Da Bruxelles i soliti grandi proclami, ma nei fatti importeremo ancora a lungo il gas russo
Mentre Washington normalizza le relazioni con Mosca – e si parla addirittura di riaprire il Nord Stream – Bruxelles strepita contro il gas russo. La UE dice che smetterà di importarlo entro il 2027, ma intanto i Paesi membri di combustibile siberiano ne comprano ancora parecchio. E comprano pure quello della Gran Bretagna, tanto vituperata per essere uscita dall’Unione, e della Norvegia, che invece nessuno critica per non voler nemmeno pensare di entrarci. Le solite contraddizioni del nostro povero Vecchio Continente.
Europa, adelante con juicio
Avanti piano con l’eliminazione delle forniture energetiche russe. Gli europeisti e i filo-ucraini ci mettono molto impegno nel ripetere certi slogan, ma non sempre una bugia ripetuta all’infinito poi diventa verità. Il freddo e le necessità industriali sono più forti delle convinzioni politiche… Quindi si procede con cautela nella diminuzione dell’import di combustibile siberiano. Anzi alcuni Stati membri vorrebbero invertire la tendenza. Adelante con juicio, presidente von der Leyen, altrimenti nessuno la segue! Infatti i Paesi europei, pur con qualche limitazione, possono ancora comprare dalla Russia il petrolio e il gas naturale liquefatto. Dal consuntivo del 2024 risulta addirittura che le importazioni complessive siano cresciute, soprattutto grazie alle quote di Italia, Francia e Repubblica Ceca. E nelle trattative d’Arabia sull’Ucraina è entrato pure il tema della riapertura del Nord Stream. Se davvero il gasdotto dovesse riprendere a funzionare, cambierebbe di colpo tutto lo scenario allestito finora dall’Eurocommissione.
E ReArm?
Avanti con giudizio anche per non mandare subito all’aria il grande progetto di riarmo continentale, lanciato in pompa magna da Bruxelles. Senza sufficiente combustibile, come si pensa di far funzionare le fabbriche di armi per le esigenze del ReArm, pardon, del Readiness 2030? Certo, sono tanti i fattori in gioco. La questione non si limita al comprare o meno il gas russo per usarlo negli impianti che producono armi per difenderci… dalla Russia. Ridotta ai minimi termine, la vicenda è ridicola proprio come appare, ma altri elementi la rendono più complessa.
Ma più elementi consideriamo, più problemi sorgono. Per esempio, il fatto che l’Europa dica di rinunciare al gas russo, sebbene poi ne compri il petrolio. Oppure il fatto di importare idrocarburi dal Regno Unito e dalla Norvegia, che fanno parte della NATO, ma non della UE, e Oslo sta diminuendo l’estrazione di gas. E inoltre, il fatto che la Russia aumenti le esportazioni verso altri mercati: un giorno potrebbe essa stessa rifiutare di vendere il combustibile all’Europa, dando così all’economia continentale una mazzata che sarebbe peggiore di un attacco armato.
Molta indecisione
L’obiettivo dichiarato resta quello di cessare totalmente l’importazione di gas siberiano entro il 2027. Ad oggi, però, manca una scaletta completa e dettagliata che mostri i passi da intraprendere concretamente. E dire che adesso a gestire l’eurocarrozzone vi è la Polonia, alla presidenza del Consiglio UE fino a giugno 2025, oltre naturalmente alla Commissione guidata dalla von der Leyen e dalla Kallas. Di tali soggetti si può dire tutto tranne che siano amici della Russia o disponibili a un dialogo pacifico e costruttivo col Cremlino.
Così, i bastoni fra le ruote Bruxelles se li mette da sola. Infatti è impossibile raggiungere la sicurezza energetica senza prima possedere un sistema esteso e ben rodato di produzione e distribuzione dell’energia da fonti rinnovabili. Fino a quel momento (e nessuno sa se e quando arriverà) non si potrà ignorare la Russia. E nessuno intende ignorarla, al punto che lo stesso Trump ha accusato l’Europa di spendere più denaro per l’acquisto di gas e petrolio russi che per sostenere l’Ucraina. Un’affermazione forse provocatoria, ma non del tutto errata. Infatti, considerando solo i dati della Commissione, l’assistenza all’Ucraina è costata alla UE il 35% in meno che non le importazioni energetiche dalla Russia. Se invece si guardano altre statistiche, come quella del Kiel Institute, e si tiene conto del contributo di Paesi non membri come Svizzera e Islanda, allora le parole di Trump appaiono fuorvianti, ma non lontane dalla verità.
La pacchia norvegese
Uno dei Paesi che beneficia più di tutti dalla lotta della UE contro Mosca è la Norvegia. Mentre il mainstream crocifigge gli euroscettici, nessuno stranamente criticato mai Oslo per non aderire né all’Unione Europea né tanto meno all’euro. In compenso, la sua influenza sul continente è aumentata assai dal punto di vista energetico, perché oggi si ritrova ad essere uno dei fornitori principali in sostituzione di Gazprom.
Ed è influente anche a livello militare, perché sostiene lo sforzo bellico ucraino e da membro NATO confinante con la Russia oggi vuole riarmarsi pesantemente. I conflitti di interessi appaiono evidenti: più la guerra continua, più la Norvegia rafforza la presa sul mercato europeo e fa lavorare il suo complesso militare-industriale. Eppure la pacchia non sembra poter durare in eterno. I numeri parlano già di una flessione delle estrazioni di gas e delle esportazioni verso l’Europa, senza considerare che le trattative promosse dagli americani, che stanno avvicinando la fine del conflitto.

Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.