Nessuno snobismo per Roger Abravanel in ‘Aristocrazia 2.0’, solo la ricerca della meritocrazia

Nessuno snobismo per Roger Abravanel in ‘Aristocrazia 2.0’, solo la ricerca della meritocrazia

21 Marzo 2021 0

Non fatevi ingannare dal titolo, nulla di particolarmente snob o antistorico. Roger Abravanel, nel suo nuovo saggio “Aristocrazia 2.0. Una nuova élite per salvare l’Italia” edito da Solferino, si rifà al significato greco del termine, arìstoi, ovvero i migliori, che venivano riconosciuti tali da tutto il popolo e rappresentavano le élite della virtù e del talento.

In questo saggio, l’autore fa una disamina lucida ed impietosa della situazione italiana, che, a causa della pressoché totale assenza di meritocrazia, rischia una deriva paragonabile a quello che ha travolto l’Argentina.  Il problema non è economico, ma valoriale e culturale: Abravanel passa in rassegna le numerose situazioni di criticità al fine di ridare fiducia ad un sistema-Paese paralizzato e sviluppare il capitale sociale fondamentale per affrontare le sfide di un futuro che è già presente.

L’analisi parte da un presupposto tanto semplice quanto dirompente: la malattia italiana non deriva dal collasso finanziario del 2008, né dalla crisi finanziaria del 2018 o dall’emergenza sanitaria tuttora in corso; le debolezze dell’Italia sono sistemiche ed ataviche, affondano le radici nella cultura d’impresa italiana stessa, formatasi negli anni della ricostruzione post bellica, con chiare reminiscenze del periodo fascista, poco aperto ai valori del mercato e della concorrenza, anzi più ripiegato su sé stesso in chiave autarchica per le note vicende storiche.

Gli opinionisti – afferma Abravanel – si concentrano sui problemi fiscali del Paese e del suo eccessivo debito in relazione al PIL, dimenticando che spesso la crescita “sana” del Pil è ferma da quarant’anni. I creditori del Paese sono sempre più preoccupati perché la mancanza di crescita economica rende il Paese un debitore poco affidabile. Se consideriamo il lungo periodo invece che i dati annuali, vediamo che negli ultimi trent’anni l’economia italiana ha perso 32 punti di Pil, quasi 500 miliardi di euro, nei confronti dell’eurozona (pari al Pil della Grecia e del Portogallo sommati) ed il 61% di Pil nei confronti degli Stati Uniti, per una cifra da capogiro di 990 miliardi.

Come è possibile tutto questo? Come è accaduto che quella che era la quarta potenza mondiale intraveda scenari drammatici, col rischio di piombare nell’incubo delle economie sudamericane?

Il ragionamento di Abravanel parte da una considerazione semplice: le ripercussioni economiche del virus avranno un impatto molto più duraturo di quelle sanitarie. Gli elementi di forza per la ripartenza dell’economia mondiale si basano soprattutto sulla capacità di declinare il passaggio all’economia digitale ed all’economia della conoscenza. Parlando di selezione darwiniana post-covid, siamo ancora sicuri che “piccolo è bello”? Chi sarà più vulnerabile, si chiede retoricamente l’autore, nella crisi post-covid: un piccolo albergo riminese a conduzione famigliare o la catena Hilton? In Italia abbiamo dei bravi imprenditori, ma un pessimo sistema capitalista, di stampo “familista”. Consideriamo anche che quando si parla del valore di un’impresa, non conta solo il fatturato, ma anche le sue prospettive di crescita. 

E’ chiaro che la sfida del futuro, strettamente connessa all’economia della conoscenza, non può prescindere da una vera rivoluzione culturale che ponga al centro del dibattito il tema della meritocrazia. Il modello sociale ed economico italiano – ci dice Abravanel – assomiglia più ad un sistema feudale medievale che ad una moderna società meritocratica; intriso di spirito sessantotardo, la selezione non piace, si ricerca l’appiattimento del pezzo di carta, una sana ambizione è mortificata e non ha alcun valore sociale, si promuove l’egualitarismo inteso non già come pari opportunità ma come livellamento verso il basso.

Economia della conoscenza e meritrocrazia sono a loro volta legate al tema di una formazione di alta qualità. Laddove in tutti i Paesi avanzati continua a crescere il legame tra il mondo della ricerca accademica ed il mondo dell’economia (col rischio, però, di distorsioni quali quelle denunciate da Alain Deneault nel suo “Mediocrazia”), gli atenei italiani, ostaggio dei baroni, secondo l’analisi dell’autore sono i veri protagonisti della “meritocrazia di massa”, rifiutandosi di considerare una responsabilità dell’università il tasso di occupazione dei laureati.

Altro elemento di debolezza è individuato nella burocrazia, ma non già perché composta da fannulloni, quanto – è la tesi di Abravanel – per lo straripare dell’ordine giudiziario, che è alla base della paralisi decisionale e del blocco dello sviluppo.

Al termine di questo excursus, ricco di dati, esempi e paragoni, le conclusioni sono impietose: per la miopia di Confindustria e Confcommercio, impegnati a tutelare le rendite di posizione dei loro associati, per gli atenei che da templi della meritocrazia sono diventati bastioni del nepotismo, per le distorsioni del potere giudiziario (emblematico a tal proposito il libro/intervista di Sallusti a Palamara), il Paese è bloccato da quarant’anni.

Se il sistema Paese non sarà in grado di fare un importante salto di qualità, mancheremo all’ultimo appello rappresentato dalle opportunità derivanti dal Recovery Fund e dalla futura programmazione comunitaria: a prescindere dagli elenchi improbabili che sono circolati nelle ultime settimane di opere da finanziare attraverso il Recovery Fund, se l’Italia non inizia a rendere credibile una vera inversione di tendenza sulla crescita ferma da quarant’anni, lo scenario Argentina diventerà sempre più probabile.

Se non saremo in grado di superare almeno le tre criticità descritte nel libro, non potranno nascere gli Aristocratici 2.0.

Infografica – La scheda del libro Aristocrazia 2.0
Dario Roverato
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