I sapori del Ramadan in aiuto dei poveri da Covid

I sapori del Ramadan in aiuto dei poveri da Covid

11 Maggio 2021 0

Eid Mubarak, buon fine Ramadan. La comunità musulmana è a festa, termina mercoledì 12 maggio il periodo di digiuno e di preghiera, durante il quale i fedeli praticanti si astengono dall’assumere cibo e acqua, dal praticare attività sessuale e dal fumare. Solo così potranno raggiungere la “taqwa”, la coscienza di Dio. Nel calendario islamico, Hijiri, il Ramadan cade nel nono mese dell’anno, quello in cui si celebra la prima rivelazione del Corano al profeta Maometto. Un messaggio di augurio per la Rottura del duro mese di digiuno, del “mese caldo”, arriva ogni anno dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, a testimonianza di quello spirito di rispetto, comprensione e collaborazione verso i seguaci di altre tradizioni religiose.

Rispetto ma soprattutto condivisione delle sofferenze causate dai confitti che continuano ad attanagliare intere popolazioni del Medio Oriente, troviamo nelle parole che San Giovanni Paolo II affidò ad una missiva nell’aprile del ’91. Papa Wojtyła rivolgendosi ai musulmani con “Ai miei cari fratelli e alle mie care sorelle”, ne elogia “l’esempio di obbedienza alla volontà divina, che offrite alle società moderne, che ne hanno bisogno”; una prova dell’importanza della preghiera e della disciplina e una testimonianza di semplicità ascetica nell’utilizzo dei beni di questo mondo. «Anche noi Cristiani abbiamo da poco concluso la Quaresima, tempo di preghiera e di digiuno – scrive il Santo padre –  che è anche per noi un tempo di pentimento e di purificazione. Sono valori che noi condividiamo, Cristiani e Musulmani, secondo le credenze e le tradizioni delle nostre rispettive religioni. Noi offriamo questi valori all’umanità come una alternativa religiosa alle attrattive del potere e del denaro».

La persona che digiuna può percepire la fame e la sete che milioni di esseri umani in tutto il mondo affrontano quotidianamente. Un concetto già espresso nell’hadith, il racconto sulla vita del profeta Muhammad, che recita «non è un vero credente chi va a dormire con la pancia piena, mentre il suo vicino soffre la fame». In piena emergenza sanitaria globale, mai parole furono più cariche di significato. Il coronavirus ha aumentato le disuguaglianze, la disoccupazione, la povertà. Le previsioni delle Nazioni Unite per l’anno in corso non sono rassicuranti, stimando che saranno 235 milioni le persone bisognose di assistenza umanitaria. Un aumento di circa il 40% rispetto al 2020, legato quasi interamente alla pandemia. Al volto disumano della piaga sanitaria e alla sua forza dirompente, che ha oltrepassato muri e confini geografici agendo da moltiplicatore di disparità e miseria, si contrappone  la risposta di solidarietà e supporto alle famiglie più vulnerabili del Circolo diplomatico di Rabat, in Marocco, rappresentato delle mogli di capi missione e organizzazioni internazionali, presieduto dall’italiana Alessandra Mancini, consorte dell’ambasciatore del Perù nel Regno.

Il Circolo, in omaggio al mese sacro dei musulmani, ha presentato in questi giorni una raccolta di ricette internazionali “Saveurs du Ramadan” , cui hanno contribuito 26 Paesi fra i quali Indonesia, Malesia, Pakistan, Turchia, Iraq, Paesi del Golfo, Libano, Giordania, Palestina, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Mauritania, Mali, Senegal, Niger, Sud Africa e, come ventisettesimo partecipante, la Funci, la Fondazione della cultura islamica.  Non solo integrazione, altro fondamentale obiettivo del libro è sostenere le opere di solidarietà senza scopo di lucro riconosciute dalle autorità marocchine nei settori della formazione, della salute, dello sviluppo delle donne e dei bambini, i più colpiti dalla pandemia.

«Senza fratellanza non c’è missione – spiega Mancini – e, come dice il profeta Muhammad “la vera ricchezza di un uomo in questo mondo è misurata dal bene che ha fatto intorno a lui”. Ci sembra importante che in questo momento così intimo con Dio e con la comunità, aver dato forma a questa raccolta, frutto della generosità, del lavoro e della pluralità di tante mogli di ambasciatori musulmani nel mondo, dall’Asia all’Africa. Ne sono state prodotte 850 copie a spese dell’Icesco (Organizzazione islamica per l’educazione, le scienze e la cultura) e il ricavato verrà interamente evoluto a progetti di aiuto sociale, che ci siamo proposti e che sono svariati. Abbiamo già fornito – prosegue – 503 ceste di Ramadan a persone in situazione di assoluta necessità. Abbiamo in progetto la sistemazione della biblioteca e del refettorio di una scuola rurale a Skhirat, 30 chilometri a sud di Rabat. Un’altra iniziativa in campo, sarà di fornire del materiale idoneo ad una associazione di non vedenti che vivono in un quartiere disagiato (bastoni, libri in Braille ecc.). Con la pandemia tutte le situazioni di vulnerabilità si sono accentuate, qui come altrove. Ogni giorno – conclude mestamente la presidente del Circolo – riceviamo richieste di aiuto e non è facile arrivare a tutto. Come la nostra associazione di mogli di ambasciatori qui a Rabat, ne è pieno il mondo. L’importante e’ dare un volto umano e di solidarietà alla “diplomazia sociale” di noi donne, il più delle volte considerate solo “al seguito” dei nostri mariti ma, molto spesso, coinvolte nella realtà dei Paesi dove viviamo».

Foto – I protagonisti del progetto

La gastronomia, quale strumento di rafforzamento dei legami culturali tra i popoli, interviene così in aiuto di chi già si prodiga in favore dei più poveri. Come nel caso di due suore della carità di San Vincenzo de Paoli, che mandano avanti una scuola rurale per bambini, oggi chiusa a causa del Covid, ma che continuano a fornire cure e cibo alle diverse famiglie che vivono nelle baracche. Prima dell’esplosione del morbo i bambini mangiavano a scuola, ma con la chiusura hanno perso anche questa possibilità. Le sorelle hanno anche allestito un centro per la cura dei bambini ustionati, per i quali servono cure e farmaci. 

Il cibo che gioca un ruolo importante come integratore e catalizzatore di un senso di identità collettiva, dona all’individuo la consapevolezza di appartenere a una comunità e di condividerne i valori culturali. A questo proposito vale la pena ricordare il gesto compiuto da un grande “Innamorato dell’Islam”, padre Paolo Dall’Oglio, due giorni prima del suo rapimento, avvenuto a Raqqa il 29 luglio del 2013. Quella sera il sacerdote romano, in compagnia di fedeli musulmani che festeggiavano l’Iftar, la Rottura del digiuno, distribuì il pane come fosse eucarestia e poi bevve il vino dal calice. A chi gli chiedeva perché avesse fatto così, lui rispose: «perché il cibo non è lì per caso, ma per lo spirito, per guadagnare la vita nell’aldilà».  

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Marina Pupella
MarinaPupella

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