L’Europa in un vicolo cieco: della solidarietà con l’alleato americano e della subordinazione ad esso
Sui rapporti fra Stati Uniti ed Europa, in particolare nell’ambito della contrapposizione con Russia e Cina, proponiamo la disamina di Fyodor Lukyanov, professore presso la Scuola superiore di Economia dell’Università nazionale di ricerca di Mosca.
Il presidente francese Emmauel Macron ha condotto dei colloqui molto dettagliati col presidente americano Joe Biden. Le relazioni fra Parigi e Washington si stanno sviluppando in un modo irregolare. Lo scorso anno la Francia è rimasta profondamente offesa dalla creazione del gruppo anglofono AUKUS, che include Regno Unito, Australia e Stati Uniti.
Il nodo AUKUS
Anzitutto non è stato comunicato agli altri alleati della NATO, e in secondo luogo come effetto dell’accordo è saltato il contratto fra Canberra e Parigi sulla costruzione di un grosso ordinativo di sottomarini destinati all’Australia. Al posto dei semplici sommergibili di fabbricazione francese, sono stati messi in programma quelli nucleari di concezione americana. La collera di Parigi è stata così forte che sono stati addirittura richiamati gli ambasciatori da Washington e Londra, anche se per breve tempo.
Scricchiola il monolite della coalizione occidentale
Lo sdegno dello scorso autunno era quasi svanito questo inverno, quando le relazioni transatlantiche sono salite di categoria verso una “fratellanza d’armi”. L’indistruttibile compattezza di Europa e America di fronte alla minaccia russa è un assunto che si ripresenta letteralmente ogni anno. Secondo l’interpretazione diffusa in Occidente, il presidente Vladimir Putin avrebbe gravemente sbagliato i suoi calcoli nel momento in cui si aspettava una spaccatura fra Vecchio e Nuovo Mondo. Ora, l’Alleanza Atlantica ha ripreso forza e senso per la sua esistenza.
La questione su quanto Mosca fosse pronta a una reazione così decisa da parte del cosiddetto “Occidente collettivo” verso la campagna ucraina rimane aperta e complessa. Tuttavia, con il proliferare delle conseguenze della crisi, si cominciano a riscontrare delle crepe nel monolite della coalizione occidentale. Però non conviene contare su di esse, perché la divisione non avviene per le relazioni verso la Russia, ma soprattutto per la questione della distribuzione dei pesi, se così possiamo dire. Su questo in Europa sembrano iniziare a sorgere degli spiacevoli sospetti.
L’Europa, storicamente celebre per la sua razionalità, oggi rapporta sempre di meno le proprie azioni con le loro conseguenze.
L’insediamento di Biden alla Casa Bianca quasi due anni fa venne accolto con giubilo dagli europei. Il rigetto della maggioranza dei leader continentali verso Donald Trump era troppo, e lui stesso non nascondeva il suo disprezzo per il Vecchio Continente. Trump era la perfetta incarnazione di ciò che ripugnava i vertici europei ed evidenziava le differenze tra Europa e America.
Tuttavia, i dissidi erano cominciati già da prima, all’inizio del secolo, quando Bill Clinton venne sostituito a Washington da George Bush Jr. Fu proprio allora che le priorità americane iniziarono ad allontanarsi da un’Europa che pareva prospera e abbastanza priva di problemi per andare verso i processi e gli eventi più intensi dell’Asia. Bush e i suoi compagni neocon non erano amati in Europa, mentre Barack Obama è stato accolto come il messia del nuovo atlantismo: la conversione verso gli alleati fidati, però, non è riuscita del tutto.
L’Europa come centro degli interessi americani
Trump ha scioccato con sincero malanimo, quindi la vittoria di Biden è stata presa come un ritorno non solo alla consuetudine, ma persino alla decenza. Ed effettivamente la retorica dell’amministrazione democratica ha rammentato i tempi di Clinton, che sono stati probabilmente l’epoca d’oro della simbiosi euro-americana. Washington considerava l’Europa un’importante priorità e si sforzava molto per inserirla in uno spirito atlantista comune, cosa che in quel momento corrispondeva pienamente a concezioni positive e pienamente europee.
L’attuale presidente degli USA è un politico della vecchia scuola, per la quale l’Europa è il centro degli interessi americani. La vecchia scuola, però, presuppone una lucida analisi delle spese e dei profitti, dei costi e delle opportunità, e soprattutto la capacità di ottimizzare i primi e massimizzare i secondi. Dopo la Seconda guerra mondiale e particolarmente dopo la Guerra fredda, l’Europa si è disfatta del pensiero strategico, a favore di misure indirizzate a garantire un’esistenza confortevole. Gli USA hanno invece mantenuto la capacità se non di riflettere, almeno di percepire in senso strategico. Da qui proviene la concezione (o meglio l’istinto) delle realtà geopolitiche in cambiamento.
L’istinto non garantisce una politica corretta, ma presuppone una sua coordinazione con i bisogni e le circostanze attuali. Per quanto possa sembrare strano l’Europa, storicamente celebre per la sua razionalità, oggi rapporta sempre di meno le proprie azioni con le loro conseguenze.
La solidarietà totale fra Europa e USA a proposito della questione russa presuppone la subordinazione al partner-garante più grande e più forte.
Forse un giorno sapremo se Washington deteneva un piano per scaricare sugli alleati europei il peso maggiore della contrapposizione con la Russia. D’altronde, il comportamento degli Stati Uniti si può spiegare non come un intrigo, ma come una reazione adeguata. Le ondate della crisi ucraina si abbattono in egual modo su tutti, ma gli USA prendono decisioni per attenuare le conseguenze o persino per sfruttarle in prospettiva.
Ciò provoca stupore nell’Europa: “gli americani lo possono fare, noi invece mica tanto”. E quando l’amministrazione Biden approva l’Inflation Reduction Act per diminuire l’inflazione, mette gli americani al corrente di una posizione migliore degli europei, corrispondendo in pieno agli interessi degli Stati Uniti. E allora cosa bisogna pensare?
Europa in trappola
L’Europa è caduta in una trappola dalla quale non è chiaro in che maniera può uscire. La solidarietà totale con gli USA a proposito della questione russa presuppone la subordinazione al partner-garante più grande e più forte. L’Europa è pronta, ma ciò significa (per ragioni oggettive): 1) accollarsi una parte ingente delle spese, 2) seguire la linea strategica comune anche sulle altre questioni di principio per il suo dominus. La principale di esse è quella cinese.
La Cina è e sarà un avversario strategico dell’America nei prossimi decenni. Non rappresenta una minaccia per l’Europa e non le lancia delle sfide; cooperare con essa conviene. Ma in base a ciò il “fratello maggiore” può forse permettere al fratello minore di aiutare colui con il quale è in dissenso? Biden e Macron si sono stretti a lungo la mano con un’incredibile cordialità: Biden in sostanza ha confermato che gli USA non vogliono male all’Europa, per niente. Ed è tutto qui.
Raccogliere le voci dei protagonisti dalle varie parti del mondo e documentare i numeri reali inerenti ai grandi dossier e questioni d’attualità è il modo migliore e più serio per fare informazione. L’obiettivo finale è fornire gli strumenti ad ogni lettore e lettrice per farsi una propria opinione sui fatti che accadono a livello mondiale.