Dopo i carri armati Zelensky vuole i caccia, ma c’è chi resiste alla nuova escalation
Volodomyr Zelensky batte il ferro finché è caldo. Ottenuto l’impegno occidentale a fornire carri armati, Zelensky alza subito la posta e chiede gli aerei da caccia. In attesa della sua apparizione al Festival di Sanremo, che evidentemente qualcuno ritiene utile per orientare l’opinione pubblica italiana, nelle alte sfere si discute della fattibilità di tale fornitura e della sua effettiva opportunità. Il rischio dell’escalation, infatti, ormai è reale.
Fornire i caccia sarebbe un “incubo logistico”
Dopo i tank da combattimento, per i militari ucraini avere i caccia è un passo ulteriore perfettamente logico. Ragionando in questi termini, però, ci si potrebbe già chiedere quale sarà la fase successiva. Le truppe? I missili a lungo raggio? Le testate nucleari? Immaginare scenari del genere mette i brividi sia ai comuni cittadini che ai vertici della NATO. Infatti, il consenso sulle forniture di carri armati è arrivato dopo mesi di discussioni interne e il tema degli aerei è ancora tutto da dibattere.
L’obiezione primaria di Washington è che la sua priorità è fornire a Kiev armi a utilizzo immediato. Armi che possono essere date subito sono quelle effettivamente disponibili nei magazzini, dunque senza dover aspettare mesi per la produzione. Oppure armi che non richiedono un lungo addestramento, e non è certamente il caso degli aerei da caccia. Infatti, come dichiarato dal portavoce dell’Aeronautica militare ucraina Yurii Ihnat, serviverebbero un paio di settimane per insegnare a guidare gli F-16 ai piloti ucraini, ma circa sei mesi per padroneggiarne le manovre in combattimento.
Oltre al pilotaggio, vi è la questione della manutenzione. I vertici militari suggeriscono l’F-16 proprio per la sua vasta diffusione internazionale, che renderebbe più semplice a Kiev ottenere assistenza tecnica e pezzi di ricambio. Una fonte diplomatica ha dichiarato a Euractiv, piattaforma che si occupa di affari europei e Istituzioni UE, che in ogni caso spostare in Ucraina i velivoli e i relativi materiali senza farsi coinvolgere direttamente nella guerra può diventare per l’Occidente un “incubo logistico”. Della difficoltà di convincere gli alleati euroatlantici è conscio anche il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, che ammette come alcuni Paesi abbiano un approccio “prudente” alla faccenda, dovuto alla “paura di cambiamenti nell’architettura internazionale”. In altre parole, paura di un’escalation definitiva.
C’è chi dice “ni” e c’è chi dice no
Evitare l’escalation è proprio una delle condizioni poste dalla Francia alla fornitura di caccia. Il presidente Emmanuel Macron ne consentirebbe l’invio solo se entro una serie di paletti, fra cui il divieto di utilizzo su suolo russo e appunto il non dare adito a un’escalation. I jet da combattimento francesi Rafales richiedono per la manutenzione un gran numero di addetti. Poiché si tratta di civili di cittadinanza francese o comunque europea, se operassero in Ucraina finirebbero negli obiettivi militari delle forze russe, con conseguenze tanto spiacevoli quanto prevedibili. Anche il Regno Unito è riluttante per il timore di un’escalation.
Il governo ritiene che in quanto Stato insulare, i cittadini britannici siano più propensi a inviare armamenti di terra come i tank, mentre non approverrebero l’invio di aerei. Da un punto di vista tecnico, poi, non sarebbe affatto semplice nemmeno per gli ucraini. Jet come gli F-15 e gli F-16 hanno infatti bisogno di piste di atterraggio lunghe e di alta qualità, di cui l’Ucraina è priva. Costruirle appositamente sarebbe inutile perché i russi se ne accorgerebbero subito e distruggerebbero i cantieri. Qualcuno ha suggerito di passare ai più pratici caccia svedesi Saab JAS 39 Gripen, ma il ministro della Difesa della Svezia Pål Jonson ha affermato che Stoccolma non ha “piani immediati” in merito.
La Germania invece esclude del tutto la fornitura dei caccia, almeno per il momento. È stato un lavoro diplomatico particolarmente lungo e complesso quello che ha portato Berlino ad acconsentire ai carri armati. Ripetere la medesima trafila con gli aerei non sembra un’opzione valida. Il cancelliere Olaf Scholz precisa di aver espresso una posizione contraria fin da subito: Non vi saranno forniture di caccia all’Ucraina. Rispondendo alle domande del quotidiano Der Tagesspiegel, ribadisce che la questione degli aerei da combattimento non si pone nemmeno. E a questo proposito, riferendosi all’atteggiamento di altri Paesi NATO, dice: Posso solamente consigliare di non entrare in una continua competizione per superarci l’un l’altro nella fornitura di sistemi d’arma. Il motivo è che bisogna evitare un ulteriore peggioramento delle tensioni con la Russia, il quale porterebbe a un guerra aperta, che Scholz dice di non voler permettere.
Linee rosse spostate sempre in avanti
La strategia non scritta seguita finora dalla NATO consiste nel fornire a Kiev gli armamenti con gradualità, in base a quanto messo in campo dalla Russia. Si è iniziato dalle armi anticarro portatili come i Javelin per poi dare con i lanciarazzi multipli HIMARS e ai missili terra-aria Patriot, e avere infine i carri armati pesanti. La “linea rossa” da non oltrepassare è stata spostata dalla NATO sempre un po’ più in là, in maniera progressiva in modo da non innescare una risposta eccessiva da parte di Mosca. Ormai è noto il copione che seguirà l’Alleanza Atlantica anche per i jet. Infatti, come riporta il quotidiano statunitense Politico, l’emissario di un Paese europeo ha affermato: I caccia sono qualcosa di totalmente inconcepibile oggi, ma potrebbero essere oggetto di negoziati già fra due o tre settimane.
Il viceministro degli Esteri ucraino Andriy Melnyk ha esortato l’Occidente a creare una “coalizione dei caccia da combattimento” per ottenere diversi tipi di aerei. Il ministro degli Esteri olandese Wopke Hoekstra dice che il governo non ha preclusioni verso l’invio di questi armamenti. Aggiunge che non ci sono tabù e che Amsterdam è pronta a fornire gli F-16 se Kiev ne farà richiesta.
Fra coloro che hanno risposto positivamente all’appello vi è la Slovacchia. Il ministro degli Esteri Rastislav Káčer ha dichiarato che Bratislava è pronta a dare i MiG-29. Sono gli stessi aerei che la Polonia si era offerta di dare lo scorso anno tramite gli USA, ma l’operazione era saltata. Gli ucraini hanno già in dotazione i MiG, li conoscono, dunque potrebbero impiegarli immediatamente. Ma Kiev è stufa degli aerei di fabbricazione sovietica e punta a ottenere quelli occidentali, proprio come per i carri armati, ottenuti grazie alla “coalizione dei Leopard”.
Di tale gruppo di Paesi fornitori di tank si ritiene parte anche la Lituania, con la particolarità di non avere nemmeno un carro armato da offrire, ma di avere fatto pressione diplomatica sugli altri Paesi, Germania in particolare. Il ministro della Difesa lituano Arvydas Anušauskas ha dichiarato: È vero, non abbiamo tank, ma su di essi abbiamo un punta di vista.
Magari con i caccia la Lituania può dare una mano all’Ucraina anche stavolta. Con la sua condotta ostile e guerrafondaia, condivisa dalle altre due repubbliche baltiche Lettonia ed Estonia, sta infatti procedendo a trascinare nel vortice tutta l’Unione Europea. Non solo i tre Paesi hanno espulso l’ambasciatore russo dalle rispettive capitali, ma il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha persino affermato che vi è poca utilità e nessun senso per gli Stati membri della UE ospitare un ambasciatore russo. Perciò, con la russofobia montante a Zelensky conviene battere il ferro finché è caldo. Ottenuto l’impegno occidentale a fornire carri armati, ha alzato subito la posta e chiesto gli aerei da caccia. Ma il rischio dell’escalation ormai è reale.
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.