Gaffe Boris Johnson, paragona guerra in Ucraina alla Brexit
Non riesce a trovare pace la politica nel Regno Unito. Il premier Boris Johnson continua infatti ad inanellare una serie di gaffe dietro l’altra che sta mettendo a dura prova il proseguo del suo mandato a Downing Street. Ieri durante un suo intervento alla conferenza di primavera dei Tory, tenutasi a Blackpool, ha affermato che “l’istinto del nostro popolo, come quello del popolo ucraino, è scegliere la libertà“, ed il voto sulla Brexit ne è stato “celebre esempio recente“. Questo paragone infelice ha generato uno tsunami di critiche, anche all’interno del suo stesso partito.
“La Brexit e la guerra in Ucraina non sono situazioni paragonabili” ha chiosato il cancelliere dello Scacchiere britannico, Rishi Sunak, intervistato da Sky News, tentato di imbastire una timida difesa d’ufficio. Per Sunak, le due situazioni non sono assolutamente confrontabili e il cancelliere è convinto che anche il capo del governo la pensi così. Meno diplomatico è stato Lord Barwell, esponente conservatore, che non ha gradito, ed ha ricordato a Bojo che l’Ucraina sta cercando di entrare nell’Ue. “A parte il fatto che votare in un referendum libero ed equo non è in alcun modo paragonabile a rischiare la vita per difendere il proprio Paese dall’invasione, il fatto imbarazzante e’ che gli ucraini stanno combattendo per la liberta’ di aderire l’UE“, ha scritto su Twitter. Il leader dei liberaldemocratici Ed Davey è andato all’attacco “BoJo è un imbarazzo nazionale. Paragonare un referendum con donne e bambini in fuga dalle bombe è un insulto a ogni ucraino“. Il capo dello Scottish National Party a Westminster, Ian Blackford: “Le parole di Boris Johnson che paragonano la situazione pericolosa per la vita dell’Ucraina con la Brexit sono stati grossolani e sgradevoli e mostrano quanto i Tory siano pericolosamente ossessionati dalla Brexit“. Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, ha definito il commento offensivo “Boris, le tue parole offendono gli ucraini, gli inglesi e il buon senso“. Reazioni sono arrivate anche al di fuori del Regno Unito con Guy Verhofstadt, l’ex primo ministro belga e capo negoziatore della Brexit del Parlamento europeo, che ha bollato il confronto come “folle“.
La realtà dei fatti è che al netto della posizione contro la Russia, Boris Johnson è accerchiato. Il The Guardian lo scorso 19 marzo gli dedica un editoriale sferzante dove lo demolisce. Secondo il noto quotidiano inglese “Da quando la sua carica di premier è quasi affondata poche settimane fa, Boris Johnson ha fatto più viaggi all’estero e diplomazia frenetica rispetto a tutti i suoi anni precedenti come primo ministro messi insieme. Ha telefonato quasi ogni giorno a Volodymyr Zelensky mentre infuria la guerra con la Russia e ha ricevuto elogi dal presidente ucraino durante il suo emozionante video discorso alla Camera dei Comuni. Ed è volato a Kiev, Monaco, Polonia, Estonia, Abu Dhabi e Arabia Saudita, mentre cerca di posizionarsi come un intermediario internazionale nel nuovo ordine post-Brexit, galvanizzando l’azione contro il Cremlino e affrontando il conseguente deficit di forniture energetiche russe“. Un parlamentare Tory, citato dal The Guardian ha spiegato “È quasi come se fosse preoccupato di non avere molte più opportunità per interpretare lo statista internazionale e il suo prossimo tour sarà nel circuito delle conferenze” arrivando a denunciare come il premier inglese sia costretto a fare amicizia con “leader di secondo livello” piuttosto che Biden, Olaf Scholz o Emmanuel Macron.
La sensazione è che Johnson interpreti il ruolo di nemico numero due della pace con la Russia, secondo solo al presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per riacquisire credibilità dopo la ridda di dimissioni di sue ex ministri e collaboratori e dopo la grottesca vicenda del PartyGate sulla quale è stato sentito una seconda volta da Scotland Yard proprio prima che iniziasse il conflitto in Ucraina. E qualche segnale di disgelo dal suo partito arriva come ricostruito proprio dal The Guardian “Almeno due – su più di una dozzina – parlamentari conservatori hanno ritirato le lettere di sfiducia al loro leader, dicendo che ora non è il momento di cambiare. E lo stesso Johnson sembra aver acquisito nuovo vigore, dopo essere stato ad un passo dall’espulsione“. Ryan Shorthouse amministratore delegato del thinktank conservatore Bright Blue ha spiegato come “Questo potrebbe essere come il momento delle Falkland di Boris“. E infatti i sondaggi sembrano indicare che il crollo del sostegno ai conservatori sembra essersi fermato a causa della crisi nell’Europa orientale, il che indicherebbe che la coscienza pubblica è passata dalla violazione delle regole all’interno del n. 10 alla crisi con la Russia. Un po’ come il Covid aveva mascherato la crisi legata alle conseguenze della Brexit.
Non tutti però sono d’accordo con il numero di visite estere che vedono protagonista il primo ministro britannico e che lo portano anche a frequentazioni non ortodosse per l’opinione pubblica inglese. Tant’è che Bojo si è trovato costretto a difendere la sua decisione di recarsi in settimana, accompagnato da Gerry Grimstone, già ministro del Commercio e ex consigliere della Banca Commerciale di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita per tentare di ottenere forniture energetiche aggiuntive e calmierare gli effetti del rincaro dei prezzi causato dall’invasione russa dell’Ucraina. Gli incontri del primo ministro con Mohammed bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, e Mohammed bin Zayed, il principe ereditario di Abu Dhabi sono arrivati – come riporta Ansa – nonostante gli avvertimenti che ci sarebbero state poche possibilità di successo. A prescindere dal risultato insoddisfacente della visita, Johnson – intervistato sull’edizione domenicale del quotidiano “The Times” – ha affermato che sarebbe stato corretto fare un tentativo, nonostante le critiche internazionali sul mancato rispetto dei diritti umani nei confronti delle autorità di Riad. “Il Regno Unito ha una relazione di lunga data con l’Arabia Saudita“, ha affermato Johnson. “Non abbiamo inibizioni nel sollevare questi argomenti. Ma stiamo anche parlando di temi pragmatici che sono giuste per l’economia mondiale e dei consumatori del Regno Unito“, ha aggiunto. “Stiamo facendo molti passi avanti per alleviare la pressione sui consumatori del Regno Unito, in modo che le loro bollette del gas, il prezzo del carburante, il costo del riscaldamento della loro casa calino“.
Le elezioni incombono, si terranno a maggio, e Boris Johnson sta giocando la partita della vita per riuscire a rimanere in sella della premiership.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.