La denuncia del Fmi. L’Africa non può affrontare da sola il cambiamento climatico

La denuncia del Fmi. L’Africa non può affrontare da sola il cambiamento climatico

11 Gennaio 2022 0

L’Africa non può affrontare da sola il cambiamento climatico“. Ad affermarlo è Kristalina Georgieva attuale direttrice del Fondo monetario internazionale. A preoccuparla il fatto che il prezzo delle politiche per il clima è estremamente elevato tanto che i leader africani – durante COP26 – hanno indicato che la regione avrebbe bisogno di 1,3 trilioni di dollari nei prossimi due decenni per l’adattamento e la mitigazione del clima. Una cifra irraggiungibile per i paesi africani se lasciati da soli, soprattutto con il sopraggiungere della pandemia di COVID-19 che ha fatto esplodere i livelli di debito e limitato la crescita dell’area.

Georgieva spiega che “Servono nuove idee e nuovi approcci”. Sovvenzioni e finanziamenti agevolati devono essere utilizzati in modo più efficace. Ma soprattutto “i fondi multilaterali per il clima, le banche di sviluppo e altri fornitori dovrebbero cercare opportunità per semplificare le approvazioni dei progetti (mantenendo le salvaguardie) per far fluire il denaro più velocemente dove è necessario“. Insomma l’auspicio è quello che tutti ci si impegni in interventi ben mirati per sbloccare i troppi colli di bottigliate che scoraggiano i finanziamenti del settore privato in questi territori. Sicuramente in questo senso sarebbe opportuno espandere nuovi meccanismi di finanziamento tra i settori pubblico e privato. “I green bond possono aiutare a finanziare iniziative legate al clima a tassi relativamente bassi, ma l’Africa è dietro ad altre regioni in quest’area cruciale. Dal 2007 al 2018, la regione ha rappresentato solo circa 2 miliardi di dollari di emissioni di bond, appena lo 0,4% del mercato globale dei green bond“. Una soluzione apprezzata dal Fmi potrebbe essere quella di uno “scambio debito per clima” una strada che richiederebbe però un ampio pool di debiti scambiabili, nonché indicatori di performance per rassicurare gli investitori. Sicuramente ci sono già Paesi che collaborano con i paesi africani che si impegnano per il clima. Il Regno Unito ha recentemente accettato di fornire 500 milioni di dollari alla Repubblica Democratica del Congo (RDC) per arginare la perdita di foreste. La Norvegia ha un accordo simile con il Gabon per 150 milioni di dollari.

E’ evidente però per Georgieva che per aiutare i governi africani ad accedere a nuove fonti di capitale “dipende fortemente dalla riduzione dei loro profili di rischio di credito“. E su questo punto è indispensabile che l’Africa muova dei passi da sola migliorando la propria governance, “in particolare attraverso le riforme negli appalti e nella gestione degli investimenti pubblici, delle finanze pubbliche e del debito e garantendo piani di investimento sostenibili dal punto di vista dei costi e dal punto di vista fiscale“.

Il Fondo monetario internazionale sta già svolgendo un ruolo importante nell’aiutare i governi nazionali a sviluppare la loro capacità di affrontare le sfide climatiche (la Repubblica Democratica del Congo è uno dei primi beneficiari del sostegno del FMI per lo sviluppo delle capacità incentrato sul clima). E attraverso la sorveglianza dell’articolo IV del Fondo, gli investitori rimangono informati sui progressi dei paesi nell’attuazione delle misure di adattamento climatico. Non è poi da sottovalutare il Resilience and Sustainability Trust, che potrà contare su 650 miliardi di dollari di nuovi diritti speciali di prelievo, e garantirà finanziamenti abbordabili e con scadenza più lunga per i membri poveri e vulnerabili a reddito medio e per i piccoli stati che intraprendono riforme strutturali per trasformare le loro economie e affrontare i rischi climatici. Infine altro strumento interessante sono i “blue bond” da 15 milioni di dollari delle Seychelles nel 2018, garantiti dalla Banca Mondiale e con obiettivo quello di avallare progetti oceanici che comporta anche tassi di interesse ridotto che aiutano ad abbassare il debito nazionale.

I leader politici in Africa stanno abbracciando l’inevitabile transizione globale verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Oltre a perseguire programmi economici per aumentare il tenore di vita, hanno urgente bisogno di costruire una resilienza contro gli shock climatici, specialmente nei paesi che dipendono dall’agricoltura alimentata dalle piogge. “Ecco perché l’Unione africana ha approvato il piano di accelerazione dell’adattamento in Africa, che prevede investimenti in infrastrutture resilienti, agricoltura adattativa al clima, digitalizzazione, riforme commerciali e ampliamento delle reti di sicurezza. Non solo queste misure sono fino a 12 volte più convenienti dei soccorsi in caso di calamità; inoltre genereranno posti di lavoro, aumenteranno i redditi e miglioreranno il tenore di vita“. Perchè se l’Africa non contribuisce quasi per nulla al riscaldamento globale ricadono, i suoi 1,4 miliardi di persone – circa il 17% della popolazione mondiale – sono responsabili di meno del 3% delle emissioni totali di gas serra del mondo, è proprio l’Africa a pagare un prezzo umano ed economico altissimo per le sue conseguenze a causa di disastri climatici più frequenti, clima più caldo, precipitazioni irregolari e aumento del livello del mare, che portano tutti tragedie umane, sconvolgimenti sociali e sconvolgimenti economici. E pensare che secondo recenti analisi solo le foreste del bacino del fiume Congo da sole assorbono il 3% delle emissioni globali di anidride carbonica ogni anno.

Marco Fontana
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