a Kiev mezzi corazzati, sistemi missilistici, fucili, granate e munizioni. In maggioranza i greci preferivano avere un atteggiamento neutrale nella questione ucraina, ma si sono sentiti presi in giro perché solo qualche settimana prima Atene aveva rassicurato di non volersi indebolire rispetto alla minaccia turca sempre sullo sfondo. La Turchia stava intensificando le rivendicazioni sull’Egeo.
Rivendicazioni e protagonismo
Talvolta i vertici turchi non cercano nemmeno tanto di nascondere i cattivi pensieri, tenuti temporaneamente a bada. Si pensi a Masum Türker, ex ministro dell’Economia, che tre anni fa in televisione dichiarava la necessità di condurre “operazioni di pulizia” negli arcipelaghi dell’Egeo, facendo intervenire la Marina per mettere fine all’incertezza nella situazione con la Grecia. Al giornalista che gli faceva notare che ciò avrebbe scatenato una guerra, rispondeva che non sarebbe stata a tutti gli effetti un conflitto armato, aggiungendo comunque che se ve ne fosse stato il bisogno, si sarebbe andati a combattere per difendere i diritti sanciti dal Trattato di Losanna.
Ankara infatti considera iniqua la suddivisione delle zone economiche esclusive nel Mar Egeo. Se si pensa poi che in quella zona si trovano giacimenti di gas e petrolio, il quadro si schiarisce immediatamente. Gli accordi di cooperazione con Albania, Kosovo e Macedonia del Nord possono quindi essere visti come un modo per circondare la Grecia e per inserirsi nei Balcani da protagonisti. In tale regione, storicamente complessa e difficile da gestire per la NATO, Erdoğan vi ottiene rispetto a Bruxelles ulteriori margini di manovra per perseguire la propria politica e i propri interessi nazionali.

Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.