Cronaca dall’inferno di Kabul

Cronaca dall’inferno di Kabul

26 Agosto 2021 0

«Un attacco suicida, proprio vicino a noi, all’Abbey gate. Una forte esplosione, ci sono diversi morti e forse più di 50 feriti. Stiamo provando a tornare indietro, ma c’è una fiumana di gente e auto per le strade. E’ il caos totale, non si capisce più nulla. Siamo fermi nello stesso punto da oltre mezz’ora e non sappiamo quando e se riusciremo a raggiungere casa o un posto sicuro qualunque». Sono le parole di Hedayatullah Abib Mansoor il giornalista afghano che da giorni chiede aiuto all’Italia per lasciare Kabul. Ci chiama al telefono, i contatti con lui e la sua famiglia sono stati costanti, per raccontarci la cronaca di una giornata di fuoco, di terrore, mista a disperazione più nera. «Questi momenti cambieranno la mia vita per sempre, pensavo di essere un uomo molto forte, ma ciò che ci è capitato ha fatto emergere tutta la mia fragilità, la mia impotenza. Non riuscire a trovare un rifugio sicuro per i tuoi figli, ti lacera dentro». Mentre parla, dall’altro capo del telefono si sente il pianto di Muzziz, la sua bambina di soli 3 anni e mezzo, non dorme e non mangia da un giorno.

Video – Girato dall’auto del blogger Mossor

Dopo un’odissea durata tutta la giornata di ieri, cercando di raggiungere l’aeroporto Hamid Karzai evitando i taleban e “le loro spie”, una notte passata all’addiaccio “qui fa molto freddo, è passata la mezzanotte”, finalmente stavano per raggiungere il gate italiano. Erano ad appena mezz’ora di macchina dalla sospirata salvezza. Poi la prima esplosione, poi la seconda che hanno portato alla morte di almeno quaranta persone dalle ultime notizie in nostro possesso e a decine di feriti, anche in gravissime condizioni.

Video – La seconda esplosione avvenuta all’aeroporto di Kabul

La loro estenuante corsa si ferma un’altra volta a poche decine di chilometri dall’aeroporto di Kabul, che nel frattempo erano stati costretti a lasciare nel cuore della notte per paura che la calca li uccidesse, «qui è più pericoloso dei taleban, andiamo da qualsiasi altra parte e proveremo a tornare domani». E poche ore fa, il fatale attacco suicida, con il sangue di innocenti versato e quel fumo nero, calato sulla loro strada verso la salvezza. Le altre notizie che arrivano da Kabul, informano che tutti i gate sono stati chiusi, mentre in realtà, secondo quanto ci raccontava stanotte Mansoor «tutti i gate stranieri sono stati chiusi per il timore comprensibile dei soldati stranieri di essere travolti dalla marea umana che si accalcava davanti». Un’attesa tormentosa di ore, di attimi infiniti, durante i quali Massor ci inviava costantemente  le sue posizioni, nella vana speranza di trovare la postazione italiana. Impossibile. «Sembra che l’intera umanità si sia riversata nell’aeroporto cittadino, non vediamo nulla e non riusciamo a muoverci». Oltre il danno di non poter raggiungere lo scalo per il veto imposto dai taleban, la beffa del doppio attacco suicida, che le intelligence occidentali avevano previsto. Persino gli studenti coranici avevano avvisato che la popolazione accalcata in aeroporto sarebbe potuta essere un facile bersaglio di un gesto terroristico. E così è stato. Ora Massor ci fa sapere con un video che ha finalmente raggiunto un posto sicuro, lui e la sua famiglia sono salvi. Almeno per il momento. Tuttavia, resta la grande incognita sul loro destino. Che cosa ne sarà di lui che ha lavorato per  un ufficio governativo, ha scritto diversi articoli sul regime dei taleban e collaborato con un contractor americano che ha collaborato con la Forza internazionale di assistenza per la sicurezza (Isaf)? Saranno in grado di lasciare il Paese? 

Marina Pupella
MarinaPupella

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