Medioriente, Mustafa Naji per il Think tank Carnegie boccia le politiche antiterrorismo Usa. “Sono state un ostacolo”

Medioriente, Mustafa Naji per il Think tank Carnegie boccia le politiche antiterrorismo Usa. “Sono state un ostacolo”

8 Febbraio 2023 0

La visione americana sull’antiterrorismo è stato un ostacolo al successo degli sforzi per debellare in Medio Oriente l’estremismo“. A lanciare la pesante denuncia Mustafa Naji, scrittore e ricercatore, residente in Francia direttamente dalle colonne del prestigioso Think tank Carnegie.

Naji che ha conseguito un master in geopolitica del Mar Rosso a Parigi VIII e attualmente sta conseguendo un dottorato in sociologia incentrato sulle origini dell’Islam politico, boccia senza mezza termini lo sforzo mosso da Washington per debellare la radicalizzazione islamica. “Gli sforzi Statunitensi mancavano di risorse e coerenza e non sono riusciti a creare una struttura militare e di sicurezza multilaterale in grado di affrontare la minaccia del terrorismo nella regione“.

L’abuso dei droni e la perdita di rispetto e fiducia dei Partner

Per il ricercatore di Carnegie anzi Washington stava perdendo il rispetto dei suoi alleati regionali poiché il numero delle vittime delle operazioni antiterrorismo, in particolare a causa del ricorso di attacchi sempre più frequenti con i droni, si stava ampliando a dismisura terremotando le opinioni politiche interne.

Un esempio in questo senso è lo scandalo Talon Anvil, partito da una denuncia del New York Times e raccontato in Italia praticamente solo dalla nostra testata. “Talon Anvil era una piccola cellula d’attacco americana classificata che, 24 ore su 24 in tre turni da uffici anonimi in Siria e Iraq tra il 2014 e il 2019, ha lanciato decine di migliaia di bombe e missili (si parla di almeno 112.000) contro obiettivi dello Stato Islamico in Siria“. Un modello quest’ultimo che è stato ripercorso anche per il massacro di Kabul che ha gettato le basi per la ritirata precipitosa dall’Afghanistan degli Usa, cacciati dai Talebani.

In questo contesto Carnegie denuncia poi che “molti governi locali sono riusciti a sfruttare la lotta al terrorismo per reprimere la loro opposizione politica, frenare la transizione democratica e minare i diritti umani fondamentali“. Un attacco quindi a 360° delle strategie di Washington.

Il cambio dell’approccio americano e l’ascesa delle potenze regionali

L’approccio unilaterale americano all’antiterrorismo in Medio Oriente, complice il cambio di interessi dell’amministrazione Biden, il quale ha spostato la posizione americana dal concentrarsi sulla lotta all’estremismo al vincere la competizione globale con Cina e Russia, ha permesso l’ascesa di nuove ambiziose potenze regionali come Iran, Turchia, Emirati Arabi Uniti (UAE), Arabia Saudita e Qatar.

L’appetito delle potenze regionali emergenti di guidare e controllare il proprio quadrante, allargando le proprie aree d’influenza è stato fondamentale per la militarizzazione del Golfo di Aden e della regione del Mar Rosso. Naji spiega nel suo editoriale come “La coalizione araba ha assicurato una presenza militare Emirati-Arabia Saudita sulle coste e sulle isole dello Yemen e dell’Eritrea, consentendo pattugliamenti marittimi per assistere le basi militari internazionali che erano già nell’area. Questo intervento è stato influenzato anche dalla traiettoria dello Yemen che, a causa della guerra civile, non era più un paese partner nella lotta alle minacce alla sicurezza nella regione. Piuttosto, il paese è diventato una parte fondamentale della minaccia, dato l’uso da parte degli Houthi di mine marine e barche senza equipaggio per colpire navi militari e civili che tentano di navigare nell’area”.

Lo scontro di visione tra Russia-Arabia Saudita e Stati Uniti

Carnegie ricorda come “Molte iniziative antiterrorismo siano state introdotte da attori come la Russia, che ha proposto un sistema di sicurezza regionale nel Golfo, e l’Arabia Saudita, che ha sostenuto la creazione di un blocco del Mar Rosso”. Ma si è constato che la cooperazione multilaterale è stata destinata all’atrofia ed è stato introdotto un approccio alternativo di cooperazione bilaterale spinto di nuovo soprattutto da Washington che, “volendo ridurre il costo dell’intervento nella regione che si estende dall’Afghanistan alla Mauritania” ha portato a smilitarizzare e scegliere alleati e avversari tra queste potenze emergenti. “L’establishment della politica estera statunitense è stato abilitato, attraverso attori locali, a ridisegnare la mappa del potere in paesi come Yemen, Somalia e Sudan“.

A guidare questo nuovo approccio sono stati gli Emirati Arabi Uniti, che hanno recentemente concluso due accordi di cooperazione militare, di sicurezza e antiterrorismo con lo Yemen nel dicembre 2022 e con la Somalia all’inizio del 2023. Dovrebbero proteggere e sviluppare gli interessi economici degli Emirati Arabi Uniti e migliorare le loro capacità operative. A livello geopolitico, gli accordi mirano a garantire la sicurezza dei corsi d’acqua, in particolare lo stretto di Bab al-Mandab, attraverso la presenza di unità militari e di sicurezza degli Emirati, risparmiando agli Emirati Arabi Uniti l’onere del dispiegamento militare.

Il rischio di scontri tra Paesi Emergenti

Per Carnegie “Ci si può aspettare che tali accordi suscitino la sensibilità dei rivali degli Emirati Arabi Uniti nella regione poiché gli ultimi passi degli Emirati Arabi Uniti potrebbero essere percepiti come una svolta verso l’unilateralismo e un’indicazione dell’inefficienza della cooperazione multilaterale nel quadro della coalizione araba“.

Ne sono chiari esempi lo Yemen e la Somalia, dove l’approccio militare è stato adottato dai due Stati deboli a scapito della transizione democratica e dell’indipendenza politica” spiega Naji che prosegue “Entrambi i regimi hanno permesso a poteri esterni di interferire, influenzare e controllare gli affari interni e minacciare l’integrità dello stato soffocando la partecipazione politica e ignorando i problemi sociali. Nello Yemen in particolare, l’approccio americano ha dato la priorità alla lotta contro il terrorismo e la pirateria nel Golfo di Aden a tutti i costi, ma questa visione ha trascurato le priorità delle persone sul campo“.

 

 

 

 

Redazione Strumenti Politici
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