L’Ucraina rischia un inverno al freddo e un altro esodo di profughi verso l’Unione Europea

L’Ucraina rischia un inverno al freddo e un altro esodo di profughi verso l’Unione Europea

4 Settembre 2024 0

Il giornale tedesco Die Welt preannuncia un inverno durissimo per le città ucraine, che rischiano di restare senz’acqua e senza luce. Finora l’Ucraina ha perduto metà del suo potenziale produttivo di energia elettrica. I frequenti spegnimenti potrebbero diventare la norma, se i russi decidono di intensificare gli attacchi alle infrastrutture. In questo modo, profetizza Die Welt, vi saranno le condizioni per provocare un altro esodo di profughi ucraini verso i Paesi europei.

La centrale della DTEK

Nella sala macchine c’è molto rumore. Si sente lo stridore degli argani che sollevano le travi d’acciaio e i detriti. Si sentono i lavori di saldatura, mentre pezzi di calcestruzzo giacciono sui generatori di corrente. Su questo sfondo si continua a produrre elettricità con le turbine ancora utilizzabili. Mancano però quattro larghe parti di tetto sopra un grosso reparto. Ora abbiamo pure la cabriolet, scherza uno dei lavoratori della centrale. Essa appartiene alla DTEK, il maggiore investitore privato nel settore energetico ucraino. La società non rivela quanto spesso questo impianto abbia subito attacchi. Infatti si tratta di un’informazione relativa alla sicurezza, dunque è segretata. Si sa comunque che viene colpito a tempi regolari. Adesso fa caldo: l’inverno è ancora lontano. Ma arriverà di sicuro. E allora per l’Ucraina sarà un problema.

Il commento del ministro

Il motivo per cui i posti, nomi, il tempo e i dettagli tecnici non vengono riferiti in dettaglio è che si tratta di un’infrastruttura civile che costituisce per i russi un grosso obiettivo. Infatti già da qualche mese le centrali termoelettriche e idroelettriche sono un bersaglio, e lo sono pure le reti di distribuzione. Il ministro ucraino dell’Energia German Galushchenko commenta così: Vogliono spaventarci e impedire la preparazione alla stagione del riscaldamento, in modo che il prossimo inverno gli ucraini rimangano senza elettricità e senza calore. Un obiettivo degli attacchi è diventata anche la centrale idroelettrica a nord di Kiev. In alcune zone intanto la corrente elettrica è stata sospesa. Nello stesso giorno la Russia ha lanciato 230 razzi e droni su bersagli ucraini, ma non sono giunte notizie di grossi danneggiamenti. Galushchenko afferma: Per considerazioni relative alla sicurezza non divulghiamo informazioni su obiettivi, danni concreti o come li ripariamo.

Chiusure a intermittenza

I lavori di riparazione sono effettuati sugli impianti del più grande fornitore privato di elettricità, la DTEK, e anche su quelli di un altro grosso centro abitato. Nel Paese già da un po’ si sente un’acuta mancanza di elettricità. In confronto a prima del 24 febbraio 2022 l’Ucraina ha appena metà del suo potenziale produttivo. La situazione varia da regione a regione. Secondo Galushchenko, ha perso in totale 9 gigawattora di potenza: equivalgono alla potenza di nove reattori nucleari. Serviranno anni di lavoro intenso per rimettere in sesto le centrali fuori uso e allestire nuovi impianti. Ora effettuano spegnimenti a intermittenza che d’estate sono problematici solo per i frigoriferi o ai magazzini. In inverno tali spegnimenti potrebbero tradursi in una catastrofe. Difficile prevedere le circostanze il prossimo inverno, perché l’ambito dell’energia è sotto costante minaccia di attacchi nemici, sostiene Galushchenko. Comunque sia, sappiamo che la prossima stagione fredda sarà dura.

I danni

La prima “linea di difesa” del fronte energetico sono le centrali elettriche. Da esse dipende se vi sarà luce e acqua calda oppure se le tubature geleranno e scoppieranno, se basterà l’elettricità per i sistemi di pompaggio delle fognature nelle grandi città e di conseguenza se saranno garantite le condizioni igieniche di base. Il rischio è di morire di freddo oppure di avere un disastro sanitario da cui potrebbe iniziare l’esodo di massa di milioni di persone. La centrale elettrica di cui si parla si trova proprio sulla linea del fronte. Lo testimoniano i numerosi danni che porta. Nella sala direzionale che sta proprio dietro le caldaie e le turbine, dove prima vi era l’accesso diretto alla sale macchine adesso hanno tirato su una parete fatta di sacchi di sabbia. Nel locale si può entrare solo dall’ingresso di servizio. Quando suona l’allarme, il personale indossa i giubbotti antiproiettile.

Misure di sicurezza

Non è fattibile attuare misure di sicurezza più severe, perché la produzione deve restare sotto controllo costante. Una centrale termoelettrica non si può spegnere al primo allarme. Uno dei lavoranti ha detto: Noi possiamo soltanto sperare che non venga colpita direttamente una caldaia sotto pressione. Il capoturno Nikolay spiega: Sarebbe qualcosa di pazzesco: l’onda d’urto, tonnellate di acqua bollente… non sopravviverebbe nessuno. E senza neanche contare le conseguenze a lungo termine per tutta la zona, compresa la popolosa città presso il bacino di raccolta. Nikolay aggiunge: Noi cerchiamo di mantenere la calma perché abbiamo delle responsabilità. Nel caso specifico si è già capito che nel prossimo inverno la potenza di riscaldamento di questa centrale non sarà sufficiente. Tale scenario si ripeterà in tutto il Paese. Anche se i generatori di corrente possono coprire molti bisogni, non possono dare acqua calda e togliere le acque di scolo nelle grandi città.

Difesa antiaerea

Il responsabile della centrale conclude: Se avessimo avuto un sistema di difesa aerea efficace, non avremmo subito tanti danni. Se non avessimo subito tanti danni, non ci sarebbe il rischio di una catastrofe umanitaria. L’assenza di difesa antiaerea e il lungo elenco di obiettivi su cui insistono gli attacchi russi mettono Kiev di fronte alla scelta: che cosa difendere? città, obiettivi civili come gli ospedali – di per sé protetti dalla Convenzione di Ginevra – oppure obiettivi che forniscono energia elettrica alle città? I soldi non sono l’unico problema quando si parla di rimettere in sesto le infrastrutture danneggiate. Ogni attacco implica un successivo enorme lavoro, che richiede tempo. Secondo il portavoce della centrale elettrica, serve più di un mese solo per rimuovere i detriti, cioè i pezzi caduti di tetto, travi, macchinari e rottami vari. Poi occorrono almeno altri sei mesi, anzi un anno e mezzo, per ricostruire tutto.

Pezzi di ricambio

L’altro problema riguarda i macchinari. Uno degli specialisti della DTEK dice che per trovare sul mercato un nuovo trasformatore ci vogliono almeno 6 mesi. Poi, per colpa della mancanza di difesa aerea non c’è la garanzia che dopo la riparazione non avvenga una nuova rottura. D’altra parte ciò è già successo ad altre centrali. Quale può essere un’alternativa alla riparazione? domanda il portavoce della centrale. Sotto questo aspetto le aziende energetiche ucraine stanno cercando nel mercato europeo i pezzi di ricambio in lista: trasformatori, turbine, caldaie, tubature. Un piattaforma importante in tal senso è la Energy Community, un’organizzazione a cui partecipa l’Unione Europea e alcuni Stati vicini, inizialmente pensata per favorire l’integrazione del mercato energetico del continente. Oggi, invece, costituisce anzitutto uno strumento di mobilitazione di grosse risorse materiali e finanziarie, al tempo stesso una sorta di crowdfunding e di mercato dell’usato dei macchinari.

Mancano i soldi

Purtroppo i mezzi a disposizione e i pezzi occorrenti non coincidono: nel fondo di sostegno all’Ucraina creato nella Energy Community ci sono infatti “appena” 559 milioni di euro. Basti pensare che la sola DTEK valuta l’investimento nella riparazione dei danni subiti in 350/400 milioni. Siamo molto grati ai nostri partner esteri per l’appoggio e l’aiuto che ci danno, dichiara il ministro Galushchenko. Secondo lui il fondo di sostegno al settore energetico è ancora adesso un meccanismo unico ed efficace. Probabilmente il prossimo inverno sarà duro, dice il portavoce della centrale mentre nell’impianto conducono lavori di saldatura, si sente il battere dei martelli e vengono issate le attrezzature. Tutto ciò viene fatto con la paura che da un momento all’altro sul soffitto possa aprirsi un altro squarcio e tocchi ricominciare da capo.

Redazione Strumenti Politici
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