L’appello alla distruzione di Israele può essere considerato reato? Brevi riflessioni su una recente proposta di legge tedesca.

L’appello alla distruzione di Israele può essere considerato reato? Brevi riflessioni su una recente proposta di legge tedesca.

7 Febbraio 2024 0

«Il diritto penale deve diventare ancora più severo nella lotta contro l’antisemitismo, la minaccia islamista sul territorio tedesco lo ricorda chiaramente. È un settore del diritto che deve sempre stare al passo con i tempi e, quanto più velocemente la legislazione deve muoversi per tenere il passo con le nuove minacce, tanto più importanti diventano le regole che preservano i nostri valori e che sono sancite dalla nostra Legge fondamentale. È proprio nella sua atemporalità che la nostra Costituzione acquista valore».

Con queste parole il presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, Josef Schuster, ha concluso il discorso tenuto il 18 gennaio scorso al ricevimento di Capodanno presso il Ministero federale della Giustizia a Berlino.

Poiché l’incitamento alla distruzione di Israele attualmente non è punibile secondo il paragrafo 130 del codice penale tedesco (StGB), alcuni esponenti del mondo politico e accademico suggeriscono una modifica al codice ovvero una nuova legge penale.

Il § 130 c.p. tedesco (Incitamento all’odio) punisce con la reclusione da tre mesi a cinque anni «Chiunque, in modo tale da disturbare la quiete pubblica 1) incita all’odio contro un gruppo nazionale, razziale, religioso o etnico, contro settori della popolazione o contro un individuo a causa della sua appartenenza al suddetto gruppo o a un settore della popolazione, o incita alla violenza o a misure arbitrarie, oppure 2) attacca la dignità umana di altri insultando, denigrando o calunniando dolosamente un gruppo designato, una parte della popolazione o un individuo a causa della sua appartenenza a un gruppo designato o a una parte della popolazione, è punito con una pena detentiva da tre mesi a cinque anni».

L’udienza di lunedì scorso presso la commissione giuridica del Bundestag tedesco non è andata molto bene per la corrente CDU/CSU-Bundestagsfraktion: la maggioranza degli esperti ha valutato criticamente la proposta dell’Unionsfraktion di introdurre una nuova ipotesi di negazionismo, questa volta inteso come negazione del diritto di esistere dello Stato di Israele, nonchè l’inasprimento della pena per il reato esistente che, operazione che, oltre ad essere incostituzionale per sproporzione, presenta forti attriti con la libertà di espressione di cui all’art. 5 del Grundgesetz  (Costituzione tedesca).

Infatti, per quanto riguarda la libertà di espressione, la negazione del diritto di esistere di Israele dovrebbe essere giudicata dogmaticamente in modo diverso rispetto, ad esempio, alla “negazione dell’Olocausto”, che è punibile ai sensi della Sezione III del § 130 citato, il quale prevede una pena detentiva non superiore a cinque anni o una sanzione pecuniaria da infliggersi a chiunque giustifichi, neghi o banalizzi un atto del tipo descritto nell’articolo 6 del Codice Penale Internazionale (Genocidio) commesso sotto il dominio nazionalsocialista, pubblicamente o in una riunione, in modo da turbare la pace pubblica,

Anche il Tribunale costituzionale federale (BVerfG) ha sostenuto che la libertà di opinione garantisce che le leggi non siano dirette contro i contenuti prettamente intellettuali delle opinioni espresse. L’obiettivo di ostacolare le dichiarazioni perché incompatibili con le opinioni sociali o etiche annulla il principio stesso della libertà di opinione ed è illegittimo. La Legge fondamentale non giustifica quindi un divieto generale di diffusione di idee estremiste di destra o nazionalsocialiste, anche per quanto riguarda l’impatto intellettuale del loro contenuto.

Nella celebre (e discussa) sentenza Wunsiedel del 2009, tuttavia, il Tribunale ha ammesso un’eccezione, secondo la quale il diritto fondamentale alla libertà di espressione è valido solo in conformità con la riserva legale qualificata dell’articolo 5, 2° capoverso, della Legge fondamentale. Gli atti commessi sotto il dominio del nazionalsocialismo possono essere oggetto di divieto penalmente sanzionato qualora vengano banalizzati, negati o esaltati, in quanto il giudizio formulato dal legislatore, di una generale attitudine di questi comportamenti a turbare l’ordine pubblico, è conforme all’art. 5 GG.

Senza occuparci delle contraddizioni insite nella decisione, data la singolarità della tirannia nazionalsocialista e del governo tiranno, questa eccezione rappresentata dal § 130 StGB non può essere estesa a espressioni di opinione per cui il diritto di esistere di Israele viene messo in discussione o negato. Anche le nuove varianti di reato proposte dall’Unionsfraktion non costituiscono leggi generali e, inoltre, la questione se Israele abbia diritto all’esistenza è una questione aperta, che interessa il diritto internazionale, non il diritto penale nazionale.

Anche il rappresentante dell’Associazione degli Avvocati tedeschi ha sostenuto che negare l’Olocausto significa negare un fatto, mentre negare il diritto di Israele ad esistere è tutt’altra cosa. Secondo la giurisprudenza del BVerfG, infatti, la negazione di un diritto come espressione valutativa gode di una protezione più intensa ai sensi dell’articolo 5 Legge fondamentale sulla libertà di espressione rispetto alla negazione falsa di un fatto storico.

Ed è questo un punto sul quale anche i consulenti giuridici del gruppo CDU/CSU-Bundestagsfraktion hanno frenato gli entusiasmi, paventando il rischio concreto di illegittimità costituzionale della proposta di modifica legislativa, proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale, non solo in riferimento all’art. 5 GG citato, ma altresì rispetto al principio di uguaglianza, imponendo una formulazione più ampia del reato che comprenda anche la negazione dell’esistenza di Stati con i quali la Repubblica federale ha stretto legami molto forti, come, ad esempio, gli Stati membri dell’Unione europea.

Il § 130 del c.p. tedesco non vieta in generale manifestazioni ancorate al regime nazionalsocialista, né un collegamento positivo a giorni, luoghi o forme che hanno un significato che ricorda quell’epoca con un importante potere simbolico. Piuttosto – sempre secondo la citata sentenza Wunsiedel – la sua realizzazione presuppone l’approvazione del nazionalsocialismo come regno di violenza e dispotismo storicamente realizzato. Ciò può anche consistere nella glorificazione di una persona storica se, dalle circostanze specifiche, risulta chiaro che questa persona rappresenta una figura simbolica del dominio nazionalsocialista di violenza e arbitrio in quanto tale.

L’uso dello slogan “Israele assassino di bambini” è stato oggetto di pronuncia dal parte del 12° Senato del Tribunale amministrativo del Land Baden-Württemberg (Organo d’Appello), del 17 dicembre 2023, il quale, in un obiter dictum(non potendo il tribunale amministrativo sanzionale penalmente) ha sostenuto l’improbabilità che l’uso dello slogan “Israele assassino di bambini” sia, nel caso di specie, punibile ai sensi del § 130 c.p. tedesco.

Richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale, il Tribunale amministrativo del Land, afferma che una restrizione del contenuto delle opinioni, nella misura in cui non serve a proteggere i minori o il diritto all’onore personale, può essere considerata solo nell’ambito di leggi generali ai sensi dell’art. 5 comma 2 GG. Se le leggi penali come il § 130 c,.p. vengono violate da esternazioni di opinioni o dichiarazioni pubbliche, ciò costituisce altresì una violazione della sicurezza pubblica (ragion per cui viene adito il Tribunale amministrativo).

Un pericolo così giustificato può essere scongiurato dalle autorità amministrative, anche vietando le assemblee o sciogliendole. Nel richiamare le leggi penali, – il § 130 StGB – i Tribunali devono tenere conto del valore della libertà di espressione in una società democratica. In questo caso si applica la presunzione a favore della libertà di parola negli discorsi pubblici. In linea di principio i cittadini sono anche liberi di mettere in discussione i valori fondamentali della Costituzione o di chiedere modifiche ai principi fondamentali. Il fattore decisivo, nel prendere in considerazione una violazione dei diritti fondamentali, è la valutazione del contenuto della dichiarazione in questione, che deve essere determinata dal punto di vista di un pubblico medio imparziale e ragionevole, tenendo conto delle circostanze del singolo caso.

Nel caso dello slogan “Israele assassino di bambini”, probabilmente non c’è motivo di temere che si realizzi il reato apologetico ai sensi del § 130 StGB. Il 12° Senato non trascura il fatto che “Israele” e “ebraismo” o “israeliani” ed “ebrei” sono spesso intesi come sinonimi dal punto di vista dell’osservatore medio e che i termini sono equiparati. Lo Stato di Israele si considera uno Stato ebraico. Anche molti palestinesi e simpatizzanti della causa palestinese non fanno distinzione tra i termini “ebreo” e “israeliano” (e “sionista”). Tuttavia, il Senato non condivide l’idea che detta equiparazione avvenga anche dal punto di vista di un pubblico medio imparziale e comprensivo.

Ciò non ostante è piuttosto improbabile che da ciò ne derivi un turbamento della pubblica tranquillità o dell’ordine pubblico, condizione essenziale affinché il reato si realizzi; e cioè che ci sia la concreta probabilità che dal discorso pubblico si trasmodi in atti di violenza o tumulti pericolosi per l’incolumità collettiva o di un gruppo di persone.

C’è un’idea diversa riguardo alla necessità di criminalizzare le incitazioni alla distruzione di Israele (ad esempio con lo slogan “Morte a Israele”). Il reato di sedizione del § 130 c.p. non è applicabile, come sostenuto dalla Procura di Magonza già nel 2014.

Nella proposta di riforma della norma, l’accento è posto sulla protezione degli ebrei come individui e come gruppo, ma lo Stato di Israele, in quanto tale, non può godere di protezione penale, necessario essendo volgere lo sguardo verso altre fattispecie – se esistenti – ovvero adottare una regolamentazione nuova e generale che non può essere certamente il § 130 StGB. Si potrebbe pensare (similmente a come avverrebbe in Italia) al § 102 Attentato contro organi e rappresentanti di Stati esteri o al § 104 Violazione di bandiere ed emblemi di Stati esteri

Il Tikvah Institute di Berlino aveva già formulato mesi prima proposte di legge in tal senso. Il think tank, fondato nel 2020 dalla giornalista Deidre Berger e dall’ex deputato dei Verdi al Bundestag Volker Beck, attualmente presidente della Società tedesco-israeliana, si dedica alla lotta all’antisemitismo in tutte le sue manifestazioni.

L’istituto suggerisce di sostituire l’abrogato § 103 c.p. tedesco con il reato di “Appello alla distruzione di uno Stato” così formulato: «Chiunque inciti o approvi la distruzione di uno Stato membro delle Nazioni Unite sarà punito con una pena detentiva fino a cinque anni o con una multa». In passato, come detto, la procura di Magonza aveva però respinto le indagini in relazione allo slogan “Morte a Israele”.

A noi sembra che la sovrapposizione fra antisemitismo e anti-Israele (impegnato nel recente conflitto armato) sia pericoloso, soprattutto se si cavalca l’onda emozionale della criminalizzazione di comportamenti che, per quanto imponenti, sono una critica ai bombardamenti indiscriminati sulla strisci di Gaza, per i quali si sono già aperte procedure a livello internazionale (si pensi alla causa intentata dal Sudafrica, per dimostrare che Israele ha commesso genocidio contro la popolazione palestinese, davanti alla la Corte penale internazionale dell’Aja) la cui sorte non è, al momento, predicibile. Il diritto penale nazionale è un’arma piuttosto spuntata quando si tratta di infrenare i c.d. reati di opinione, dato che il conflitto con le garanzie costituzionali in materia di libertà di espressione è forte e molto spesso, qualora – come detto – non sia rinvenibile il connotato della violenza o l’evento del turbamento dell’ordine pubblico, il delitto è destinato a soccombere al cospetto del diritto.

Gianluca Ruggiero
GianlucaRuggiero

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