L’era dei droni navali: vari Paesi li producono, è ora di una regolamentazione internazionale per controllarne i pericoli
Il 2025 ha visto concretizzarsi una delle novità principali della guerra moderne viste negli ultimi tre anni, i droni. Un uso ormai assodato è quello dei droni nel cielo per penetrare lo spazio aereo degli avversari e portare danni alle infrastrutture o alle truppe in movimento. Ma ci sono anche quelli marini, forse in una fase di sviluppo meno accentuata rispetto a quelli volanti, ma sicuramente essenziali per dominare i mari sul piano strategico nel prossimo futuro.
Dunque, se finora eravamo abituati ad associare nei media la parola “droni” agli apparecchi che volano senza pilota o con radioguida a distanza, nei prossimi cinque l’ambito verrà certamente a includere quelli che viaggiano sull’acqua o sott’acqua. Non soltanto quelli che di fatto costituiscono piccole imbarcazioni da attacco, ma anche i natanti che operano da dragamine, quelli da trasporto e pure da ricognizione.
Paesi fabbricanti
Diversi Paesi oggi sono produttori di droni. Ne sono fabbricanti e altresì progettatori. Insomma, in questo settore si torna a vedere quel fiorire di modelli nazionali con caratteristiche proprie e quasi uniche, un po’ come nel mercato dell’auto di qualche decennio fa. USA e Regno Unito sono fra quelli che hanno già la maggior capacità produttiva e la versatilità di soluzioni, laddove a fare una grossa parte del lavoro non sono solamente i colossi industriali, ma anche aziende appaltatrici più piccole. In Asia ci stanno lavorando, la Cina così come il Giappone e la Corea sia del Sud che del Nord. Spiccano comunque la Turchia coi suoi Bayraktar e l’Ucraina coi droni sia aerei che marittimi. Pur non avendo mai avuto una flotta potente, Kiev oggi ha il vantaggio di sperimentare i mezzi senza pilota direttamente sul campo, anzi sull’acqua, e in condizioni non di test, ma di guerra effettiva.
E poi c’è la Russia, che lo scorso anno ha presentato i suoi droni marini al salone Flot-2024 di San Pietroburgo. Fra i clienti che sono apparsi maggiormente interessati al loro acquisto vi sono Stati africani e del sud-est asiatico, che hanno valutato i motoscafi senza pilota Orkan, Vizir e BEK-1000. Mosca è arrivata un po’ in ritardo rispetto ad altri Paesi nella produzione di droni marini a uso bellico perché non ne aveva un bisogno impellente nel conflitto ucraino, a differenza dei droni aerei.
Produzione ucraina
D’altronde Kiev non dispone di una flotta tale da costituire una minaccia che occorre vanificare. Le capacità ucraine in questo settore derivano anche dai trasferimenti di tecnologia di cui hanno beneficiato grazie agli inglesi. Già da anni infatti svolgeva test e prove presso una base navale ucraina il British Special Boat Service, unità specializzata nei sabotaggi in acqua che ha sviluppato i droni civili esistenti per trasformarli in mezzi militari. A maggior ragione, oggi Londra aiuta Kiev in questo ambito per elaborare droni marini come lo Wasp e lo Snapper.
Lo scorso gennaio la NATO aveva lanciato il programma Vigilance Activity Baltic Sentinel nel quale vi è ampio utilizzo dei droni. A giugno invece gli alti comandi dell’Alleanza Atlantica hanno effettuato dei test su oltre decinei di tipi di droni navali prodotti negli USA, nel Regno Unito, in Francia e in Germania. L’area scelta per queste esercitazioni è stata il Mar Baltico, in quanto considerato un probabile teatro di scontri futuri e quindi di operazioni strategiche.
Servono regole internazionali
C’è una questione ancora sottovalutata, ma che potrebbe diventare di prossima attualità. È quella delle regole condivise e degli standard globali sulla produzione e l’export dei droni marini. Andranno siglati degli accordi internazionali per regolamentare questo ambito prima che l’uso dei droni sulle vie d’acqua e sui mari non sfugga di mano. Si tratta di fatto di congegni a doppio uso. La loro presenza e il loro impiego si trovano al confine fra sfera civile e sfera militare quando vanno a condizionare la sicurezza delle rotte di commercio e dei progetti energetici, come ad esempio pozzi estrattivi di gas o petrolio al largo delle coste.
Una tecnologia del genere, che sta incrementando costantemente le sue funzionalità e che sta diventando sempre meno costosa e più facile da usare, viene sempre più venduta e sarà quindi diffusissima in futuro. È facilissimo immaginare come possa finire nelle mani sbagliate, a partire dalle organizzazioni criminali o dalle compagnie militari private che si mettono al servizio di un soggetto o di un governo che intenda tenere sotto scacco infrastrutture energetiche civili o di telecomunicazione di altri Stati. Solo un controllo internazionale condiviso potrebbe allontanare questo scenario.

Libero pensatore. Ha seguito percorsi di studio umanistici per poi dedicarsi all’approfondimento della politica italiana sia dal punto di vista sia antropologico sia di costume. Ha operato come spin doctor


