Otto condanne a morte in Tunisia per l’omicidio politico di Mohamed Brahmi
Otto uomini, militanti jihadisti salafiti, sono stati condannati a morte in Tunisia per l’assassinio del politico di sinistra Mohamed Brahmi, avvenuto nel 2013. La sentenza, emessa dal tribunale specializzato in casi di terrorismo di Tunisi, ha riconosciuto gli imputati colpevoli di aver pianificato e compiuto un atto terroristico volto a destabilizzare il Paese e a incitare al caos. Tre dei condannati hanno ricevuto una seconda condanna a morte per omicidio premeditato. Un nono imputato, attualmente latitante, è stato condannato a cinque anni di reclusione.
Un periodo di profonda transizione politica
L’assassinio di Mohamed Brahmi, avvenuto il 25 luglio 2013, ha scosso profondamente la Tunisia, avvenendo in un periodo di transizione politica delicata. Brahmi, deputato dell’Assemblea costituente e noto critico degli islamisti al potere, fu ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla sua abitazione ad Ariana, agglomerato urbano dell’area metropolitana di Tunisi, davanti alla moglie e i suoi figli da due uomini in motocicletta. Il suo omicidio seguì di pochi mesi quello di un altro esponente della sinistra tunisina, Chokri Belaid, creando un clima di forte tensione e paura nel Paese. Brahmi era il fondatore ed ex leader del Movimento popolare che, sotto la sua guida, ha vinto due seggi alle elezioni costituenti nel 2011.
Il ministro degli Interni d’allora, Lotfi Ben Jeddou, ha dichiarato in una conferenza stampa all’epoca dei fatti che “la stessa arma automatica da 9 mm che ha ucciso Belaid ha ucciso anche Brahmi”. Il 26 marzo il tribunale di Tunisi ha condannato a morte quattro persone e due all’ergastolo per l’assassinio di Belaid. Il fascicolo ha visto indagati 23 individui, tra organizzatori, mediatori e sicari, per i quali sono state comminate condanne da due a 120 anni cumulative, mentre cinque sono stati assolti.
Le indagini
Le indagini sull’omicidio Brahmi hanno portato all’arresto di diversi sospettati, tutti legati a gruppi jihadisti salafiti. Il processo, durato anni, ha visto l’audizione di numerosi testimoni e l’esame di prove che hanno confermato il coinvolgimento degli imputati nell’omicidio, rivelando pericolose infiltrazioni nell’apparato di sicurezza e giudiziario del Paese. Bechir Akremi, il primo giudice istruttore e pubblico ministero, titolare delle indagini degli assassini di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, presso il tribunale di primo grado di Tunisi, è stato recentemente deferito alla sezione penale del Tribunale di primo grado di Tunisi con l’accusa di “falsificazione, uso e occultamento di prove”.
Il 22 aprile 2024, il primo giudice istruttore del polo giudiziario per la lotta al terrorismo ha informato l’ex pubblico ministero del tribunale di primo grado di Tunisi, Bechir Akremi, e il leader di Ennahdha, Habib Ellouze, della chiusura delle indagini su di loro e la trasmissione del fascicolo alla camera d’accusa competente presso la Corte d’appello di Tunisi. Il gip aveva emesso mandati di arresto nei confronti di Akremi ed Ellouze, nell’ambito di un’indagine dell’antiterrorismo, in relazione a casi giudiziari di responsabilità di Akremi quando ricopriva l’incarico di giudice istruttore presso lo stesso polo giudiziario in particolare nel caso dell’omicidio politico di Chokri Belaid.
L’evasione
Un’evasione di cinque detenuti, classificati come pericolosi terroristi, dal carcere di massima sicurezza di Mornaguia, alle porte di Tunisi, ha tenuto con il fiato sospeso le autorità tunisine lo scorso settembre. I cinque evasi, tra cui Ahmed Melki, soprannominato “il somalo”, già condannato come autore materiale degli assassinii, sono stati tutti catturati dalla polizia nel giro di una settimana.
Un ruolo fondamentale nella cattura di Melki è stato svolto dai cittadini del quartiere popolare di Ettadhamen, che hanno fornito informazioni utili alle forze dell’ordine. Le indagini sulla fuga, coordinate dal gip del polo giudiziario per la lotta al terrorismo, hanno portato all’emissione di mandati di arresto non solo nei confronti dei cinque evasi, ma anche della moglie di uno di essi e di una ventina di dipendenti pubblici e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria tunisina, sospettati di complicità. Sebbene la pena di morte sia prevista dal codice penale tunisino, dal 1991 è in vigore una moratoria de facto sulle esecuzioni. L’opinione pubblica ha accolto con favore la sentenza, considerandola un atto di giustizia per l’omicidio di Brahmi. Il suo omicidio e la successiva condanna dei responsabili rappresentano un capitolo importante nella storia recente della Tunisia, segnata dalla lotta al terrorismo e dalla difficile transizione verso la democrazia.

Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.