Le sfide per il Brasile nel nuovo contesto internazionale di tensioni geopolitiche

Le sfide per il Brasile nel nuovo contesto internazionale di tensioni geopolitiche

24 Febbraio 2023 0

Con la fine del governo Bolsonaro e il ritorno di Lula da Silva alla presidenza della Repubblica del Brasile, il diplomatico e professore universitario Paulo Roberto de Almeida ha concesso un’intervista alla nostra testata per analizzare la politica estera del più grande paese latino-americano.

Infografica - La biografia dell'intervistato Paulo Roberto de Almeida

– In che modo il Brasile ha tradizionalmente definito i propri interessi nazionali nello scenario geopolitico attraverso la diplomazia? E in che modo governi più recenti hanno mantenuto o interrotto questa tradizione?

Il processo di formulazione delle politiche nazionali e di concretizzazione pratica degli interessi nazionali a livello estero – regionale e internazionale – non è diverso in Brasile da quello che si verifica tradizionalmente in altri Paesi che hanno Stati funzionali, dotati di una diplomazia che opera secondo gli schemi abituali delle relazioni internazionali: il punto di partenza è l’élite dominante a livello economico, che in genere definisce le élites dominanti a livello politico, cioè i rappresentanti di questi settori nel governo (Esecutivo e Legislativo, soprattutto), ottenendo un mix di politiche macro e settoriali che non corrispondono necessariamente agli interessi nazionali in senso lato, bensì agli interessi dei gruppi dominanti nella politica nazionale e nello Stato (cioè le istituzioni funzionali dell’apparato governativo).

Nel caso del Brasile, a differenza degli altri Paesi della regione emersi dal colonialismo iberico, esistevano, già prima dell’indipendenza, delle istituzioni che funzionavano correttamente quando la corte portoghese si trasferì a Rio nel 1808, fuggendo la momentanea dominazione napoleonica della metropoli. Tra il 1808 e il 1821 tutte le politiche applicate al grande impero coloniale portoghese furono formulate a Rio de Janeiro, anche se non necessariamente nell’interesse della sua più grande colonia e dei suoi abitanti. Ma la costituzione e il funzionamento di un governo dotato dei ministeri tipici dell’epoca – tra cui la Marina, la Guerra, gli Interni (Giustizia) e gli Affari Esteri -, contribuirono moltissimo a far sì che, al momento della conquista dell’autonomia politica nazionale, nel 1822, il governo brasiliano iniziasse a funzionare con ministri e funzionari che stavano già operando per elevare il Brasile alla categoria di “Regno unito a quello del Portogallo”, avvenuta nel 1815, ai fini della partecipazione del Regno del Portogallo al Congresso di Vienna dello stesso anno.

Il primo cancelliere brasiliano, José Bonifácio de Andrada e Silva, fu, infatti, il primo brasiliano – o suddito portoghese nato in Brasile – in un gabinetto portoghese del governo provvisorio in funzione sotto il comando del principe reggente D. Pedro, figlio del re D. João VI, dall’inizio del 1822. José Bonifácio intraprese una politica estera decisamente incentrata sugli interessi del Brasile, anche se la diplomazia, dal punto di vista funzionale e umano, era piuttosto precaria dopo il ritorno della corte in Portogallo nel 1821. Tuttavia, questa prima politica estera brasiliana si interruppe con la destituzione e l’esilio di José Bonifácio alla fine del 1823. Da quel momento in poi, la politica estera di Pedro sarà in parte condizionata dagli affari di successione portoghesi e dal regime politico dell’ex metropoli, fino all’abdicazione dell’imperatore nel 1831. In questo primo periodo, la politica estera fu in parte dominata dalla Guerra Cisplatina (il futuro Uruguay) e, in larga misura, dalle questioni del traffico e della schiavitù, sotto la forte pressione della potenza dell’epoca, la Gran Bretagna. A partire dalle reggenze (1831-1840), la politica estera fu più americanista che europea e iniziò il reclutamento e la formazione di personale diplomatico, che rappresentava ovviamente l’élite schiavista e latifondista.

Nella Repubblica oligarchica della fine del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, la politica estera e la diplomazia erano dominate dagli interessi delle élites legate al caffè – il Brasile era allora, come lo è tuttora, il più grande produttore di caffè al mondo ed un esportatore quasi monopolistico -, con alcuni rappresentanti degli altri settori agrari e delle poche industrie esistenti. A partire dai processi bismarckiani di modernizzazione – industrializzazione, urbanizzazione, democratizzazione – dalla seconda metà del secolo, gli interessi nazionali, in politica interna ed estera, saranno retti ed espressi da un mix di élites attive nella politica nazionale, così formato: un numero sempre più alto di industriali (di cui molti immigrati), i grandi proprietari terrieri (sempre presenti in tutte le fasi della storia della nazione), i militari (estremamente attivi dalla fine dell’Impero e durante le varie fasi della travagliata Repubblica) e altri settori delle élites (grandi imprenditori, banchieri, l’alta burocrazia dello Stato, tra cui la magistratura, quest’ultima essendo considerata come un’élite aristocratica nel servizio pubblico brasiliano).

Infografica – Mappa delle principali attività economiche del Brasile

Durante questo lungo ciclo di progresso materiale ed educativo a partire dagli anni Trenta, sono questi gli interessi che definiscono il ruolo del Brasile nel sistema mondiale e nella partecipazione alla politica mondiale, e un’unica ideologia guida l’insieme dei settori a livello interno ed estero della governanza brasiliana: l’ideologia dello sviluppo, che significa la costruzione di un’economia di mercato prettamente nazionale (da qui il forte nazionalismo e persino l’introversione delle politiche economiche) e, a livello estero, l’immancabile ricerca di autonomia in politica estera attraverso una burocrazia diplomatica reclutata e formata in modo eccellente in quanto dispone, dal 1946, di un’accademia diplomatica che detiene il monopolio della selezione e della formazione di un personale di alta qualità intellettuale.

Nel periodo recente, queste caratteristiche sono rimaste pressoché intatte, nonostante piccole rotture di orientamento durante i mandati lulopetisti (2003-2016), dovute alle caratteristiche, in una certa misura di parte (di sinistra), di alcuni orientamenti di politica estera, e avendo subito un impatto ancor più considerevole dalla vera e propria rottura introdotta dal governo Bolsonaro (2019-2022), che ha corrisposto al parziale abbandono della ricerca di autonomia in politica estera in cambio di un’associazione mal pensata e poco strutturata con gli Stati Uniti – o più precisamente con il presidente Donald Trump – e di un’inversione di rotta in alcune politiche (quella ambientale, ad esempio), in un completo disallineamento con gli orientamenti generali della diplomazia. Nella fase attuale, in cui il PT (2023-2026) è tornato al potere, gli interessi nazionali e la politica estera continueranno ad avere una posizione centrale, influenzati dall’ideologia di sinistra del presidente Lula, ma in un gioco di contrattazione con le tradizionali élites dominanti (economiche e politiche).

In breve, gli interessi nazionali del Brasile nella sfera estera continueranno ad essere segnati da questa ideologia di sviluppo, dalla ricerca di autonomia nell’economia e nella politica estera, con una partecipazione significativa del suo corpo diplomatico nell’attuazione delle decisioni del governo centrale, ma anche da una grande esitazione nel definire le alleanze estere, che si riflette in un peso relativamente elevato del Paese nell’economia mondiale, ma in una scarsa partecipazione ai processi decisionali a livello globale.

– Qual è l’approccio del Brasile alle questioni di sicurezza e difesa in America Latina e nel mondo? I governi Bolsonaro e Lula hanno qualche somiglianza in questo percorso o le loro visioni ideologiche antagoniste li collocano sempre in campi geopolitici opposti?

Fin dall’inizio di una diplomazia di professione, moderna e consapevole – ai tempi del Barone di Rio Branco, all’inizio del XX secolo – il Brasile ha avuto un approccio alle questioni di sicurezza e di difesa basato sul rispetto del diritto internazionale e, sempre più, sul multilateralismo. L’integrazione con l’America Latina è un fenomeno relativamente recente, soltanto mezzo secolo, e non si è ancora tradotto in istituzioni stabili che convergano con gli interessi nazionali del Brasile. Tuttavia, una posizione che è stata adottata da vari governi dalla fine della Seconda guerra mondiale è quella di deviare le tensioni tra le grandi potenze mondiali, una posizione di equilibrio generalmente allineata con gli interessi del grande partner emisferico, gli Stati Uniti. Più recentemente, la crescente preminenza economica della Cina ha diluito l’influenza degli interessi americani nella politica brasiliana, e la ricerca di una sempre maggiore autonomia rispetto agli Stati Uniti ha condotto i governi del PT a proporre schemi e meccanismi di concertazione e coordinamento regionale che si allontanano dalle vecchie istituzioni emisferiche (l’OSA, ad esempio), a favore della creazione di nuovi strumenti specificatamente regionali (Unasur, Celac), anche nell’ambito della difesa, come il CDS, il Consiglio di Difesa Sudamericano, per la cooperazione strategica e militare con i Paesi sudamericani.

Il governo Bolsonaro ha rappresentato, appunto, una rottura con tutte queste iniziative, abbandonando questa cooperazione in cambio di un’illusoria alleanza con gli Stati Uniti (rappresentati esclusivamente dal presidente Trump), e una fantasmagorica coalizione di Paesi conservatori di estrema destra, che si suppone combattano contro il fantasma del “globalismo” (che in termini diplomatici ha rappresentato l’opposizione agli schemi multilaterali, espressione di estrema stupidità). Il ritorno al potere di un governo del PT consentirà la ripresa delle iniziative del periodo 2003-2016 ma le condizioni stesse dell’America Latina sono molto cambiate, con una visibile frammentazione dei processi di integrazione, oltre al proseguimento dei vecchi schemi di inserimento nell’economia globale (la specializzazione nelle materie prime, ad esempio), che rappresentano una perdita di dinamismo e il persistere della povertà.

FOTO - International Exhibition CenterOsaka, Japan - 28 Giugno 2019
FOTO – International Exhibition Center – Osaka, Japan – 28 Giugno 2019

– Come affrontano attualmente i diplomatici brasiliani le tensioni geopolitiche in ambito economico in questa fase di governo post-Bolsonaro con il ritorno di Lula alla presidenza (BID, OMC, richiesta di adesione all’OCSE, affinità e differenze con i Paesi del Mercosur, Banca BRICS, ecc.)

Vi sono sfide colossali per reinserire il Brasile nel mondo, dopo i governi abbastanza attivi in diplomazia, che sono stati quelli di Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) e di Lula-PT (2003-2016), e portate avanti, con qualche difficoltà, dal governo di Michel Temer (2016-2018), dopo la grande crisi che coinvolse la presidente Dilma Rousseff nel 2014-2015. Non vi è ancora una linea dominante nelle politiche nazionali e nella politica estera, poiché le condizioni per l’azione del Brasile nel mondo sono state alquanto alterate dalla disastrosa presidenza Bolsonaro (soprattutto nel campo delle politiche estere, in particolare quella ambientale), ma anche dalla rottura del governo Trump con la politica globale statunitense.

L’attuale governo del PT è favorevole alla ripresa dei processi di integrazione regionale, ma in una situazione di dispersione degli sforzi e di orientamenti disparati nei vari Paesi; allo stesso tempo è riluttante per quanto concerne l’adesione all’OCSE, che apparentemente rappresenterebbe un certo abbandono delle politiche economiche nazionali a favore di un maggiore inserimento nella globalizzazione, in contraddizione con l’aspirazione a essere chiamati a svolgere un ruolo più attivo nelle istituzioni multilaterali (G20, CS-ONU) e nel G7. L’iniziativa di creare il BRIC, poi allargato a BRICS (e nuovamente chiamato ad accogliere nuovi membri), potrebbe avere una certa influenza nel determinare la politica estera del Brasile, dato che il gruppo ha come membri le due grandi autocrazie anti-occidentali, Russia e Cina.

– Come si pone il Brasile di Lula di fronte ai segnali di riavvicinamento da parte di nazioni centro-occidentali come gli Stati Uniti e i Paesi dell’Unione Europea?

Questo processo era già in corso in precedenza, dal momento che il Brasile aveva “relazioni strategiche” con tutti questi partner, compresa la Cina, ma è diventato estremamente dipendente dai percorsi della nuova geopolitica dall’inizio della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, che dovrebbe avere un impatto sulla politica di “equilibrio” del Brasile nella sua relazione alle grandi potenze.

È ancora relativamente presto per prevedere come agirà la diplomazia brasiliana di fronte alle crescenti tensioni create dall’aggressività di Putin e anche dalla nuova assertività internazionale del leader cinese Xi Jinping, in special modo per quanto concerne Taiwan, ma anche nel campo della disputa egemonica con gli Stati Uniti, una sorta di nuova guerra fredda economica e tecnologica.

– In che modo la nuova diplomazia brasiliana tende ad affrontare questioni diplomatiche complesse, come la questione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in tempi di tensioni belliche, così come le relazioni con sistemi politici ed economici così diversi dal proprio che cercano un avvicinamento al Brasile sotto il discorso dell’avvento di un nuovo ordine internazionale multipolare?

In qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Brasile continuerà con la sua tradizionale richiesta di riforma della Carta delle Nazioni Unite e di allargamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma con scarse possibilità di avanzare su questo tema, date le tensioni attualmente esistenti.

Anche la richiesta di un “nuovo ordine internazionale multilaterale” non è realistica, poiché non sarà consolidata dalla retorica dei principali partner, ma solo da cambiamenti sostanziali nei principali vettori di proiezione del potere, che sono sempre le capacità economiche e militari, una combinazione di hard e soft power, e meccanismi di influenza sull’agenda globale attraverso la diplomazia sorretta da grandi leve di cooperazione che possono essere sostenute solo da risorse abbondanti.

Il Brasile manca di molti di questi attributi, sebbene abbia una diplomazia di buona qualità e un’elevata capacità di azione; ma i grandi problemi interni – aumento della povertà, estrema disuguaglianza nella distribuzione, bassa produttività e scarsa capacità di innovazione tecnologica – rendono difficile per il Paese agire in modo più assertivo nel teatro globale.

Gli eventuali profitti del Brasile negli scenari regionali e globali saranno incrementali e piuttosto lenti, poiché le sfide interne (economiche, sociali e anche politiche, data l’attuale mancanza di coesione tra le élites) sono molto più grandi delle ampie opportunità estere, basate sul potere del suo agroalimentare e sul suo piccolo soft power, più simbolico che effettivo (tranne che in campo ambientale).

– La diplomazia brasiliana tende a salvare una politica statale in relazione alle questioni del commercio estero e degli investimenti internazionali, compresa la difesa dei suoi interessi economici strategici nei prossimi anni?

Certamente, come è sempre stato fatto, anche se con cambiamenti di stile e di priorità, a seconda delle preferenze dei governi. Il terzo mandato di Lula dovrebbe perseguire queste politiche statali, ma i vecchi schemi nazionalisti e interventisti rallenteranno il processo di crescita, più di quanto avverrebbe, ad esempio, attraverso una decisa adesione ad una “agenda OCSE” di politiche economiche e settoriali che il PT apparentemente rifiuta.

Allo stesso modo, la ripresa di un’eventuale “leadership” del Brasile nei processi di integrazione dell’America meridionale e latina dipenderà dal suo potere economico e dalla sua propensione ad un’apertura unilaterale a favore dei Paesi della regione, anch’essa improbabile. Insomma, i progressi saranno lenti e intervallati da decisioni contraddittorie, anche a causa delle incertezze che minacciano le relazioni internazionali in un momento in cui la disputa tra il cosiddetto Occidente e le due grandi autocrazie si fa più intensa.

– Il Brasile ha già agito più volte con le Nazione unite per promuovere la pace e la stabilità internazionale, tra cui la protezione dei rifugiati e la partecipazione militare e diplomatica alle missioni di pace e alla negoziazione dei conflitti. Negli ultimi anni, il ha ancora superato del tutto una crisi istituzionale interna, che si è consumata tra attori delle forze armate e autorità civili, culminata nell’invasione e depredazione della sede dei tre rami del governo l’8 gennaio 2023. È certo che il Brasile debba tornare protagonista o è ancora troppo presto per prospettare uno scenario del genere?

 La più grande recessione nella storia economica del Paese, nel 2015-2016, ha lasciato in eredità una sfida enorme per il recupero dell’equilibrio fiscale del Paese, così come la demolizione di molte politiche settoriali durante la disastrosa amministrazione del 2019-2022 di Bolsonaro ha indebolito la capacità del Brasile di agire in modo costruttivo in tutti questi settori, a partire dal fatto che ha enormi debiti con gli organismi multilaterali. Il Brasile riprenderà il suo ruolo di “player” in alcuni ambiti – sicuramente il multilateralismo ambientale – ma faticherà a riconquistare un ruolo di primo piano nella sua regione, considerando le deboli fondamenta dei suoi conti pubblici.

D’altra parte, la probabile affermazione di una “diplomazia presidenziale” più attiva creerà difficoltà anche alla diplomazia di professione, vista l’impulsività del Presidente ed i suoi errori di valutazione su alcune questioni (come la sciagurata idea di un “club della pace” per affrontare la guerra in Ucraina, ad esempio). Lula tende ad agire più alla ricerca di una maggiore promozione personale che in funzione degli interessi permanenti del Brasile sulla scena globale. Si tratta di un metodo d’azione contraddittorio, in quanto dipendente dalla sua ricerca di prestigio internazionale e fuorviato da alcune ossessioni del vecchio PT di sinistra, antiliberale e antiamericano.

Lo scenario interno è ancora poco chiaro, anche per la sfiducia reciproca tra i militari e l’attuale governo, oltre che per i timori dei cosiddetti “mercati” nei confronti di una politica economica populista – al servizio delle tradizionali clientele del PT, dei poveri, dei sindacati, delle minoranze – che potrebbe danneggiare l’equilibrio dei conti pubblici nei prossimi anni. Quello che sembra certo è che l’economia non avrà il dinamismo necessario per crescere vigorosamente, perché le grandi riforme (fiscale, amministrativa, politica, previdenziale, industriale e commerciale) devono ancora essere effettuate. Senza l’apertura economica o la liberalizzazione del commercio, sarà difficile per il Brasile ottenere un grande inserimento nell’economia globale.

Contatti Intervistato: Paulo Roberto de Almeida è Diplomatico, professore universitario (www.pralmeida.org; diplomatizzando.blogspot.com; pralmeida@me.com). 

Traduzione del Portoghese brasiliano per Ruggero Gambacurta-Scopello.

Arthur Ambrogi
Arthur Ambrogi

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