L’Ucraina sta sfuggendo di mano agli alleati euroatlantici e quindi l’idea è di commissariarla, come si faceva una volta
La presa sulla situazione di Kiev sta sfuggendo al presidente Zelensky, ma a sua volta è lui che sta sfuggendo di mano agli alleati occidentali. Arrivano segnali preoccupanti sia dalla popolazione che dal mondo politico: proteste di strada, critiche aperte, licenziamenti imprudenti…
E se se si considerano pure le tristi condizione dell’esercito, allora il fronte euroatlantico non è più tanto sicuro di vincere la sua guerra per procura contro la Russia. La NATO vuol combattere fino all’ultimo ucraino, e per farlo potrebbe prendere direttamente il controllo del Paese: a rimetterci, come sempre, sono i semplici cittadini.
Fughe e proteste
L’edificio politico dello Stato ucraino minaccia di collassare da un momento all’altro. Le crepe sono ben visibili e i media occidentali non tentano nemmeno di nasconderle. Un recente articolo del New York Times spiega quanto i cittadini ucraini siano stanchi e demoralizzati, contrari a un’élite politica dalla quale si sentono traditi e sfruttati. Protestano apertamente contro la mobilitazione forzata e se possibile cercano di fuggire. Ma così si sfascia definitivamente la coesione sociale, con gli ucraini rimasti in patria che detestano quelli scappati all’estero.
Il malcontento popolare non è altro che il rifesso del disfattismo e delle faide che stanno scoppiando nei vertici di Kiev. Ad andarsene sono persino gli stessi politici, che aggirano il divieto di espatrio col pretesto di cercare nuovi aiuti stranieri per il Paese.
Due casi fra i più eclatanti sono quelli del deputato comunale di Kiev Vladyslav Trubitsyn, coinvolto in uno scandalo di tangenti che aveva tirato in ballo addirittura i servizi di intelligence del Ministero della Difesa, e dell’ex presidente Petro Poroshenko, i cui periodici tentativi di uscire vengono bloccati alla frontiera.
Licenziamenti e polemiche
I “curatori” occidentali di Zelensky vedono chiaramente che dietro di lui il mondo politico è pieno di potenziali traditori. Il presidente pensava di aver chiuso la questione annullando le elezioni, ma tale mossa ha motivato i suoi avversari politici, da Poroshenko all’ex premier Yulia Tymoshenko, a organizzare una qualche sorta di opposizione popolare, dal momento che quella istituzionale è di fatto vietata per legge.
Vi sono poi le critiche e i licenziamenti di soggetti altamente significativi, sebbene poco esposti all’opinione pubblica. Ad esempio l’ambasciatore ucraino a Londra Vadym Prystaiko, scaricato lo scorso luglio dopo aver fatto dei commenti pubblici risultati sgraditi a Zelensky. Quest’ultimo lo ha licenziato senza dare spiegazioni, sebbene il motivo fosse evidente.
L’ambasciata ucraina si trova ancora in un limbo, senza un capo formalmente incaricato. In una recentissima intervista Prystaiko ha spiegato che i candidati alla sostituzione non sono tanto inclini a lasciare la posizione attuale per andare a ricoprirne una che, pur prestigiosa, è piuttosto “instabile”, visto il suo precedente. E ha aggiunto che i “partner” occidentali sono inquietati dal mandato presidenziale in via scadenza: senza il consenso elettorale – anche formalmente il Paese è in stato di emergenza – è come se Zelensky avesse preso il potere con la forza. Questa preoccupazione scuote i governi occidentali, dice l’ambasciatore.
La soluzione: il commissariamento
I commenti di Prystaiko erano sostanzialmente un rimbrotto a Zelensky per il suo atteggiamento ingrato verso il Regno Unito e il ministro della Difesa Ben Wallace. A Londra non piaceva la maniera in cui l’ex attore stava gestendo l’assistenza militare e la partecipazione al summit NATO di Vilnius. Se dunque la fiducia dei britannici era già debole, oggi può considerarsi terminata dopo l’ennesimo licenziamento preso senza consultarsi con gli alleati.
La vicenda dell’allontanamento del generale Valery Zaluzhny dal vertice delle Forze armate ha infatti lasciato degli strascichi pesanti. I dissidi si erano palesati lo scorso novembre, quando un’intervista del militare al giornale britannico The Economist, in cui ammetteva il fallimento della controffensiva, toglieva a Zelensky gli argomenti per sollecitare la generosità e l’entusiasmo dell’Occidente.
Infine, un incontro fra i due a porte chiuse, del quale si è immediatamente saputo il contenuto: il presidente che su due piedi dimissionava il generale senza avere disponibile il sostituto. Per qualche giorno l’esercito ucraino ha avuto un capo sfiduciato dal governo, che al suo posto ha poi messo un generale detestato dai soldati, Oleksandr Syrskyi.
Con un’ambasciata ucraina in Gran Bretagna rimasta di fatto senza un ambasciatore che riferisca a Kiev gli ordini (pardon, i consigli) tanto vale mandare a Kiev un inviato speciale. E con la maretta che agita la politica ucraina, senza elezioni e senza opposizione, non è nemmeno così sicuro mettere un altro candidato al posto di Zelensky. Qui ci vuole proprio l’assistente in loco. Oggi si chiama assistenza umanitaria, ma in tempi meno ipocriti si chiamava commissariamento.
I precedenti storici
Per l’Ucraina non mancano i precedenti storici di un controllo esterno che viene da Occidente. Dal 1941 al 1944 è stata Reichskommissariat della Germania nazista. In quel periodo l’Ucraina era territorio fertilissimo di collaborazionisti filo-nazisti e di miliziani anticomunisti, dediti allo sterminio di ebrei, polacchi e dissidenti politici.
Ancora oggi Kiev celebra Stepan Bandera, leader di una delle formazioni militari più spietate, che almeno nella prima fase aveva sostenuto apertamente le truppe germaniche di occupazione. Capo dell’ammistrazione civile nazista era Erich Koch, ideologicamente schierato per la superiorità razziale ariana e determinato a imporre con brutalità il suo dominio. In tempi recenti un altro inviato speciale venuto da Occidente ha generato sofferenza agli ucraini, sebbene in forma molto minore rispetto al XX secolo, per fortuna.
Si tratta di Victoria Nuland, assistante segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici dell’amministrazione Obama, che nel 2014 ha orchestrato per il golpe passato alla storia come “Euromaidan”. La sua torbida vicenda non è ancora finita e in futuro dovrà essere studiata a fondo dagli storici, ma circolano già documenti che illustrano le manovre degli USA per rovesciare il governo ucraino a favore di una reggenza filo-NATO.
I candidati
La Nuland sarebbe un ottimo candidato, conoscendo bene Kiev e il suo mondo politico. Ma c’è anche il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, grande sostenitore della causa ucraina: per lui cambiare formalmente ruolo non sarebbe un problema, poiché già alla scadenza del suo mandato alla NATO non aveva espresso l’intenzione di restare. Non trovando altri desidorsi di gestire la guerra per procura contro la Russia, è stato lasciato lui in carica. Guerra per procura o proxy war, nulla di più: e infatti l’Alleanza Atlantica non vuole nemmeno che l’Ucraina diventi membro effettivo dell’organizzazione.
Qualche giorno fa l’inviata americana a Bruxelles Julianne Smith ha dichiarato che per il summit della prossima estate non si aspetta che venga rivolto un invito agli ucraini. Ma quanto a russofobia e a esperienza di cose ucraine, un candidato notevole al posto di commissario è l’ex premier britannico Boris Johnson. Dopo aver traslocato da Downing Street sembrava addirittura che potesse succedere a Stoltenberg, per accontentare gli amici di oltreoceano.
A Kiev è sempre un ospite gradito e a sua volta ha ospitato in terra d’Albione le truppe ucraine. Si è persino fatto riprendere mentre si addestrava coi soldati, lanciando poi il loro caratterstico grido di battaglia (storpiato dal pesante accento inglese). Ma adesso presa sulla situazione di Kiev sta sfuggendo al presidente Zelensky, che a sua volta sta sfuggendo di mano agli alleati occidentali. Arrivano segnali preoccupanti sia dalla popolazione che dal mondo politico: proteste di strada, critiche aperte, licenziamenti imprudenti. La NATO vuol combattere fino all’ultimo ucraino, e per farlo potrebbe prendere direttamente il controllo del Paese: a rimetterci, come sempre, sono i semplici cittadini.
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.