Perché i leader europei stanno sabotando le trattative di pace sull’Ucraina?

Perché i leader europei stanno sabotando le trattative di pace sull’Ucraina?

15 Settembre 2025 0

Sembra che le lezioni della storia del XX secolo e di quella più recente non abbiano davvero insegnato nulla ai governi occidentali. Il comportamento di certi leader europei vada contro la logica e il desiderio di pace da loro dichiarato. Il Responsible Statecraft propone un’analisi della situazione con particolare riferimento alla proposta di dispiegamento delle truppe europee su suolo ucraino.

Risultati deludenti del vertice

Dopo il vertice della Coalizione dei Volenterosi di Parigi, 26 Paesi dovrebbero aver concordato di contribuire in qualche maniera a una forza militare da dispiegare sul territorio ucraino a ostilità concluse. Tre settimane prima, alla conferenza stampa del summit di Anchorage, il presidente russo Putin aveva fatto notare come la sicurezza di Kiev dovesse essere garantita in quanto parte di un accordo negoziato. Ma i funzionari del Cremlino hanno poi ripetuto che non avrebbe potuto avere la forma di truppe operative occidentali stanziate in Ucraina. Subito dopo l’incontro della settimana scorsa, Putin ha alzato la posta dichiarando che i soldati stranieri là presenti sarebbero diventati obiettivi legittimi per l’esercito russo. Resta la questione del perché i leader europei si incaponiscano con dei piani che, se effettivamente attuati, li metterebbero direttamente a rischio di guerra con la più grande potenza nucleare del mondo. La risposta è preoccupante.

Oltrepassare le linee rosse

Una possibilità è rappresentata dalla credibilità delle dichiarazioni dei russi. Putin si era già impegnato nelle fasi precedenti del conflitto a mandare dei segnali nucleari, in particolare quando ha lanciato l’operazione speciale e dopo aver subito delle battute d’arresto nell’autunno 2022. Sebbene tali segnali siano riusciti nella deterrenza contro l’Occidente dall’intervenire direttamente nel conflitto, la percezione che i Paesi occidentali possano oltrepassare le presunte linee rosse di Mosca senza provocare una risposta potrebbe aver diminuito il potere di deterrenza delle minacce successive. Altra cosa è l’approccio normativo occidentale che esiste da lungo tempo sulle istanze relative alla sicurezza in Europa dalla fine della Guerra Fredda. Tale visione, manifestata appena qualche giorno fa dal segretario generale della NATO Mark Rutte, insiste sul fatto che Mosca non possa detenere il veto sul diritto sovrano di Kiev di accettare truppe straniere sul proprio suolo.

La Carta di Parigi

Il diritto degli Stati di scegliere liberamente le proprie alleanze di sicurezza, un principio delineato nella Carta di Parigi che mise di fatto termine alla Guerra Fredda, viene spesso citato a supporto di questa visione. Naturalmente citare principi è stato di scarso effetto nell’impedire alla Russia di prendere nelle proprie mani la questione nel febbraio 2022. I precedenti sforzi per negarle il veto sul principio, come il summit di Bucarest del 2008 nel quale Ucraina e Georgia erano state invitate ad aderire alla NATO, erano stati un presagio dell’invasione della Georgia avvenuta qualche meso dopo.

Gli strenui difensori del “diritto di scelta” hanno pure convenientemente ignorato il principio di sicurezza indivisibile, contenuto anch’esso nella Carta di Parigi, il quale asserisce che nessuno Stato dovrebbe prendere misure per aumentare la propria sicurezza a scapito della sicurezza di un altro Stato. Inoltre minimizzano il fatto che l’adesione di Kiev all’Alleanza Atlantica dipenda in ultima analisi dalla decisione degli attuali membri, non della sua. Detto ciò, qual è il pensiero strategico sottostante l’approccio europeo?

La “forza di rassicurazione”

Nonostante alcuni propongano l’opposto, qualsiasi “forza di rassicurazione” sarebbe dislocata in Ucraina dopo che gli scontri si saranno fermati. Dunque, a meno che i piani attualmente in fase di studio non siano solamente una mossa di apertura nelle negoziazioni con Mosca, insistere sulla presenza militare occidentale sul suolo ucraino da impiegare non appena la tregua entra in vigore dà alla Russia ogni stimolo per continuare a combattere in modo da prevenire un tale esito. Quindi battere ripetutamente contro le obiezioni russe sul punto che una tale forza prenderà forma suggerisce che le esortazioni europee al cessate-il-fuoco non sono totalmente sincere.

Infatti i leader europei non si esprimevano per far terminare la guerra prima che Trump tornasse alla Casa Bianca, ma hanno iniziato a invocare la pace solo dopo che il presidente americano ha convinto Zelensky a chiedere una tregua incondizionata di 30 giorni, lasciandoli così con poche opzioni se non allinearsi, data la pesante dipendenza europea dagli USA per la sicurezza continentale. Poiché la Russia non accetterà mai un cessate-il-fuoco del genere prima di raggiungere i propri obiettivi politici, invocarlo serve solo all’obiettivo tattico di dipingere Mosca come l’ostacolo principale alla pace, peraltro non del tutto ingiustamente.

Convinzione o convenienza?

Tenendo a mente questi punti, le richieste europee di tregua appaiono fondate non su una convinzione, ma su una convenienza. Il proposito reale della coalizione per il dispiegamento di truppe a ostilità terminate vuole forse sabotare la possibilità di trattative efficaci per mettere fine alla guerra. Ciò coinciderebbe con altri aspetti dell’attuale approccio dell’Europa. Ad esempio minacciare altre sanzioni antirusse senza però avanzare alcun incentivo realistico per alleviarle. Tale conclusione non deve sorprendere. Sebbene l’Ucraina stia progressivamente perdendo sul campo, le élite europee oggi ritengono in maggior parte che un cattivo accordo sia peggio che non invece proseguire nel conflitto.

Forse sono convinte che Kiev sia in grado di tenere il fronte abbastanza a lungo finché le perdite russe siano troppo o l’economia russa crolli. O forse temono che la perdita percepita dello status che giungerebbe da un dietrofront e da una pace di compromesso con Mosca. Più cinicamente, se anche i russi sfondassero le linee ucraine, ciò rafforzerebbe l’unità europea e convincerebbe finalmente i cittadini a spendere di più per la difesa. E Mosca non sarebbe comunque in grado di governare un’Ucraina recalcitrante.

Gasdotti e mondo multipolare

I governanti europei dovrebbero pensarci due volte prima di puntare tutto su tale logica. Il memorandum annunciato recentemente sul gasdotto Power of Siberia 2, se realizzato, potrebbe consolidare la svolta russa verso la Cina sul lungo periodo. Significherebbe infatti dare a Pechino quel gas della Siberia occidentale che potrebbe invece andare ai mercati europei. Oltre ai rischi di escalation militare, una guerra prolungata e la connessa rottura delle relazioni economiche fra Mosca e il resto d’Europa potrebbe generare conseguenze strategiche che per ora non sono indefinite e che sarebbe meglio evitare.

La Russia sarà un avversario dell’Occidente collettivo nel prossimo futuro. Riuscire a costruire un mondo multipolare richiede la creazione di uno spazio strategico che coinvolga almeno in un certo grado tutti i centri di potere. Un mondo di rigidi blocchi non deve essere una profezia che si auto-realizza. Rovinerebbe la sopravvivenza dell’ordine basato sulle regole più che il disaccordo sull’integrità territoriale dell’Ucraina e l’inizio dell’arduo compito di riedificare un senso condiviso di sicurezza in Europa.

Redazione Strumenti Politici
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