Praga ha un nuovo premier contrario all’Ucraina nella UE e agli aiuti militari
In Repubblica Ceca ha vinto le elezioni parlamentari del 3 e 4 ottobre il partito ANO dell’ex premier Andrej Babiš. Il suo ritorno al vertice è caratterizzato dall’atteggiamento critico verso l’Unione Europea e dalla promessa di togliere la priorità agli aiuti militari e umanitari per l’Ucraina.
Vittoria non larga
Il partito di Babiš si era presentato da favorito alla tornata elettorale, grazie anche al calo di gradimento dei cittadini verso il governo di Petr Fiala. Tuttavia la vittoria di ANO non è stata larga: soltanto il 34,52%, che corrisponde a 80 seggi sui 200 della Camera dei Deputati (Poslanecká sněmovna) di Praga. In altre parole, per creare un governo durevole c’è bisogno di formare una coalizione o almeno ricevere l’appoggio esterno di altri partiti. Si tratta comunque di un trionfo, secondo Babiš, che era stato primo ministro dal 2017 al 2021 per poi essere battuto dai politici filo-UE. Sembrava la fine del suo percorso. Invece ha continuato la sua battaglia stando all’opposizione e oggi il 71enne afferma: Per me è l’apice della mia carriera politica.
I futuri rapporti con la UE
Il premier ungherese Viktor Orbán è stato il primo a congratularsi con lui. I due spingono a Strasburgo per mettere insieme i rispettivi europarlamentari e altri “patrioti” dei vari Paesi nel nome dei valori conservatori e obiettivi comuni quali la resistenza alle politiche migratorie e green di Bruxelles e la promozione della sovranità nazionale contro quella delle istituzioni sovrastatali. Nei palazzi del potere UE vi è preoccupazione, non panico: alcuni euroburocati dicono che il nuovo approccio ceco sarà critico, ma pragmatico, e che Babiš “non è un altro Fico o Orbán”. Secondo Filip Nerad del centro studi Globsec, infatti, il premier ceco non è totalmente allineato con Budapest o Bratislava, ma intende cooperare con Bruxelles pur mantenendo un atteggiamento scettico verso l’accoglienza dei migranti e la transizione ecologica. Anche per il professore di relazioni internazionali dell’Università Carolina di Tomáš Weiss, il suo approccio sarà pratico e senza ostacoli troppo ingombranti.
No all’Ucraina nella UE
Su alcuni punti il partito di Babiš è inflessibile, a partire dall’ingresso di Kiev nell’Unione Europea. La sua posizione è chiara: l’Ucraina membro della UE sarebbe “una catastrofe completa”. Kiev non è ancora pronta e deve anzitutto mettere fine alle ostilità. La porta per la cooperazione è sempre aperta, puntualizza il nuovo premier, ma Praga d’ora in avanti limiterà il sostegno materiale. I cechi aiutano già l’Ucraina tramite la UE, nel quadro nel bilancio europeo, “nel quale versiamo già molti soldi”, dice Babiš. Cercherà di smettere del tutto con l’assistenza militare, aderendo così alla posizione di Ungheria e Slovacchia, le quali si oppongono alle sanzioni anti-russe e continuano ad acquistare gas e petrolio da Mosca. È ragionevole attendersi che i soldati cechi non parteciperanno alle eventuali missioni europee di peacekeeping delineate dalla Coalizione dei Volenterosi. Anzi, Praga si opporrà all’aumento della spesa per la difesa in ambito NATO.
Implicazioni per gli aiuti militari a Kiev
Praga è sempre stata fra i principali sostenitori dello sforzo bellico di Kiev: certamente non in termini assoluti – dunque meno di Germania o Gran Bretagna – ma il suo impegno è stato grande in proporzione alle dimensioni del Paese. La Repubblica Ceca infatti non solo ha dato asilo a mezzo milione di rifugiati ucraini, dei quali 300mila risiedono ancora sul suo territorio, ma soprattutto ha concesso carrarmati, sistemi missilistici, elicotteri e varie attrezzature militari. Ora invece cercherà di abbondonerà appena possibile l’iniziativa promossa dal precedente governo per l’acquisto di munizioni a beneficio dell’esercito ucraino. Il suo ruolo finora è stato importante, perché funge da intermediario di 15 Paesi nella fornitura di munizioni raccolte sui mercati internazionali. Lo stesso Zelensky ha lodato tale programma per i suoi ottimi risultati sul campo. Ma il nuovo governo vorrebbe cancellarlo.

Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana.

