Kiev, i sospetti e le domande dietro l’abbattimento dell’aereo russo che portava prigionieri ucraini verso uno scambio

Kiev, i sospetti e le domande dietro l’abbattimento dell’aereo russo che portava prigionieri ucraini verso uno scambio

10 Febbraio 2024 0

Il 24 gennaio è caduto un aereo russo che trasportava prigionieri di guerra ucraini verso il luogo di scambio coi prigioneri russi. Ma proprio le forze ucraine hanno abbattuto il velivolo con un missile di fabbricazione americana o tedesca. Perché Kiev ha deciso di uccidere i suoi stessi soldati? Tutte le ipotesi sul banco portano a conclusioni pesanti per l’Ucraina e per i suoi alleati euroatlantici.

L’abbattimento dell’aereo

LIlyushin Il-76MD dell’aviazione militare russa è stato colpito da missili terra-aria sparati dalla oblast’ di Kharkov, cioè da territorio ucraino. In quel momento l’aereo stava sorvolando la regione russa di Belgorod, a sud-ovest di Mosca, non lontano dal confine. Sono deceduti tutti coloro che erano a bordo: 65 prigionieri di guerra ucraini, 6 membri dell’equipaggio e 3 ufficiali russi.

A Kiev hanno inizialmente parlato di “vittoria ottenuta dalle Forze armate dell’Ucraina”, per poi negare e smentire quando si è saputo che a bordo c’erano i loro soldati. Lo Stato maggiore ucraino ha evitato di menzionare il cosiddetto “incidente”, ma ha specificato di tenere come obiettivo i cargo russi che presume volino per portare missili al fronte. D’altro canto non sarebbe la prima volta che gli ucraini riescono a colpire obiettivi oltre confine, celebrando poi i “successi” sui social; e per ottenere tali risultati dicono di utilizzare sistemi NATO come i Patriot.

Ma stavolta l’aereo russo non portava materiale bellico, bensì prigionieri ucraini che stavano per essere restituiti. Ora per Kiev diventa dura negare di conoscere tale dettaglio, perché evidentemente dovevano aver concordato con Mosca il posto e l’ora e sapere quanti soldati c’erano e in quali condizioni. I servizi ucraini hanno confermato che avrebbe dovuto sussistere uno scambio di prigionieri e aggiungono di non sapere chi c’era a bordo, ma trattandosi proprio di un’agenzia di “intelligence”, questa è un’incongruenza ridicola e totalmente assurda.

Altri scambi di prigionieri

È difficile per Kiev mostrarsi ignara che i russi trasportassero prigionieri di guerra per andarli a scambiare coi propri soldati. Solo nel mese di gennaio, infatti, vi sono stati ben due scambi, uno prima e uno dopo l’abbattimento dell’aereo. Ai primi di gennaio vi è stato quello più notevole, avvenuto con la mediazione degli Emirati Arabi cinque mesi dopo il precedente: 230 soldati ucraini rilasciati in cambio di 248 russi. Come affermato dal Ministero della Difesa russo, un altro scambio avrebbe dovuto essere condotto proprio il 24 gennaio, ma l’attentato ucraino ha sconvolto i piani. Così l’azione è stata posticipata al 31 gennaio, quando sono stati scambiati circa duecento uomini per parte.

Zelensky lo ha persino comunicato sui social: I nostri sono tornati in 207. Li riportiamo a casa a qualunque costo. Le autorità ucraine hanno precisato che si è trattato del cinquantesimo scambio di prigionieri, nel quale sono stati consegnati uomini del personale medico al fronte, ma anche quelli che hanno combattuto a Kherson e a Mariupol, proprio il luogo in cui si sono distinti i miliziani del battaglione neonazista Azov.

La reazione dell’ONU

Dai dati raccolti si evince che ad abbattere l’aereo è stato un missile Patriot di fabbricazione americana, sebbene non si escluda nemmeno l’ipotesi di un IRIS-T tedesco. Qualora si tratti di un Patriot, ciò sarebbe un’aggravante a carico degli alleati euroatlantici di Kiev: infatti per manovrare efficamente tale sistema e centrare un obiettivo in quelle circostanze dovevano probabilmente esservi degli specialisti statunitensi, non essendo gli ucraini adeguatamente preparati.

E non sarebbe la prima volta, perché già il 29 luglio del 2022 con un missile HIMARS di provenienza americana l’artiglieria ucraina aveva centrato la prigione di Olenivka (Elenovka) nel territorio del Donbass, nella quale erano rinchiusi i suoi miliziani. Nonostante i pesanti indizi, che in Occidente rifiutano di considerare come dimostrazioni sufficienti, l’ONU dice di essere in attesa delle prove sull’abbattimento dell’Il-76.

Il giorno dopo il fattaccio, il Sottosegretario generale dell’ONU per gli Affari politici e di Consolidamento della pace Rosemary DiCarlo, un’americana, ha dichiarato che

le Nazioni Unite non sono in condizione di verificare questi rapporti o le circostanze dello schianto. (…) Per evitare ulteriori escalation, esortiamo tutte le parti a trattenersi da azioni, retorica o accuse che potrebbero fomentare il già pericoloso conflitto.

Così, l’istituzione sovranazionale per eccellenza non sa fare altro che invocare attenzione e prudenza: il meglio che riesce a produrre sono generiche dichiarazioni sulla responsabilità di entrambe le parti e sulla necessità di trovare altre evidenze prima di esprimere giudizi.

Coprire crimini di guerra

Resta aperta la questione delle ragioni per cui Kiev abbia ancora una volta eliminato i suoi stessi soldati. Potrebbe essere un modo truce e definitivo per togliere di mezzo autori e testimoni di crimini di guerra. Un’ipotesi estrema, motivata dalla presenza di membri del battaglione Azov sia a bordo del velivolo caduto che nel carcere distrutto da un missile. In questo modo sono stati eliminati coloro che in futuro avrebbero potuto fare ammissioni scomode, soprattutto perché hanno combattuto a fianco di mercenari di Paesi occidentali.

Si vocifera pure che sia direttamente coinvolto del personale NATO: sarebbe complicatissimo e sconveniente spiegare all’opinione pubblica europea questa presenza presso battaglie in pieno territorio ucraino, bel lontano dai confini occidentali con la UE. Infatti non sono pochi i casi di cittadini britannici o statunitensi catturati dalle forze russe, che hanno un passato nei rispetti eserciti, ma che si spacciano per “operatori umanitari”. Nelle ultime settimane l’artiglieria russa è riuscita a eliminare decine di mercenari a Kharkov, la maggior parte dei quali erano francesi.

Nelle capitali europee si smentisce o si minimizza, ma restano le notizie del periodo in cui la stampa occidentale riferiva i misfatti ucraini. Un articolo dell’americano Newsweek del 2014 parlava di “crimini di guerra in stile ISIS” perpetrati dai nazionalisti ucraini ai danni della popolazione delle regioni orientali del Paese. Questi gruppi di ispirazione nazista, finanziati o collegati in qualche modo con persone vicine al governo di Kiev, infliggevano ai civili maltrattamenti o vere e proprie atrocità.

Il rapporto di Zelensky col battaglione Azov

A livello ufficiale, la presidenza ucraina spende parole al miele per i miliziani neonazisti dell’Azov, molti dei quali sono stati riportati a Kiev la scorsa estate, venendo accolti in Ucraina da eroi. Ma alcuni punti della vicenda non quadrano e non possono essere facilmente ignorati. Anzitutto c’è l’origine ebraica di Zelensky, che contrasta fortemente col passato ideologico e storico al quale si ispirano le formazioni come l’Azov. Poi c’è il fatto che alle elezioni del 2019 l’ex attore si fosse presentato come “candidato per la pace”, battendo con tale programma il presidente Petro Poroshenko.

I gruppi di miliziani estrema destra hanno agganci nel mondo politico, tali da poter nascere e prosperare ai limiti della legalità fino ad essere dipinti come eroi nazionali. Sullo sfondo della cancellazione delle elezioni presidenziali voluta da Zelensky e delle critiche gravi che quest’ultimo oggi riceve da vari esponenti politici, è naturale pensare che il leader dell’Azov Denys Prokopenko possa proporsi per fomentare nuovi rivolgimenti che scuotano il già traballante potere centrale. Prokopenko avrebbe diversi argomenti coi quali riunire attorno alla sua figura le simpatie politiche degli ucraini: dalla sua reputazione di combattente, alle critiche a Zelensky per aver gestito male l’organizzazione della controffensiva e non aver saputo ottenere nuovi finanziamenti occidentali.

Lotte di potere a Kiev

In questo momento la frattura più evidente è quella fra Zelensky e i comandi militari. Ne è la dimostrazione il licenziamento del generale Zaluzhny, arrivato dopo mesi di dissidi e per adesso non ancora ufficializzato. Il presidente vuole scaricare sui militari la colpa del fallimento della controffensiva e questi ultimi lo accusano di volerli mandare al macello.

Inoltre teme la popolarità del comandante, che se svestisse la divisa per entrare in politica troverebbe l’appoggio dell’esercito. La preferenza dei militari potrebbe andare a Zaluzhny oppure anche a Prokopenko; dunque Zelensky ha ben donde per sentirsi minacciato politicamente da chi potrebbe addirittura scatenare un nuovo Maidan contro di lui. Ecco allora servita l’occasione per impedire che tornino in Ucraina dei militari, tra cui i componenti dell’Azov.

Il 24 gennaio è caduto un aereo russo che trasportava prigionieri di guerra ucraini verso il luogo di scambio coi prigioneri russi. Ma proprio le forze ucraine hanno abbattuto il velivolo con un missile di fabbricazione americana o tedesca. Perché Kiev ha deciso di uccidere i suoi stessi soldati? Tutte le ipotesi sul banco portano a conclusioni pesanti per l’Ucraina e per i suoi alleati euroatlantici.

Martin King
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