Giancarlo Pagliarini: “Non vedo per niente bene l’Italia. Ci sono troppi parlamentari che fanno i politici di mestiere e il loro obiettivo primario è di tutelare il proprio lavoro”
Abbiamo raggiunto Giancarlo Pagliarini, già ministro al Bilancio italiano, ad un convegno organizzato da Forza Italia con Patto Per il Nord, associazione che riunisce diverse sigle di ispirazione federalista, per discutere del futuro delle partite iva in Italia. A margine abbiamo raccolto alcune sue riflessioni sull’attuale situazione italiana.
– Lei è stato ministro nel primo governo Berlusconi con delega al Bilancio. Rispetto a quegli anni, come vede l’Italia di oggi?
– Purtroppo non la vedo per niente bene. L’Italia ha un problema strutturale che deriva dal fatto che tutto il potere è concentrato a Roma. Non è qualcosa di logico. Ci sono troppi parlamentari che fanno i politici di mestiere e il loro obiettivo primario è di tutelare il proprio lavoro. Avendo bisogno di consenso per essere rieletti, fanno solo le cose necessarie a ottenere dei voti. Ahimè non è detto che siano cose necessarie al sistema-Paese… talvolta lo sono, ma non è quello l’intento principale di chi le decide. E da questa situazione si genera il debito pubblico. Facciamo l’esempio del comune di Torino, che ha circa 7400 dipendenti e paga circa 350 milioni all’anno di stipendi. Gli interessi passivi del comune di Torino lo Stato italiano li spende in un giorno e 8 ore. Rendiamoci conto dell’enormità di tali cifre!
– Spesso sentiamo dire che mancano i soldi.
– Dicono che mancano i soldi, eppure nel 2024 abbiamo pagato 95 miliardi di euro sotto forma di interessi passivi. 260 milioni al giorno! I sindaci o gli assessori dicono che mancano i soldi ad esempio per fare le case popolari o per migliorare la sanità: certo, ma intanto noi paghiamo 260 milioni di interessi passivi al giorno. Il motivo è che tutto il potere è concentrato a Roma nelle mani di politici che hanno l’obiettivo di raccattare voti per sé e che spesso dispongono spese dissennate. Ciò ha generato un debito pubblico che supera ormai i 3mila miliardi e che ogni anno aumenta. Si tratta di un problema strutturale, quindi per risolverlo è necessario modificare l’organizzazione stessa del sistema-Paese. Qualunque iniziativa per migliorare la situazione è certamente buona, ma se non è diretta alla radice del problema non risolve nulla, ma non fa altro che prolungare l’agonia.
– Che cosa significa cambiare l’organizzazione generale?
– Significa fare una riforma federale sul modello svizzero. A differenza di quello che credono in molti, il federalismo non è che le regioni si tengono più soldi o che i cittadini pagano meno tasse alla capitale. Il federalismo è anzitutto un modo di vivere. Nella Costituzione svizzera prima dell’articolo 1 ci sono delle premesse. Ad esempio una è quella della responsabilità verso le generazioni future, per la cui tutela in Italia facciamo pochissimo. Un’altra parla dei Cantoni e della molteplicità nell’unità. Ci sono 26 cantoni, che sono diversi tra loro sul piano geografico e anche sul piano politico, ma la cui mentalità è quella del lavorare assieme. In Italia questo atteggiamento è non ipotizzabile perché troppi politici vogliono gestire il potere e per farlo devono quindi essere da soli o soltanto coi propri soci. Ed ecco che il mondo corre, vola e progredisce, mentre l’Italia resta bloccata.
– Dunque la presidente Meloni rischia di perdere un’occasione se non persegue la riforma federale?
– Sì, è così. Questo lo dico a tutti, pure a Vannacci, con cui condivido l’esperienza nella Folgore, sebbene lui sia diventato un generale mentre io ero un caporale. Cerco di spiegare che il federalismo è un modo di intendere la vita e la politica diverso da quello a cui siamo abituati. Implica che non si litiga, ma si lavora assieme, che è la cosa più logica del mondo se il tuo obiettivo è di gestire il sistema-Paese. Certo, se invece l’obiettivo è di gestire il potere, allora è un’altra storia.
– Lei fa parte di Patto per il Nord. Come e perché è nata questa associazione?
– Il merito è tutto di Umberto Bossi. Il 14 gennaio 2024 ci ha riuniti al parco di Monza e ci ha invitato a lavorare insieme per l’obiettivo comune, partendo dai sindaci. Abbiamo quindi organizzato delle associazioni che si sono poi riunite in Patto per il Nord. Prima invece lavoravamo divisi, ognuno un po’ per conto suo, io per esempio con l’associazione “22 Ottobre”, chiamata come la data del referendum, e che ha aderito a Patto per il Nord. Oggi siamo in tanti e siamo diversi, chi di destra e chi di sinistra, ma tutti vogliamo la riforma federale. Ribadisco: il federalismo è anzitutto un modo di intendere la vita e la politica. Non litigare, ma lavorare insieme.
– Il presidente Tajani sta avviando una serie di federazioni per allargare sia la base elettorale di Forza Italia che la base contenutistica del programma. Crede che Patto per il Nord possa trovare una sponda in Forza Italia? Considerato anche l’appoggio alle ultime europee che Bossi aveva dato proprio a Forza Italia.
– Alle ultime europee io ho votato Reguzzoni. Come ripeto, io dialogo con tutti, ma sul tema del federalismo non trovo ascolto in Fratelli d’Italia o nella Lega, mentre in Forza Italia ho visto delle aperture. Qui non si tratta di essere più di centro o più di destra, ma di fare degli sforzi per evitare che si concentri il potere. Facciamo un altro esempio. Il presidente della Confederazione Svizzera dura un anno ed è a rotazione. Non dura sette anni come in Italia. E nei documenti ufficiali è scritto con la “p” minuscola, perché è considerato un primus inter pares, un cittadino come gli altri. Il significato profondo è che sono i cittadini a comandare. In Svizzera la sovranità non è dello Stato, ma appartiene agli enti territoriali, i quali gli delegano dei compiti. In Italia invece lo Stato è il Padre Eterno.

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