F-35 americani alla Svizzera, la protesta non si ferma

F-35 americani alla Svizzera, la protesta non si ferma

30 Agosto 2022 0

Nel 2019 Berna aveva dato il benestare al progetto di formazione di una flotta di aerei da caccia utili a sostituire nel prossimo decennio quelli attualmente in dotazione. Si trattava del secondo tentativo di rafforzamento dell’aviazione nazionale, dopo che nel 2014 i cittadini avevano bocciato l’acquisto dei caccia multiruolo JAS 39 Gripen della svedese Saab. Nel 2020, gli elettori elvetici hanno approvato il nuovo piano con una maggioranza risicata, appena il 50,1%, mostrando quanto la popolazione fosse divisa su una questione che pesa sulla nozione stessa di neutralità, tradizionale per la Svizzera. Da quel momento le forze contrarie al progetto, guidate da una coalizione di centro-sinistra, hanno iniziato una battaglia politica che ha portato al successo di una raccolta firme per l’indizione di un referendum. Tuttavia, pochi giorni fa il Consiglio Federale ha rigettato questa possibilità, ma la protesta non si ferma. I promotori dell’iniziativa “Stop F-35” sono il Partito Socialista svizzero, i Verdi e il Gruppo per una Svizzera senza Esercito, che due settimane fa hanno presentato alla Cancelleria Federale 120mila firme (ventimila più del limite richiesto), con addirittura sei mesi di anticipo sul termine per la raccolta e con la speranza che il voto popolare si sarebbe tenuto entro il prossimo mese di marzo, data di scadenza dell’accordo con l’azienda produttrice degli aerei.

Il progetto governativo prevede l’acquisto di trentasei caccia F-35 Lightning II della Lockheed Martin. La scelta è ricaduta su questa compagnia perché secondo Berna offre il miglior rapporto qualità/prezzo rispetto ai velivoli concorrenti, che erano un altro americano, il Super Hornet della Boeing, il Rafale della francese Dassault Aviation e l’Eurofighter Typhoon della multinazionale europea Airbus. Il budget destinato all’acquisto è di 6 milioni di franchi svizzeri (circa 6 milioni di euro), con la consegna degli aerei a partire dal 2027. Inizialmente il governo svizzero non aveva mostrato fretta di passare alla fase pratica del contratto, ma il suo atteggiamento è cambiato quando ha visto altri Paesi europei lanciare grandi piani di riarmo a seguito del conflitto in Ucraina. Dei trentasei F-35, almeno ventiquattro (con opzione su altri quattro) sono stati riservati alla produzione presso lo stabilimento della Leonardo S.p.A. a Cameri, in provincia di Novara, l’unico in Europa in grado di costruire tali jet (in questo impianto Leonardo produce anche gli F-35A delle Forze aeree olandesi). I primi otto caccia per la Svizzera, invece, saranno interamente di fabbricazione americana e verranno utilizzati per la formazione dei piloti svizzeri. 

Le ragioni dei contrari agli F-35 sono molteplici e sono di ordine sia pratico che politico. Nella sostanza, si tratterebbe di aerei troppo cari e troppo numerosi per le effettive esigenze della difesa aerea elvetica. Esigenze di difesa, appunto: secondo i promotori della raccolta firme questi caccia sono stati ideati per guerre di aggressione, dotati di tecnologia stealth per attacchi in profondità in territorio nemico; quindi sono sovradimensionati rispetto ai normali compiti di polizia aerea. E la problematica finanziaria non riguarda tanto il prezzo di acquisto, che è relativamente basso, quanto i costi di manutenzione che andranno affrontati per molti anni. I comitato anti F-35 fa notare come i Paesi che li hanno acquistati sono finiti in una trappola di costi continui”, relativi appunto al loro funzionamento e pure alla correzione dei difetti e all’effettuazione degli aggiornamenti. Ma la questione finale, quella più scabrosa, concerne la dipendenza dal Pentagono alla quale la Svizzera si legherebbe con questi aerei. Le varie parti elettroniche fanno sì che vi debba essere una costante gestione esterna da oltreoceano: la loro cabina di pilotaggio sarebbe letteralmente sorvegliata dai servizi segreti americani.

Una settimana fa il Consiglio Federale ha comunicato che l’iniziativa non potrà essere sottoposta al voto popolare prima della data in cui scadrà l’offerta, cioè il 31 marzo 2023. Secondo il Consigloo mancherebbe infatti il tempo materiale per organizzare il referendum, che non basterebbe nemmeno se si accelerassero le procedure usuali dell’Amministrazione federale. Un ritardo, poi, causerebbe gravi conseguenze per la politica di sicurezza elvetica, perché metterebbe in dubbio la possibilità che gli aerei vengano effettivamente costruiti e forniti a Berna, dal momento che altri Paesi sono in lista d’attesa e potrebbero approfittare dei tentennamenti della Svizzera. In un comunicato di risposta, il comitato “Stop F-35” definisce con parole di fuoco la decisione del Consiglio: uno scherno a una democrazia funzionanteuna vile manovra per ignorare il parere di quei centoventimila cittadini che hanno firmato, un affronto alla più grande minoranza possibile della popolazione (quel 49,9% che nel 2020 ha rigettato il progetto di acquisto dei caccia). Ma non si danno per vinti: c’è ancora tempo per lottare e ora la palla passa al Parlamento, a cui il comitato chiede di bocciare nella sessione autunnale l’inclusione di una scadenza per la firma del contratto con la Lockheed nel messaggio sull’esercito.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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