Niente accordo coi creditori: Ucraina di nuovo a rischio bancarotta
Il 24 aprile il governo di Kiev ha annunciato di non essere riuscito a concludere un accordo coi suoi creditori sulla ristrutturazione del debito pubblico per una somma equivalente a 2,6 miliardi di dollari. Ora il default si riaffaccia nuovamente all’orizzonte come una possibilità concreta.
Faranno in tempo?
Zelensky ha a diposizione ancora poche settimane per trovare il modo di ottenere un’altra dilazione al pagamento della tranche debitoria da 600 milioni di dollari, che scade il 31 maggio. L’alternativa, come detto, è il default. I relativi colloqui di aprile tenutisi a Washington non hanno dato risultati positivi in tale prospettiva. Il governo ucraino non era in condizione di accettare le proposte dei creditori e dunque le ha declinate. Ha poi promesso di continuare a lavorare con loro per individuare altre strade percorribili che portino alla ristrutturazione del debito.
Così, Kiev potrebbe presto vedersi costretta a decidere per la bancarotta, non potendo pagare i 600 milioni dovuti. Solo un accordo sulla ristrutturazione entro la fine maggio la salverebbe. Un eufemismo per dire che prolungherebbe l’agonia ancora per un po’, in attesa di qualche miracolo o forse di un cambiamento radicale della struttura stessa dello Stato ucraino.
Le previsioni dell’FMI
I 2,6 miliardi sui quali non si è trovata l’intesa derivano dai cosiddetti “warrant sul PIL”, strumenti creditizi che garantiscono cedole agli investitori qualora la crescita economica reale superi il 3% annuo. L’Ucraina li aveva emessi per agevolare la ristrutturazione del debito nel 2015 e hanno una scadenza fissata al 2041. Si è tornati a discuterne perché i dati del 2023 hanno mostrato una crescita del 5,5%. Tuttavia, secondo il ministro delle Finanze Serhii Marchenko non si era trattato di un miglioramento reale dell’economia, ma soltanto di una debole ripresa rispetto al crollo del 30% causato dal conflitto. Quegli warrant, spiega, erano stati concepiti per un mondo che oggi non esiste più. Aggiunge che tali strumenti finanziari non devono diventare un ostacolo al nostro recupero. Il nostro obiettivo è di ottenere una soluzione equa e completa alla questione.
Attenzione però: il Fondo Monetario Internazionale avverte che se prima o poi non si trova un’intesa sugli warrant c’è il rischio di danneggiare le prossime trattative sulla ristrutturazione del debito pubblico, soprattutto il programma da 15,6 miliardi che costituisce il cosiddetto “dispositivo di finanziamento esteso” (Extended Fund Facility). Intanto, l’FMI prevede altresì che il debito pubblico ucraino cresca nel 2025 di un altro 110% rispetto al PIL. I dati del Ministero delle Finanze dicono che a marzo che il debito pubblico e il debito garantito dallo Stato sono cresciuti di più di 100 miliardi di grivne, corrispondenti a circa 2,64 miliardi di dollari.
Qualche spiraglio dall’accordo sulle risorse
Fra i vari modi con cui Zelensky cerca di tenersi aggrappato all’Occidente per non perdere il potere e per non far saltare del tutto l’economia del suo Paese, è riuscito finalmente a concludere l’ormai famigerato “accordo sulle terre rare”. Dopo mesi di tira e molla, accuse incrociate e vertici surreali, i rappresentanti di USA e Ucraina hanno apposto la firma sul documento, ora reso pubblico da Kiev. Trump inizialmente voleva che l’Ucraina ripagasse i 350 miliardi di dollari di aiuti finora concessi da Washington. Ma Zelensky ha detto no. In effetti sembra che nella versione finale dell’accordo non vi sia riferimento all’appianamento di tale debito, o almeno è quanto afferma il primo ministro ucraino Denys Shmyhal. Il vice capo di Gabinetto della Casa Bianca Stephen Miller ha invece descritto il trattato come una restituzione delle centinaia di miliardi di dollari con cui i contribuenti americani hanno finanziato la guerra.
Non solo minerali
Al centro dell’intesa vi sono le risorse naturali dell’Ucraina, la quale rimarrà titolare di esse, ma gli USA vi avranno accesso congiunto. Non si tratta solo dei minerali e delle terre rare, ma anche degli idrocarburi. Questa pare essere una concessione di Kiev, perché gas e petrolio non comparivano nelle prime bozze. Inoltre vi sarà un fondo di investimento congiunto finalizzato alla ricostruzione del Paese: per i primi dieci anni, i profitti derivanti da tale fondo dovranno essere totalmente reinvestiti nell’economia ucraina. Dopo di che potranno essere redistribuiti fra i partner.
Eppure nella versione siglata a Washington questa clausola manca. Però, come suggerito dalla vicepremier Yulia Svyrydenko, sarà probabilmente un punto da discutere in seguito e da accludere in un documento integrativo di carattere tecnico. Qualche buon effetto l’accordo sembra già averlo prodotto. I titoli statali, già in fase di crescita a partire dalla metà di aprile, dopo la sua firma sono aumentati
ancora. Le obbligazioni estere ucraine con scadenza 2036 hanno guadagnato 2,2 centesimi di dollaro, mentre gli warrant legati al PIL hanno preso 2,1 centesimi.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.